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Ambiente: Italia condannata dall’Europa

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Ambiente

05/07/2006

La Commissione europea procede nei confronti dell’Italia per ripetute violazioni della legislazione ambientale.

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La Commissione europea ha deciso di procedere nei confronti dell'Italia per quattro infrazioni della normativa comunitaria riguardante la tutela della salute umana e dell'ambiente. Tre casi si riferiscono all’inadeguata gestione dei rischi che i rifiuti presentano; nel quarto caso, invece, le autorità italiane non hanno preso in esame la necessità di realizzare valutazioni d'impatto ambientale per due nuovi tratti stradali a Milano.

Il commissario europeo all’ambiente, ha dichiarato "Se non sono gestiti in condizioni di sicurezza, i rifiuti possono costituire una minaccia reale per le persone e per l'ambiente. Mi auguro che l'Italia intervenga rapidamente per risolvere i problemi riscontrati”.

In pratica l’Italia ha introdotto la possibilità di denominare gli scarti delle produzioni come “materie prime seconde” e come “sottoprodotti”.

Secondo il WWF Italia la questione “non è soltanto nominalistica: una volta che un determinato scarto di produzione non entra nella categoria dei rifiuti (poiché sottoprodotto o materia prima seconda) non si sottopone alla normativa specifica: quindi diversi milioni di tonnellate di materie e sostanze che dovrebbero essere definite “rifiuti” non diventano più tali secondo le norme italiane. Questo potrebbe generale un gigantesco smaltimento incontrollato visto che diventerebbe impossibile verificare se e come le materie prime e seconde, o i sottoprodotti, saranno riutilizzati o saranno smaltiti senza le garanzie previste dalla normativa sui rifiuti. Per questi “oggetti” non varrebbero le rigide regole che vengono applicate ai rifiuti e che consentono di avere l’esatta cognizione della loro quantità, della loro gestione, del loro riutilizzo o smaltimento. L’Italia è venuta meno agli obblighi previsti dalle norme comunitarie, sia con la Legge Delega sull’Ambiente prima, che con il decreto sui rifiuti 152/06 poi: quest’ultimo aveva reinserito “di forza” la contestata definizione di rifiuto”.

Di seguito riportiamo alcuni estratti dalla decisione della Commissione Europea.

Definizione di rifiuto
La Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia dinanzi alla Corte di giustizia europea a causa della definizione restrittiva di “rifiuto” introdotta nella normativa nazionale.

Una legge adottata nel dicembre 2004 stabilisce che alcuni tipi di rifiuti non sono più considerati tali in Italia, pur rientrando nella definizione di “rifiuto” ai sensi della direttiva quadro sui rifiuti dell’UE introdotta per tutelare la salute umana e l'ambiente. Si tratta, in particolare, dei rottami metallici, di altri rifiuti utilizzati nell’industria siderurgica e metallurgica e dei combustibili da rifiuto di elevata qualità (cioè i combustibili ottenuti a partire dai rifiuti).

Grazie a questa legge, ad esempio, i rifiuti urbani utilizzati come combustibili nei forni per cemento o nelle centrali elettriche sfuggono alle disposizioni delle normative comunitarie che disciplinano i rifiuti e l'incenerimento dei rifiuti. Ne risulta un rischio potenziale per l'ambiente e per la salute umana dovuto alle emissioni incontrollate di sostanze tossiche come le diossine.

Dall’invio del parere motivato della Commissione nel dicembre 2005 (IP/05/1645), l'Italia non ha ancora conformato la sua normativa alla legislazione dell'UE. Al contrario, il decreto legislativo adottato n° 152 del 3 aprile 2006 ha riconfermato tale normativa ed è per questo che la Commissione ha ora deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia.

Normativa sulle discariche
La Commissione deferisce l'Italia alla Corte di giustizia europea per mancata conformità alla direttiva comunitaria del 1999 relativa alle discariche di rifiuti (Direttiva 1999/31/CE), che stabilisce le norme applicabili alle discariche di rifiuti nell’intento di tutelare la salute umana e l'ambiente.  La direttiva avrebbe dovuto essere recepita nell’ordinamento nazionale entro il 16 luglio 2001, ma in Italia le misure di recepimento sono entrate in vigore solo il 27 marzo 2003. La denuncia della Commissione riguarda il fatto che, mentre la direttiva definisce le discariche esistenti come quelle in attività il 16 luglio 2001 o prima di questa data, la legislazione italiana sposta questo termine al 27 marzo 2003. Ciò significa che le discariche italiane autorizzate tra queste due date non sono state obbligate a rispettare le norme più rigorose previste dalla direttiva per le discariche nuove, come avrebbe dovuto essere. Al contrario, queste avranno tempo fino al luglio 2009 per soddisfare le disposizioni applicabili alle discariche esistenti.

Questo trattamento che assimila le discariche nuove a quelle esistenti costituisce una violazione della direttiva. Le autorità italiane non sono state in grado di indicare alla Commissione il numero delle discariche interessate.

In risposta al parere motivato della Commissione trasmesso nel dicembre scorso (cfr. IP/05/1645), l'Italia ha attribuito il ritardo nel recepimento della direttiva alla Commissione, sostenendo che esso è dovuto al fatto che la Commissione stessa non ha adottato a tempo debito una decisione riguardante i "criteri di ammissione" applicabili a ciascuna categoria di rifiuti destinati alla discarica. La Commissione respinge questa argomentazione perché l'obbligo di recepire la direttiva, che incombe agli Stati membri, non dipende dalla definizione di criteri di ammissione a livello comunitario. Inoltre, la direttiva dispone che in mancanza di criteri di ammissione comunitari, gli Stati membri sono tenuti ad applicare criteri nazionali.

 

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