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SICUREZZA DELLE MACCHINE: PRASSI AMMINISTRATIVE ILLEGITTIME (parte 4 di 5)

Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Approfondimento

29/11/2005

Obbligatorietà e vigenza del D.P.R. N. 547/1955. e sulle prassi amministrative illegittime e da disapplicare. Una circolare ministeriale giuridicamente sbagliata e fuorviante. Di Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano.

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Pubblichiamo la seconda parte dell'articolo dell’avvocato Dubini sulla sicurezza delle macchine: “Legge penale inderogabile e regolamenti tecnici di omologazione. Obbligatorietà e vigenza del D.P.R. N. 547/1955 (vista la lunghezza, il documento sarà pubblicato in 5 puntate, le successive nei prossimi giorni, il documento integrale,con le sentenze allegate, è comunque disponibile per gli abbonati alla banca dati, link in fondo all’articolo).

 

Gli articoli precedenti sono stati pubblicati nei numeri 1357, 1359, 1361, 1365, 1366, 1367 e 1369 di PuntoSicuro.

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LA SICUREZZA DELLE MACCHINE: LEGGE PENALE INDEROGABILE E REGOLAMENTI TECNICI DI OMOLOGAZIONE. OBBLIGATORIETA' E VIGENZA DEL D.P.R. N. 547/1955.

 

PARTE SECONDA. Di Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano.

 

(parte 4 di 5)

 

3.16 Rapporto complementare tra D.p.r. n. 547/1955 e D.p.r. n. 459/96

Giova qui ricordare che la Cassazione penale sez. III - sentenza n. 32426 del 4 luglio 2001, sempre lucidissima sul tema dei rapporti assolutamente complementari e mai contraddittori, tra D.p.r. 459/96 (che si occupa di omologazione) e D.p.r. 547/1955 (che si occupa del diverso tema delle prescrizioni di protezione sanzionate penalmente, e solo incidentalemente di alcune, poche, norme di omologazione oggi superate, queste si, dal D.p.r. n. 459/96 via Legge n. 128/98), ha messo a fuoco la responsabilità del datore di lavoro, o quanto meno la corresponsabilità con il costruttore, in caso di infortunio conseguente ad una mancata protezione dell'organo lavoratore di una macchina operatrice provvista di marcatura CE di cui al D.p.r. n. 459/1996.
Nella fattispecie era stata riscontrata la mancata protezione di una tramoggia di una macchina per la macinatura del mais in violazione agli artt. 41 e 73 del D.p.r. n. 547/1955 il che aveva portato all'infortunio dell'operatore che, venuto a contatto con la propria mano con gli organi in movimento taglienti della macchina, veniva colpito dagli stessi subendo lesioni che hanno portato all'indebolimento della mano offesa.
Il datore di lavoro aveva fatto ricorso alla Cassazione sostenendo che l'infortunio si era verificato per il non corretto comportamento del lavoratore e che la macchina era stata acquistata ritenendola, in buona fede, conforme alle normative di sicurezza. La Corte di Cassazione conclude invece affermando che i macchinari posti a disposizione dei lavoratori devono essere forniti di tutti i particolari dispositivi di sicurezza idonei a proteggere l'addetto anche nel caso di condotte negligenti o imprudenti del lavoratore e che il requisito dell'assoluta sicurezza deve essere accertato prima che la macchina sia messa in funzione. Già all'atto dell'acquisto, inoltre, il datore di lavoro ha l'obbligo di verificare in concreto la sussistenza dei requisiti di sicurezza provvedendo, se necessario, a dotare il macchinario dei dispositivi di prevenzione dei quali risulti sprovvisto oppure ad integrare quelli già esistenti se questi si presentano in maniera evidente insufficienti.
Né vale invocare, per esonerare il datore di lavoro da tali obblighi la circostanza che la macchina fosse provvista della marcatura CE di cui al D.p.r. n. 459/1996

 

3.17Applicazione contestuale dell'art. 2087 del c.c, del  D.P.R. n. 547/1955 e del D.P.R. n. 459/1996 agli utilizzatori delle macchine

Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 30379 del 10 agosto 2005 (u.p. 10 giugno 2005) - Pres. Fattori - Est. Novarese – P.M. (Conf.) lannelli - Rie. Acerbi

 

La sentenza individua un preciso rapporto di complementarietà tra le disposizioni penali inderogabili di protezione generale antinfortunistica dell'art. 2087 del codice civile, del D.p.r. n. 547/1955 e le disposizioni di omologazione e costruttive del D.p.r. n. 459/1996, proprio in relazione al campo di applicazione del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, contenente il regolamento per l'attuazione delle direttive CE sulle macchine.

 

La fattispecie riguarda il «capo cantiere e responsabile delegato alla sicurezza del lavoro», già assolto in primo grado dal delitto di omicidio colposo in danno di un lavoratore, viene invece condannato dalla corte d'appello, in quanto «consentiva che la vittima effettuasse le operazioni di pulizia di una betoniera con un solo operatore invece di due e, comunque, senza ridurre al minimo i rischi connessi a tale operazione ed in particolare senza adottare tutte le misure idonee ad impedire la possibilità di rotazione spontanea o accidentale della betoniera, e che utilizzasse la leva di azionamento dei movimenti del comando mobile sprovvista di protezioni contro i movimenti accidentali, ed ometteva di effettuare una sufficiente ed adeguata formazione dei lavoratori in relazione allo specifico rischio legato alle predette operazioni».

La Sez. IV esordisce riaffermando un insegnamento costante della corte di legittimità, ovvero che «l'art. 2087 cod. civ. configura una violazione di norme infortunistiche ed ha carattere generale e sussidiario di integrazione della specifica normativa con riferimento all'interesse primario della sicurezza e dell'igiene del lavoro e della salute del lavoratore».

 

A ciò si aggiunge un articolo specifico, «l'art. 77, D.P.R. n. 547/1955 è perfettamente applicabile alla fattispecie, perché prevede il collocamento dei comandi di messa in moto delle macchine in modo da evitare avviamenti o innesti accidentali oppure la predisposizione di dispositivi atti a conseguire lo stesso scopo».
La Suprema Corte esclude che «l'eliminazione del calcestruzzo dalle pareti del bicchiere, cui aderiscono, non rientri tra le operazioni di manutenzione della betoniera in considerazione dell'ampio significato del termine e della finalizzazione dell'operazione a rendere efficiente la macchina», e dunque ne deduce l'entrata in gioco di un'altra disposizione del D.p.r. n. 547/1955, «l'art. 375, D.P.R. n. 547/1955 ... applicabile alla fattispecie e, quindi, il lavoro doveva essere effettuato con il motore della betoniera spento cioè il lavoratore doveva eseguire l'operazione di pulizia all'interno del bicchiere con il motore della macchina spento e per eliminare i pezzi, staccati dalle pareti, doveva uscire dal bicchiere, accendere il motore con la chiave e con il telecomando avviare quello idraulico ed imprimere, con la levetta, il comando di scarico».

 

A questo punto viene il causa il regolamento sulla sicurezza delle macchine, in veste di disposizione tencico-costruttiva direttamente inerente l'applicazione delle citate disposizioni inderogabili e penali del D.p.r. n. 547/1955: «il D.P.R. n. 459/1996 (c.d. regolamento macchine) stabilisce all'allegato I, punto 1.1.2 i principi essenziali di integrazione di sicurezza, secondo i quali le macchine devono essere regolate e subire la manutenzione senza che tali operazioni espongano a rischi le persone e, qualora non sia possibile eliminare il rischio, bisogna adottare le misure di protezione necessarie a fronteggiarlo, anche se tale rischio fosse la conseguenza di una situazione anormale non prevedibile, sicché detto allegato, nonostante sembri rivolto ai costruttori ed ai venditori di macchine, si applica pure agli utilizzatori ed al datore di lavoro sia in virtù del disposto dell'ari. 4, comma 5, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994, che impone di aggiornare le misure di prevenzione in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione, sia in base al precetto di cui all'alt. 2087 cod. civ., sia in considerazione della normativa pregressa della quale costituisce un completamento ed un aggiornamento, soprattutto di quei precetti a forma libera come l'art. 375, D.P.R. n. 547/1955, in cui sono stabiliti solo i principi e gli obblighi cui attenersi, mentre la realizzazione è lasciata all'imprenditore ed al responsabile della sicurezza, per adeguarla alla migliore tecnologia disponibile».

 

3.18 D.P.R. n. 547/1955 e D.P.R. n. 459/1996: applicabilità di entrambi alle macchine segaossa

Cassazione penale, Sez. IV - Sentenza n. 24316 del 28 giugno 2005 (u.p. 25 maggio 2005) - Pres. Coco - Est. Novarese – P.M. (Conf.) Cesqui - Rie. Corona

Una nuova occasione per la Corte Suprema di pronunciamento sui rapporti tra D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 contenente il regolamento per l'attuazione delle direttive CE sulle macchinee il D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, ancora una volta visti in un contesto di complementarietà e non contraddittorietà.-

La fattispecie riguada l' infortunio occorso a un lavoratore addetto al reparto macelleria di un supermercato intento ad effettuare il taglio di un pezzo di carne del peso di circa tre chilogrammi con la macchina segaossa.

Condannato per il reato di lesione personale colposa, l'imputato lamenta l'erronea applicazione, nel caso specifico, dell'alt. 114, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, ai sensi del quale «la lavorazione di pezzi di piccole dimensioni alle macchine da legno, ancorché queste siano provviste dei prescritti mezzi di protezione, deve essere effettuata facendo uso di idonee attrezzature quali portapezzi, spingitoi e simili».

La Sez. IV non condivide la contestazione, e mette in evidenza che «in virtù di un apposito paragrafo della direttiva macchine del 1996, i requisiti richiesti dalla norma si applicano a tutte le macchine da lavoro di materiali aventi caratteristiche fisiche e tecnologiche simili a quelle del legno come il sughero e l'osso, sicché pure detta macchina, anche se dotata dei prescritti mezzi di protezione, doveva essere munita di idonea attrezzatura quali porta-pezzi, spingitoi e simili, ove venga effettuata la lavorazione di pezzi di piccole dimensioni».

Precisa che «il termine "lavorazione" non può essere limitato ad una sola fase, ma deve riferirsi a tutto il ciclo e, quindi, al momento in cui occorre raccogliere i piccoli pezzi, giacché bisogna evitare che in qualsiasi fase gli arti dell'operatore possano giungere a contatto con la lama, indipendentemente dalla questione se un pezzo di carne di tré chili all'origine possa ritenersi piccolo pezzo in rapporto al peso complessivo di un animale e se la particolare operazione da eseguire c.d. spuntatura dell'osso non si riferisse, in ogni caso, ad un piccolo pezzo, giacché era finalizzata alla pulitura dell'osso e la norma non consente alcuna deroga in rapporto a particolari operazioni, sicché è configurabile la violazione della predetta norma di prevenzione degli infortuni».

 

4. Una circolare ministeriale giuridicamente sbagliata e fuorviante

Il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale, con la circolare 2182 del 20 dicembre 2000, ha fornito alcuni chiarimenti operativi in merito all'applicazione del D.p.r. 24 luglio 1996, n. 459 "Regolamento per l'attuazione della direttiva 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine"

Innanzitutto ha precisato che il costruttore, quando ha apposto consapevolmente il marchio CE su macchine o componenti di sicurezza immessi sul mercato prima del 21 settembre 1996, ha di fatto espresso l’intendimento di voler seguire la procedura comunitaria, anche se non ancora recepita, anziché la regolamentazione nazionale. Tali macchine, pertanto, devono essere considerate alla stessa stregua di quelle immesse sul mercato dopo l’entrata in vigore del D.p.r. 459/96.

Questa affermazione contrasta però con l'interpretazione, assai più probante e significativa, data dalla Cassazione, che nelle sue sentenze ha sottoposto le macchine marcate Ce prima dell'entrata in vigore della direttiva nel nostro paese, cosa avvenuta solo col D.p.r. 459/96, integralmente agli obblighi previsti dal D.p.r. n. 547/1955, che, il Ministero del lavoro se lo scorda in modo troppo superficiale, non è mai stato abrogato, ne derubricato a norma di buona tecnica..

 

Per le macchine messe in servizio prima del 21 settembre 1996, data di entrata in vigore del D.p.r. 459/96, e non marcate CE, restano valide le disposizioni del D.p.r. 547/55. Restano valide le disposizioni tecnico-costruttive contenute nelle norme previgenti il D.p.r. 459/96 anche per la fabbricazione delle macchine non comprese nel campo di applicazione del D.p.r. 459/96 e non regolamentate da altre disposizioni di recepimento di direttive comunitarie e per la valutazione di sicurezza di quelle messe in servizio fuori dal regime individuato da detto decreto (cioè quelle non recanti la marcatura CE).

Dopo il 21 settembre 1996, le macchine e i componenti di sicurezza devono essere costruiti in conformità alle caratteristiche tecniche riportate dal D.p.r. 459/1996.

Riguardo ai livelli di sicurezza garantiti dai differenti sistemi normativi, voler assoggettare le macchine e i componenti di sicurezza anche alla norme nazionali previgenti (es. D.p.r. 547/55), secondo il Ministero, costituirebbe violazione dell’articolo 4 della direttiva 98/37/CE (codificazione della direttiva 89/392/CEE, modificata da ultimo dalla direttiva 93/68/CEE) la quale stabilisce che "Gli Stati membri non possono vietare, limitare od ostacolare l’immissione sul mercato e la messa in servizio nel loro territorio delle macchine e dei componenti di sicurezza conformi alle disposizioni della presente direttiva".

Questa affermazione è giuridicamente sbagliata, e rappresenta una flagrante violazione dei principi stabiliti dal diritto comunitario, come possiamo osservare dal dictum della direttiva quadro 391/89 che fa esplicito divieto agli Stati membri di ridurre i livelli di sicurezza già raggiunti (previsione normativa comunitaria sempre sottasciuta, maliziosamente, dai sostenitori di improbabili, quanto altamente illegittime, abrogazioni implicite; va anche osservato che la c.d. Direttiva macchina è una direttiva di prodotto, che non dovrebbe interferire con l'applicazione delle norme per la sicurezza e la salute dei lavoratori, come invece affermato dai sostenitori della tesi, infondata, che il D.p.r.p n. 547/55 non c'è più ...):

 

MISURE VOLTE A PROMUOVERE IL MIGLIORAMENTO DELLA SICUREZZA E DELLA SALUTE DEI LAVORATORI DURANTE IL LAVORO (DIRETTIVA QUADRO)

DIRETTIVA DEL CONSIGLIO (89/391/CEE) DEL 12 GIUGNO 1989 (*)

Attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei

lavoratori durante il lavoro

IL CONSIGLIO DELLE COMUNITÀ EUROPEE,

visto il trattato che istituisce la Comunità economica europea, in particolare l'articolo 118 A,

vista la proposta della Commissione (1), elaborata previa consultazione del Comitato consultivo per la sicurezza, l'igiene e la protezione della salute sul luogo di lavoro,

in cooperazione con il Parlamento europeo (2),

visto il parere del Comitato economico e sociale (3),

considerando che l'articolo 118 A del trattato prevede che il Consiglio adotti, mediante direttiva, le prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell'ambiente di lavoro, per garantire un più elevato livello di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori;

considerando che la presente direttiva non può giustificare l'eventuale riduzione dei livelli di protezione già raggiunti in ciascuno Stato membro, poiché gli Stati membri, in virtù del trattato, stanno cercando di promuovere il miglioramento delle condizioni esistenti in questo settore e si sono prefissi l'obiettivo dell'armonizzazione di dette condizioni nel progresso; .[miglioramento, appunto, e non riduzione dei livelli di protezione e prevenzione – n.d.r.]..

e poi:

Direttiva 89/392/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative alle macchine /*
Gazzetta ufficiale n. L 183 del 29/06/1989 pag. 0009 - 0032

considerando che gli Stati membri sono tenuti a garantire nel loro territorio la sicurezza e la salute delle persone e, all'occorrenza, degli animali domestici e dei beni, in particolare dei lavoratori, specie nei confronti dei rischi che derivano dall'uso delle macchine;

considerando che le legislazioni in materia di prevenzione degli infortuni differiscono notevolmente negli Stati membri; che le disposizioni coattive in materia, frequentemente completate da specificazioni tecniche cogenti de facto e/o da altre norme facoltative non comportano necessariamente livelli di sicurezza e di tutela della salute diversi ma a motivo delle loro disparità costituiscono degli ostacoli agli scambi all'interno della Comunità; che anche i sistemi di attestazione di conformità e di certificazione nazionale delle macchine differiscono notevolmente;

considerando che il mantenimento o il miglioramento del livello di sicurezza raggiunto negli Stati membri costituisce uno dei principali obiettivi della presente direttiva e della sicurezza quale viene definita mediante i requisiti essenziali;

considerando che le attuali disposizioni nazionali in materia di sicurezza e di tutela della salute, che garantiscono la protezione dai rischi originati dalle macchine devono essere ravvicinate per garantire la libera circolazione delle macchine senza abbassare i livelli di protezione esistenti e giustificati negli Stati membri; che le prescrizioni di progettazione e di costruzione delle macchine di cui alla presente direttiva, essenziali nella ricerca di un ambiente di lavoro più sicuro, saranno accompagnate da disposizioni specifiche concernenti la prevenzione di taluni rischi cui possono essere esposti i lavoratori durante il lavoro, ed anche da disposizioni basate sull'organizzazione della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro;

considerando che il settore delle macchine costituisce una parte importante del settore della meccanica ed è uno dei pilastri industriali dell'economia comunitaria;

considerando che il Libro bianco concernente il completamento del mercato interno, approvato dal Consiglio europeo nel giugno 1985, prevede ai paragrafi 65 e 68 il ricorso alla nuova strategia in materia di ravvicinamento delle legislazioni;

considerando che il costo sociale dovuto all'alto numero di infortuni provocati direttamente dall'utilizzazione delle macchine può essere ridotto integrando la sicurezza nella progettazione e nella costruzione stesse delle macchine nonché una corretta installazione e manutenzione;

considerando che il campo d'applicazione della direttiva deve essere basato su una definizione generica del termine «macchina» onde consentire l'evoluzione tecnica delle produzioni; che lo sviluppo delle «installazioni complesse» nonché i rischi che esse provocano sono di natura equivalente, tale da giustificarne l'inclusione esplicita nella direttiva;

considerando che sin d'ora è prevista l'emanazione di direttive specifiche che comportano disposizioni relative alla progettazione ed alla costruzione per talune categorie di macchine; che il campo d'applicazione molto vasto della direttiva dev'essere limitato nei confronti delle suddette direttive ma anche delle direttive già esistenti che prevedono disposizioni in materia di progettazione e di costruzione;

considerando che l'attuale diritto comunitario, in deroga a una delle regole fondamentali della Comunità costituita dalla libera circolazione delle merci, prevede che gli ostacoli alla circolazione intracomunitaria dovuti alla disparità delle legislazioni nazionali relative alla commercializzazione dei prodotti devono essere ammessi qualora dette prescrizioni possano essere riconosciute necessarie per far fronte ad esigenze inderogabili; che pertanto l'armonizzazione legislativa nella fattispecie deve limitarsi alle prescrizioni necessarie per soddisfare i requisiti inderogabili e essenziali di sicurezza e di tutela della salute relativi alle macchine; che detti requisiti, in quanto essenziali, devono sostituire le prescrizioni nazionali in materia;

considerando che il rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute è imperativo per garantire la sicurezza delle macchine; che detti requisiti dovranno essere applicati con discernimento per tener conto del livello tecnologico esistente al momento della costruzione nonché degli imperativi tecnici ed economici;

considerando che la messa in servizio della macchina ai sensi della presente direttiva concerne soltanto l'impiego della macchina stessa per l'uso previsto dal fabbricante; che ciò non pregiudica eventuali condizioni di utilizzazioni estranee alla macchina eventualmente imposte purché tali condizioni non comportino modifiche della macchina per quanto concerne le disposizioni della presente direttiva;

considerando che in occasione di fiere, esposizioni, ecc., dev'essere possibile esporre delle macchine che non sono conformi alla presente direttiva; che peraltro è opportuno informare in modo adeguato gli interessati di questa mancanza di conformità e dell'impossibilità di acquistare le macchine nelle condizioni di presentazione;

considerando che, di conseguenza, la presente direttiva definisce unicamente i requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute di portata generale, completati da una serie di requisiti più specifici per talune categorie di macchine; che per facilitare ai produttori la prova della conformità con i suddetti requisiti essenziali è opportuno disporre di norme armonizzate a livello europeo in materia di prevenzione dei rischi dovuti alla progettazione ed alla costruzione delle macchine nonché per consentire il controllo della conformità ai requisiti essenziali; che dette norme armonizzate a livello europeo sono elaborate da organismi di diritto privato e devono conservare il loro statuto di testi non cogenti; che a tal fine il Comitato europeo di normalizzazione (CEN) ed il Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica (CENELEC) sono riconosciuti quali organismi competenti per l'adozione delle norme armonizzate conformemente agli orientamenti generali per la cooperazione tra la Commissione ed i due suddetti organismi sottoscritti il 13 novembre 1984; che ai sensi della presente direttiva una norma armonizzata è una specificazione tecnica (norma europea o documento di armonizzazione) adottata da uno di detti organismi, oppure da entrambi, su mandato della Commissione conformemente alle disposizioni della direttiva 83/189/CEE del Consiglio, del 28 marzo 1983, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (4), modificata da ultimo dalla direttiva 88/182/CEE (5), nonché ai sensi degli orientamenti generali summenzionati;

considerando che occorre migliorare il quadro legislativo per assicurare un contributo efficace e appropriato dei datori di lavoro e dei lavoratori al processo di normalizzazione; che ciò deve essere completato entro la data di entrata in vigore della presente direttiva;

considerando che secondo l'attuale prassi generalmente applicata negli Stati membri è opportuno lasciare ai fabbricanti la responsabilità di attestare la conformità delle loro macchine ai requisiti essenziali; che la conformità a dette norme armonizzate conferisce una presunzione di conformità ai requisiti essenziali di cui trattasi; che viene lasciata unicamente alla discrezione del fabbricante la possibilità di ricorrere, qualora ne provi la necessità, ad esami ed a certificazioni da parte di terzi;

considerando che, per taluni tipi di macchine che presentano un potenziale maggiore di rischi, è auspicabile una procedura di certificazione più rigorosa; che la procedura d'esame per la certificazione CE adottata può essere seguita da una dichiarazione CE del costruttore senza che siano necessari sistemi più rigorosi quali ad esempio garanzia di qualità, verifica CE o vigilanza CE;

considerando che è indispensabile che il fabbricante o il suo mandatario stabilito nella Comunità, prima di redigere la dichiarazione CE di conformità, costituisca un fascicolo tecnico della costruzione; che non è tuttavia indispensabile che tutta la documentazione esista materialmente in permanenza, ma basta che sia disponibile su richiesta; che essa può non comprendere i disegni dettagliati dei sottoinsiemi utilizzati per la fabbricazione delle macchine, salvo se la loro conoscenza è indispensabile alla verifica della conformità ai requisiti essenziali di sicurezza;

considerando che non occorre soltanto garantire la libera circolazione e la messa in servizio delle macchine munite del marchio CE e dell'attestazione di conformità CE; che si deve anche garantire la libera circolazione delle macchine non munite del marchio CE qualora destinate ad essere incorporate in una macchina o ad essere assemblate con altre macchine per formare un'installazione complessa;

considerando che la responsabilità degli Stati membri in materia di sicurezza, di salute e di altri aspetti considerati dai requisiti essenziali sul loro territorio deve essere riconosciuta in una clausola di salvaguardia che preveda adeguate procedure comunitarie di protezione;

considerando che i destinatari di ogni decisione presa nel quadro della presente direttiva devono conoscere le motivazioni di tale decisione ed i mezzi di ricorso loro offerti;

considerando che è necessario adottare le misure intese ad instaurare gradualmente il mercato interno entro il 31 dicembre 1992; che detto mercato comporta uno spazio senza frontiere interne nel quale è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali ...

 

4.1 SULLE PRASSI AMMINISTRATIVE ILLEGITTIME E DA DISAPPLICARE

UN CASO ESEMPLARE

La sentenza della Cassazione (Cassazione penale, sez. III, sentenza n. 851 del 22 gennaio 1999 (u.p. 17 dicembre 1998) - Pres. Avitabile - Est. Di Nubila - Ric. Di Penta, in ISL, 5/1999, pag. 297) si incarica di chiarire alcuni aspetti di primaria importanza ai fini di una corretta interpretazione dell’articolo 40 del D. Lgs. n. 277/91, soprattutto laddove chiarisce che «l'art. 40 D.Lgs. 15 agosto 1991 n. 277 - nel prescrivere al datore di lavoro di procedere alla valutazione del rumore durante il lavoro - esige che sia redatta una relazione sulla pericolosità ambientale del posto di lavoro da parte di personale competente, e, quindi, non autorizza il datore di lavoro a sostituire la propria alla valutazione di personale competente».

Rinviato a giudizio per la violazione dell’art. 40 D. Lgs. 15 agosto 1991 n. 277 (accertata il 29 novembre 1996) per non aver eseguito la valutazione dei rischi da rumore, l’amministratore di una società «produceva una autocertificazione datata 9 gennaio 1996, nella quale attestava che il livello di rumorosità degli impianti era nella norma». A fronte di tale argomento difensivo il Pretore di Spoleto ribatteva che «riteneva tale documentazione priva di data certa e inidonea a soddisfare il precetto penale, il quale imponeva una relazione sulla rumorosità del lavoro redatta a cura di personale idoneo».

Il ricorso dell’imputato viene ritenuto infondato e respinto, perché «la legge è stata correttamente applicata dal Pretore [art. 40 comma 3 D. Lgs. n. 277/1991]: essa richiede che sia redatta una relazione sulla pericolosità ambientale del posto di lavoro da parte di personale competente e con l'impiego di strumenti adeguati: nella specie, il prevenuto ha preteso di sostituire tale relazione con una sorta di autorelazione, redatta in epoca imprecisata e comunque, secondo il giudice di merito, successiva all'accertamento, nella quale si afferma che il livello di rumorosità è inferiore ad una determinata soglia».

Ma «pur tenendo conto dei principi in tema di semplificazioni amministrative, non sembra che il precetto normativo, volto a tutelare il lavoratore contro il rischio da rumore, possa essere soddisfatto mediante una affermazione unilaterale, con la quale il datore di lavoro ritiene di poter sostituire la propria valutazione a quelle dei tecnici competenti». Perciò «in punto di sussistenza del fatto e di affermazione della penale responsabilità, la sentenza di primo grado non presta il fianco a censure e pertanto deve ritenersi definitiva».

Inoltre, «proprio in ragione della artificiosità della autodichiarazione presentata non poteva affermarsi la buona fede dell'imputato», nonostante il ricorrente abbia dedotto la «presenza di autocertificazione fondata su dichiarazioni dei dipendenti e sulla conformità dei macchinari usati»:

Tale «insegnamento si rivela prezioso, in quanto mette a nudo l’inaccettabilità di alcune prassi applicative incoraggiate da fuorvianti indicazioni non di rado fornite alle imprese da autorità amministrative preposte alla vigilanza» (Guariniello, ISL n. 5/1999, pag. 297).

Come già accennato tali indicazioni fuorvianti sono rintracciabili, oltre che nella citata Circolare del Presidente della Giunta Regionale Piemonte n° prot. 25/SAS del 22/11/1994 [Circolare recante «Linee guida per l'applicazione del D.Lgs. 277/91 - Capo IV], anche nella Circolare dell'Assessore alla sanità della Regione Emilia Romagna 23 del 18 maggio 1993 [recante Indicazioni sull'applicazione del Capo IV del D.Lgs. 277/91 - Protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro],laddove si afferma «che la responsabilità di effettuare le valutazioni tecniche tramite il personale competente è del datore di lavoro, il quale è opportuno che si avvalga di figure qualificate»: in realtà non è solo opportuno, ma è sempre obbligatorio l’intervento del personale competente, anche per la valutazione preliminare, come afferma incontrastata la Cassazione con la citata sentenza n. 851 del 1999.

 

4.2 IL TESTO DELLE CIRCOLARI MINISTERIALE ILLEGITTIME

La circolare 20 dicembre 2000 n. 2182afferma, erroneamente, che non è possibile sostenere che il D.p.r. 547/55 garantisce, in talune circostanze, livelli di sicurezza superiori ai requisiti essenziali di sicurezza (RES) di cui all’allegato I al D.p.r. 459/96 visto che il legislatore comunitario, nell’adottare la direttiva 98/37/CE, ha in premessa ravvisato la necessità di ravvicinare le norme in materia di sicurezza senza abbassare i livelli di protezione esistenti e giustificati negli Stati membri: in realtà la circolare, come risulta dai considerando sopra esposti, afferma anche, e in modo molto chiaro seppur maliziosamente ignorato dalla circolare ministeriale, “ l'attuale diritto comunitario, in deroga a una delle regole fondamentali della Comunità costituita dalla libera circolazione delle merci, prevede che gli ostacoli alla circolazione intracomunitaria dovuti alla disparità delle legislazioni nazionali relative alla commercializzazione dei prodotti devono essere ammessi qualora dette prescrizioni possano essere riconosciute necessarie per far fronte ad esigenze inderogabili”.

 

Certo la direttiva poi afferma anche chepertanto l'armonizzazione legislativa nella fattispecie deve limitarsi alle prescrizioni necessarie per soddisfare i requisiti inderogabili e essenziali di sicurezza e di tutela della salute relativi alle macchine; che detti requisiti, in quanto essenziali, devono sostituire le prescrizioni nazionali in materia”.

Però questi requisiti essenziali di sicurezza, sono diventati, in quanto tali, a seguito della Legge 128/1998, art. 46, solo quelli che nel 547/55 apparivano come norme di omologazione, ovvero norme tecniche di dettaglio che imponevano un numero chiuso di soluzioni antinfortunistiche, e dunque si tratta di pochissime norem, e quanto affermato è stato confermato da successiva attività difensiva della Repubblica italiana innanzi alla Corte di Giustizia Europea, che nel 2003 ha utilizzato alcuni articoli del D.p.r. n. 547/55 per sostenere la tesi del recepimento implicito di una particolare direttiva Ce sulla sicurezza delle macchine.

In ogni caso che la direttiva macchine e il D.p.r. n. 459/96 non siano i depositari assoluti degli obblighi in materia di sicurezza delle macchine è dimostrato alche dalle norme vigenti in materia del D. Lgs.. n. 626/94, che si aggiungono tranquillamente a quelle del D.pr 459/96 assimem, la cosa nond esti scalpore, a quelle del D.p.r. n. 547/1955, che, come si deduce dalle senteze sopra esaminate, resta in vigore anche per le macchine marchiate Ce, sia per l'utilizzatore che per il fabbricante-venditore-concedente in uso.

 

La presunta non conformità di una macchina o di un componente di sicurezza, immessi sul mercato o messi in servizio ai sensi della direttiva "Macchine", deve essere riferita per quanto riguarda l'omologazione esclusivamente ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all’allegato I al D.p.r. 459/1996 e non anche alle disposizioni previgenti contenute essenzialmente nel D.p.r. 547/1955, ma lo stesso non si può dire per quanto riguarda le prescrizioni antinfortunistiche di carattere generale estranee al procedimento omologativo, in forza della direttiva e del D.p.r. n. 459/1996, , ma pertinenti al diritto nazionale, in quanto “necessarie per far fronte ad esigenze inderogabili” di protezione e prevenzione degli infortuni sul lavoro, come ben chiariscono i (pur contradditori) considerando alla c.d. “direttiva macchine” sopra riportata.

Tra l'altro la circolare dimentica che la nostra costituzione sancisce la “riserva di legge” in materia penale, e quindi le condizioni della punibilità possono dipendere solamente da una legge nazionale del parlamento, e non mai da una direttiva comunitaria, se non quando la stessa sia stata trasformata in una legge penalmente rilevante, cosa che non è avvenuta col D.p.r. n. 459/1996, che è norma non sanzionata penalmente, e che non sfiora minimamente la problematica della responsabilità penale.

Mentre la legge 198/98 si limita a far riferimento al solo procedimento omologativo del prodotto macchina, senza mettere in questione le disposizioni penalmente sanzionate del D.p.r. 547/55, che fanno riferimento ad esigenze inderogabili che traggono la loro origine dall'art. 32 della costituzione, diritto alla salute, e dagli articoli 2087 del codice civilee 3 del D. Lgs.. n. 626/94, che fanno riferimento alla massima sicurezza tecnica-organizzativa e procedurale concretamente fattibile e a tutte le necessarie misure generali di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

La circolare prosegue, blandamente, affermando che “l'ispettore del lavoro, dunque, qualora riscontri la non conformità di una macchina, contestualmente alla comunicazione al Ministero dell'industria, dovrà informare per iscritto l'utilizzatore della non conformità riscontrata interessandolo, in attesa della conclusione dell'iter previsto dall'art. 7 (ritiro dal mercato e clausola di salvaguardia), ad adottare tutte le misure alternative per garantire la sicurezza dei lavoratori”: in questo caso lì'ispettore, in qualità di pubblico ufficiale, si renderebbe partecipe del reato di omissione di atti del proprio ufficio, in qquanto non segnala all'autorità giudiziaria un reato penale previsto, ad esempio, dal vigente D.p.r. n. 547/1955:

Art. 328 codice penale - Rifiuto di atti di ufficio. Omissione -

Il pubblico ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto dell'ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a lire due milioni. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa (1).

(1) Articolo così sostituito dalla L. 26 aprile 1990, n. 86.

 

Nel caso venga confermata la non conformità della macchina la circolare afferma che :

- nei confronti del costruttore (o mandatario) italiano è ravvisabile la violazione dell’art. 6, comma 2, del D. Lgs. 626/94 (arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire quindicimilioni a lire sessantamilioni). In questo caso, al contravventore sarà impartita una apposita prescrizione tesa all’eliminazione dell’inosservanza.

- nei confronti del venditore è analogamente ravvisabile la violazione dell’art. 6, comma 2, del D. Lgs. 626/94 (arresto fino a sei mesi o con l'ammenda da lire quindicimilioni a lire sessantamilioni) ma, nei confronti dello stesso non verrà impartita alcuna prescrizione in quanto la stessa è già stata impartita al costruttore; l’ispettore, in ogni caso, dovrà impartire al venditore una apposita disposizione, tesa a vietare la vendita di macchine analoghe prima del loro adeguamento.

Questa affermazione è inesatta: si procede ai sensi dell'art. 6 comma 2 del D. Lgs.. n. 626/94 se si tratta di violazioni di norme che non siano il D.p.r. n. 547/1955: nel caso il cui il fabbricante o il venditore abbia violato il D.p.r. n. 547/1955, si applicherà la norma speciale, art. 7 c. 1 D.p.r. n. 547/1955.

 

Nei confronti dell’utilizzatore, secondo la circolare minuisteriale, è invece ravvisabile la violazione dell’art. 35 (combinato disposto degli articoli 35 e 36, comma 1) del D. Lgs. 626/94 e successive modifiche (arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da lire tremilioni a lire ottomilioni). Questo è del tutto erroneo, come la giurisprudenza delal Corte di cassazione si è incaricata di dimostrare, in modo costante e incontrastato, laddove afferma che il D.p.r. n. 459/1996 non ha abrogato il D.p.r. n. 547/1955, e quindi occorrerà distinguere se ci si trova innanzi ad una violazione del D. Lgs.. n. 626/94, 3e allora potrà legittimamente procedersi nel senso indicato dalla circolare ministeriale, oppure se si tratti di violazione di una disposizione del D.p.r. n. 547/1955, nel qual caso dovrà contestarsi la violazione specifica prevista dal decreto degli anni '50.

La pubblicazione continuerà nei prossimi numeri di Puntosicuro

 

Il documento in forma integrale

 

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