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LA SICUREZZA DELLE MACCHINE (parte 2 di 5)

Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Attrezzature e macchine

22/11/2005

Legge penale inderogabile e regolamenti tecnici di omologazione. Obbligatorietà e vigenza del D.P.R. N. 547/1955. Di Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano.

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Pubblichiamo la seconda parte dell'articolo dell’avvocato Dubini sulla sicurezza delle macchine: “Legge penale inderogabile e regolamenti tecnici di omologazione. Obbligatorietà e vigenza del D.P.R. N. 547/1955 (vista la lunghezza, il documento sarà pubblicato in 5 puntate, le successive nei prossimi giorni, il documento integrale,con le sentenze allegate,è comunque disponibile per gli abbonati alla banca dati, link in fondo all’articolo).

Gli articoli precedenti sono stati pubblicati nei numeri 1357, 1359, 1361, 1365 e 1366 di PuntoSicuro.

 

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LA SICUREZZA DELLE MACCHINE: LEGGE PENALE INDEROGABILE E REGOLAMENTI TECNICI DI OMOLOGAZIONE. OBBLIGATORIETA' E VIGENZA DEL D.P.R. N. 547/1955.

PARTE SECONDA. Di Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano.

 

(parte 2 di 5) 

1.2Ribaltamento accidentale dei Trattori agricoli o forestali: applicabilità del D.p.r. n. 547/1955 (Deidda)
Quello che segue è uno stralcio di un importante intervento del Dott. Beniamino Deidda, già procuratore della repubblica a Prato, e oggi procuratore generale a Trieste, il quale, conformemente a quanto fin qui scritto, mette in evidenza la persistente vigenza del D.p.r. n. 547/1955, a fianco della normativa di origine comunitaria:

 

Una prima norma, fondamentale per il nostro discorso è contenuto nella direttiva 74/150 CEE riguardante l’omologazione dei trattori agricoli o forestali che l’Italia ha recepito con legge n° 572/77. La legge prevede dispositivi di protezione per il rischio di ribaltamento, ma nulla dice esplicitamente per quanto riguarda i sistemi di trattenuta. Tuttavia l’art. 9 espressamente recita: “……….. fino a quando non saranno completate le prescrizioni tecniche necessarie per procedere all’omologazione CEE, le prescrizioni emanate in attuazione delle direttive comunitarie particolari possono essere applicate, su richiesta dell’interessato in sostituzione di quelle concernenti l’omologazione nazionale o l’approvazione dei tipi di dispositivi previste……dal D.p.r. n° 547/55 e successive modificazioni”.

La lunga citazione introduce una questione della massima importanza: e cioè se all’epoca in cui la direttiva è stata recepita, potesse o non ritenersi applicabile la disciplina prevista dal D.p.r. 547.

Ora il D.p.r. 547 contiene una norma che impone che i posti di manovra dei mezzi di sollevamento e di trasporto devono essere costruiti e difesi in modo da consentire l’esecuzione delle manovre e dei movimenti in condizioni di sicurezza (art. 182). Ed è indubbio che il posto di guida dei trattori, in virtù di tale norma, debba essere adeguatamente protetto con cabina e cinture di sicurezza come l’esperienza e la tecnica hanno ormai definitivamente dimostrato.

Ma – si dice- proprio l’art. 9 della legge 572/77 consente di sostituire l’applicazione dei precetti contenuti nel D.p.r. 547 con le prescrizioni tecniche emanate in attuazione delle direttive comunitarie particolari in materia.

Ma l’argomento è convincente solo in apparenza, dato che nessuna direttiva comunitaria particolare in materia di trattori prevede l’adozione di sistemi di trattenuta e, in particolare, delle cinture di sicurezza.

Ne consegue che l’art. 182 deve ritenersi applicabile proprio perché il rischio che vi è previsto non è affrontato o eliminato con altre misure equivalenti a quelle previste dalla legge.

Si potrebbe ancora eccepire che l’art. 182 non impone specificamente l’installazione delle cinture di sicurezza.

Naturalmente non sono un tecnico e non vorrei impantanarmi in una questione tecnica.

Ma ... nell’attuale stato di cose non si può prescindere dall’adozione delle cinture di sicurezza.

E non va dimenticato che il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile da gran tempo fa parte del nostro ordinamento.

Perciò i datori di lavoro hanno l’obbligo giuridico di adeguarsi al principio, il quale nel nostro ordinamento trova applicazione in un obbligo penalmente sanzionato.

Da questa conclusione emerge inevitabilmente un corollario. Se l’obbligo di installazione delle misure di sicurezza costituisce un inderogabile dovere di prevenzione, i costruttori hanno obbligo di rispettarlo all’atto della progettazione e della fabbricazione.

 

 

 

... è di così chiara evidenza che il legislatore non intendeva consentire che sul luogo di lavoro fossero presenti attrezzature che non garantiscono la sicurezza dei lavoratori, che all’art. 36 del decreto 626 ha aggiunto il comma 8 ter, secondo cui “fino a che le attrezzaturedi lavoro di cui al comma 8 bis non vengono adeguate il datore di lavoro adotta misure alternative che garantiscano un livello di sicurezza equivalente”.

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Dinanzi ad espressioni così precise com’è possibile pensare che sia consentito alle attrezzature nuove di essere prive dei requisiti di sicurezza essenziali quali, allo stato dell’arte, sono sicuramente le cinture di sicurezza?

Se tutto questo è vero, mostrano un evidente limite quelle ricostruzioni della normativa che propendono per una sostanziale differenza tra le norme rivolte ai costruttori e quelle rivolte agli utilizzatori.

Il motivo del limite è evidente. Nel nostro ordinamento, prima l’art. 7 del D.p.r. 547 e poi l’art. 6 del decreto 626 impongono ai costruttori e ai rivenditori il rispetto delle norme di sicurezza contenute nelle leggi o regolamenti vigenti.

Anche a prescindere dalla vigenza dell’art. 182 del D.p.r. 547, che non può certo ritenersi abrogato, è del tutto evidente che il decreto legislativo 359/99 fa parte integrante dell’ordinamento della prevenzione e impone l’adozione dei sistemi di ritenuta. Così come non si può dubitare che l’allegato XV, che contiene norme tecniche, sia entrato a far parte delle norme di sicurezza vincolanti per ogni costruttore.

Il fatto che la legge preveda espressamente l’adeguamento dei trattori già in uso ai requisisti minimi previsti dall’allegato XV è un argomento formidabile per affermare definitivamente che, se si pretende sicurezza per le vecchie attrezzature di lavoro, tanto più si dovrà avere la certezza che le nuove vengano costruite nel rispetto integrale delle norme di prevenzione.

 

2. SUI RAPPORTI COMPLEMENTARI TRA D.p.r. 547/55 E D.p.r. 459/96

Osserva correttamente Gerardo Porreca [dell'Area Tecnica dell'Ispettorato Provinciale del Lavoro di Bari]:

· Il D.p.r. n. 459/96 intanto fissa dei requisiti essenziali di sicurezza per le macchine sia destinate agli ambienti di lavoro che agli ambienti di vita;

· Il D.p.r. n. 459/96 non fa alcun riferimento alle disposizioni di cui al D. Lgs.. n. 626/94 che pure con l’art. 6 fissa a carico dei costruttori e venditori degli obblighi in merito alla sicurezza delle macchine che costruiscono ed immettono in mercato e destinate agli ambienti di lavoro;

· Il D.p.r. n. 459/96 ha natura di regolamento (e quindi di norma di grado inferiore [sia rispetto al D.p.r. n. 547/55 sia rispetto al D. Lgs. n. 626/94 n.d.r.]) e non prevede sanzione alcuna per chi non lo rispetti. Per sanzionare gli inadempienti per non aver previsto e messo in atto tutti i requisiti essenziali di sicurezza si può far ricorso all’art. 6 del D. Lgs.. n. 626/94 contestando loro di avere fabbricato e messo in commercio macchine non rispondenti a regolamenti ed a norme di legge vigenti in materia di sicurezza sul lavoro;

· Il D. Lgs.. n. 626/94 e successive modificazioni ed integrazioni ha introdotto un titolo intero, il Titolo III, sull’uso delle attrezzature di lavoro con disposizioni destinate ad altri soggetti obbligati quali i datori di lavoro, i dirigenti, i preposti ed i lavoratori e, pure essendo anche esso di derivazione europea, per quanto riguarda le macchine non ha abrogato le norme generali di protezione delle stesse di cui al D.p.r. n. 547 che è stato invece solo integrato in alcuni articoli riguardanti l’installazione di un dispositivo di arresto di emergenza (art. 52), la messa in moto e l’arresto dei motori (art. 53) e l’aggiornamento del libretto di manutenzione (art. 374);

· Il D. Lgs.. ha introdotto a carico dei datori di lavoro l’obbligo della valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori e in particolare fa riferimento alla scelta delle attrezzature di lavoro nonché l’obbligo di attuare tutte le misure tecniche adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature;

· L’art. 46 della legge comunitaria 1995-1997 non fa, altresì, riferimento alle “prescrizioni” ed alle procedure da adottare ai sensi del D. Lgs.. n. 758/96 allorquando la carenza di applicazione dei requisiti di sicurezza previsti dalla Direttiva Macchine costituisce anche “contravvenzione” alle vigenti norme di sicurezza sul lavoro (D. Lgs.. n. 626/94, D.p.r. n. 547/55, ecc.).

Interessanti le conclusioni di Porreca: “comunque affermare che non sono più applicabili in toto le disposizioni del D.p.r. n. 547/55, così come si è avuto modo di leggere e di ascoltare da qualche parte, appare un po’ semplicistico e non rispondente al vero; sostenere invece che siano rimaste in vigore le disposizioni della vecchia normativa allorquando siano concordanti con quelle della nuova e che si deve ritenere tacitamente abolite o meglio inapplicabili quelle contrastanti ed incompatibili con essa appare certamente più accettabile e condivisibile.

 Questo del resto è in linea con quanto indicato nei “considerando” della direttiva comunitaria n. 98/37/CE, concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sulla sicurezza delle macchine, dalla cui lettura discende che la normativa comunitaria deve prevalere su quella degli Stati membri allorquando quest’ultima si presenti incompatibile e contrastante e che gli Stati membri stessi devono abolire quelle disposizioni la cui applicazione potesse essere di fatto un impedimento all’attuazione degli indirizzi comunitari”.

 

 

3. Rassegna di Giurisprudenza sulle relazioni tra la disciplina del D.p.r. n. 547/1955 e D.p.r. 459/1996

In relazione alla disciplina italiana in materia di sicurezza delle macchine, i riferimenti fondamentali sono contenuti nel Decreto del Presidente della Repubblica 24 Luglio 1996, n. 459 (anche tramite la Legge n. 128/98), nel D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547 e nel Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626.

La giurisprudenza si è occupata in più occasioni dei rapporti tra queste norme, ma mai, dicesi mai, ha ritenuto in qualche modo abrogato il D.p.r. n. 547/55.

 

3.1 Ripartizione di responsabilità fra costruttori e datori di lavoro

La Cassazione Penale(Sez. IV - Sentenza n. 31467 del 20 settembre 2002) interviene su una questione cruciale.

Finora il limite di responsabilità fra costruttori di macchine ed attrezzature e datori di lavoro che mettono le stesse a disposizione dei propri lavoratori dipendenti era stato individuato nella presenza del vizio occulto individuabile da parte del datore di lavoro acquirente con la normale diligenza.

Con questa sentenza la Corte Suprema si spinge oltre e, facendo ricorso al criterio della massima sicurezza tecnologicamente possibile che deriva dal Codice Civile (art. 2087), afferma che "il datore di lavoro, garante nei confronti del lavoratore, nel momento in cui acquista una macchina e la introduce nell'azienda, della esistenza dei requisiti di resistenza e di idoneità della macchina stessa, può ritenersi esonerato da responsabilità soltanto se abbia accertato che il costruttore ha sottoposto la macchina ai penetranti controlli, ai fini dell'accertamento della resistenza e della idoneità, che la tecnica e l'esperienza consentono non potendo limitarsi ad opporre di aver acquistato la macchina facendo affidamento sull'osservanza delle regole da parte del costruttore della migliore esperienza e della migliore tecnica".

Nel caso in esame si era verificato un infortunio mortale sul lavoro presso una macchina che provvedeva a tesare dei cavi in acciaio per la costruzione di apparecchiature prefabbricate a seguito di una rottura della stessa che accertamenti successivi avevano individuato in una carenza di progettazione e realizzazione ed in un suo utilizzo non corretto.

In questa occasione la S.C., ponendosi ai limiti del proprio orientamento interpretativo prevalente e consolidato, richiede in sostanza che il datore di lavoro debba provvedere al momento dell'acquisto ad effettuare un "penetrante" controllo della macchina che, in genere, non è in grado di effettuare direttamente ma per il quale deve ricorrere all'intervento di qualificati professionisti sconfinando addirittura nella sfera del progettista.

 

3.2 Controllo di conformita' della macchina da parte del datore di lavoro

Una interessante sentenza in materia di responsabilità penale del datore di lavoro che acquisti una attrezzatura di lavoro presentante difetti costruttivi è stata emanata dalla  Cassazione penale, (Sez. IV - Sentenza n. 19020 del 16 maggio 2002 - Ric. Argentieri)

Con tale sentenza la Corte Suprema, giudicando in merito ad un infortunio avvenuto in un laboratorio di pasticceria vicino ad una impastatrice presentante delle parti mobili non adeguatamente protette, ribadisce "l'obbligo del datore di lavoro di controllare la conformità alle leggi antinfortunistiche delle macchine poste in uso, ancorché provenienti da qualificato fabbricante".

Si noti bene, il riferimento costante è alle leggi antinfortunistiche, come il D. Lgs.. n. 626/94 e il D.p.r. n. 547/55 (quest'ultimo applicato in questo caso specifico).

Già precedentemente la Corte di Cassazione aveva avuto modo di sostenere (Cassazione 9 maggio 2000, D'Urso) che "le eventuali assicurazioni di efficienza sotto il profilo antinfortunistico, formulate dal costruttore [compresa la marcatura CE che, spesso, è una semplice autocertificazione], non sono idonee a mandare esente da responsabilità il datore di lavoro" e che (Cassazione 28 aprile 2000, Galli) "la circostanza che il macchinario è stato fornito al datore di lavoro dalla ditta produttrice senza i necessari avvisi non esime da responsabilità l'imputato perché la norma penale vede come destinatario il datore di lavoro il quale pertanto ha l'obbligo di impiegare il macchinario solo se conforme alle prescrizioni di legge".

 

3.3 Macchinari marcati Ce senza protezione – rapporto tra D.p.r. 547/55 e D.p.r.459/96

La Cassazione penale, sez. III - sentenza n. 32426 del 4 luglio 2001, ha messo a fuoco la responsabilità del datore di lavoro, o quanto meno la corresponsabilità dell'utilizzatore con il fabbricante-costruttore, in caso di infortunio conseguente ad una mancata protezione dell'organo lavoratore di una macchina operatrice provvista di marcatura CE di cui al D.p.r. n. 459/1996.

Nella fattispecie era stata riscontrata la mancata protezione di una tramoggia di una macchina per la macinatura del mais in violazione agli artt. 41 e 73 del D.p.r. n. 547/1955 il che aveva portato all'infortunio dell'operatore che, venuto a contatto con la propria mano con gli organi in movimento taglienti della macchina, veniva colpito dagli stessi subendo lesioni che hanno portato all'indebolimento della mano offesa.

Il datore di lavoro aveva fatto ricorso alla Cassazione sostenendo che l'infortunio si era verificato per il non corretto comportamento del lavoratore e che la macchina era stata acquistata ritenendola, in buona fede, conforme alle normative di sicurezza [marcata CE].

La Corte di Cassazione conclude che i macchinari posti a disposizione dei lavoratori devono essere forniti di tutti i particolari dispositivi di sicurezza idonei a proteggere l'addetto anche nel caso di condotte negligenti o imprudenti del lavoratore e che il requisito dell'assoluta sicurezza deve essere accertato prima che la macchina sia messa in funzione. Già all'atto dell'acquisto, inoltre, il datore di lavoro ha l'obbligo di verificare in concreto la sussistenza dei requisiti di sicurezza provvedendo, se necessario, a dotare il macchinario dei dispositivi di prevenzione dei quali risulti sprovvisto oppure ad integrare quelli già esistenti se questi si presentano in maniera evidente insufficienti.

Né ad esonerare il datore di lavoro da tali obblighi si poteva invocare, secondo un meccanismo di pedissequa automaticità, la circostanza che la macchina fosse provvista della marcatura CE di cui al D.p.r. n. 459/1996.

3.4 Ancora sul rapporto tra il D.p.r. 547/55 ed il D.p.r. 459/96

Cassazione Penale, Sez. III - n. 25953 dell'8 luglio 2002  - Ric. Bocchini.

La sentenza affronta il tema del rapporto fra le norme di sicurezza sulle macchine di cui al D.p.r. n. 547/55 e quelle di derivazione comunitaria contenute nel D.p.r. n. 459/96.

Nella fattispecie un costruttore di una motozappa era stato condannato per il delitto di lesione personale colposa per aver violato l'art. 68 del D.p.r. n. 547/55 sulla protezione delle parti in movimento la cui carenza aveva portato ad un infortunio occorso ad un suo lavoratore dipendente nell'uso di un utensile: il rappresentante legale della ditta produttrice di tale utensile lamentava di essere stato condannato per il delitto di lesione personale colposa sull'erroneo presupposto che detta macchina fosse una motozappa, e che in realtà il veicolo "non era una motozappa, né un motocoltivatore, bensì un piccolo trattore a due assi, il tutto disciplinato dall'art. 3 D.p.r. n. 459/1996", e, dunque, un utensile "ideato e costruito nel pieno rispetto della normativa relativa alla sicurezza e alla prevenzione degli infortuni sul lavoro".

Respingendo il ricorso la Sez. III prese atto che "le ragioni della colpa addebitata all'imputato" erano state individuate nel "fatto che l'apparecchio non fosse dotato di adeguata protezione e di idoneo dispositivo di sicurezza al fine di evitare pericoli per la sicurezza dei lavoratore ex art. 68 D.p.r. n. 547/1955", e che "l'apparecchio ideato e costruito dall'imputato non era stato modificato mediante assemblaggio con altri elementi aggiunti dal compratore di sua iniziativa".

Prese atto anche che "il mezzo meccanico, all'epoca della sua costruzione (nel 1978), era denominato motozappa", e "prevedeva la guida dell'operatore seduto e non a piedi", sicché "era prevedibile - essendo il mezzo destinato a lavori agricoli su terreni sconnessi - che potessero verificarsi ipotesi di retromarcia, di improvvisa oscillazione o comunque di movimenti bruschi".

Dedusse da tutto ciò che "era necessario - come prescritto dall'art. 68 D.p.r. n. 547/1955 - dotare l'apparecchio di idonei sistemi di protezione o di adeguati dispositivi di sicurezza, al fine di evitare che la fresa in movimento potesse provocare lesioni agli arti inferiori dell'operatore seduto sul sedile dell'apparecchio".

Ciò premesso, ammonì che "il richiamo della normativa di cui al D.p.r. n. 459/1996 (recante ``Regolamento per l'attuazione delle direttive CEE concernenti il riavvicinamento della legislazione degli Stati membri relativa alle macchine'') non è pertinente alla materia oggetto del presente processo", in quanto "la citata disciplina è successiva alla normativa vigente all'epoca dei fatti". In ogni caso, utilmente insegnò che tale disciplina "non ha abrogato gli artt. 55, 68, 69, 75 del D.p.r. n. 547/1955 richiamati nel capo di imputazione contestato all'imputato".

Infine aggiunse che "il fatto che la successiva disciplina di cui al D.p.r. n. 459/1996 possa prevedere una classificazione e denominazione degli apparecchi usati nei lavori agricoli diversa da quella vigente all'epoca della costruzione e vendita del mezzo in uso all'infortunato, non impedisce, sotto il profilo logico-giuridico, di denominare tuttora motozappa il mezzo costruito dall'imputato, se tale era la denominazione usata allora", trattandosi "di mera denominazione nominale che non muta la sostanza del problema: ossia la corretta individuazione delle norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro da applicare nel caso in esame".

La conclusione fu che "le norme di cui agli artt. 56, 68, 69, 75 D.p.r. n. 547/1955 richiamate nell'imputazione contestata erano pertinenti alla materia in esame e sono tuttora in vigore". E ancora una volta, la norma di legge penale prevale sulla norma tecnica.

3.5 D.p.r. n. 547/1955 e D.p.r. n. 459/1996

Cassazione penale sez. III - Sentenza 4 febbraio 2003, n. 5167 - Pres. Savignano - Est. Gentile - P.M. (Parz.conf.) Izzo - Ric. Sassi

La normativa in tema di sicurezza delle macchine pone al centro dell'attenzione i rapporti tra le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro dettate dalle leggi degli anni cinquanta, e, segnatamente, dal D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547, e il D.p.r. 24 luglio 1996 n. 459. (per una introduzione al D.p.r. n. 459/1996 v. Guariniello, I soggetti obbligati nel decreto macchine, in ISL, 1997, 3, 155).

 La fattispecie riguarda la condanna per il reato di cui agli artt. 68 e 389, lett. b), D.p.r. n. 547/1955, di un datore di lavoro, che deduce in propria difesa che "il giudice di merito non aveva tenuto conto della norma di legge che consentiva di continuare ad utilizzare nel ciclo produttivo tutte le macchine manuali, automatiche e semiautomatiche prodotte prima del 1996, pur non rispondenti alle più recenti disposizioni comunitarie, ma, comunque, conformi al D.p.r. n. 547/1955", e che "la macchina in questione (una piegatrice) era conforme alla previgente normativa".

La Sez. III della Cassazione la pensa in modo diametralmente opposto.

 Mette in evidenza che, "presso lo stabilimento era in funzione una macchina piegatrice del tipo automatico, che presentava organi lavoratori e relative zone di operazioni, sprovviste di idonei dispositivi di sicurezza", e che "gli organi lavoratori della citata macchina piegatrice, nonché le relative zone di operazione, costituivano un pericolo per i lavoratori addetti alle macchine"), tanto che "si era anche verificato un infortunio in danno di un dipendente addetto alla lavorazione della macchina".

 Da ciò ne decuce che "la condotta dell'imputato - quale rappresentante legale della società - integra il reato di cui agli artt. 68 e 389, lettera b), del D.p.r. n. 547/1955". Precisa a che "la disciplina normativa di cui al citato art. 68 D.p.r. n. 547/1955 prescrive che in ogni caso ed in qualsiasi fase dell'uso di una macchina, il pericolo derivante dagli organi lavoratori della stessa deve essere rimosso mediante idonei sistemi di protezione, oppure, quando ciò non sia tecnicamente possibile, mediante l'adozione di dispositivi di sicurezza", e, "comunque, non lascia alcun margine di discrezionalità in ordine alla necessità di evitare il funzionamento della macchina quando lo stesso costituisca pericolo per il lavoratore addetto".

 

 Giudica poi criticamente "l'assunto difensivo - secondo cui l'uso della citata macchina piegatrice era legittimo, in virtù della normativa di cui al D.p.r. 24 luglio 1996 n. 459 (Regolamento per l'attuazione delle direttive 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93168/CEE, concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative alle macchine)", sottolineando con forza che "la disciplina prevista dal citato D.p.r. n. 459/1996 non ha abrogato la norma di cui all'art. 68 D.p.r. n. 547/1955", e, "comunque, non ha autorizzato l'uso di macchine (nella specie la piegatrice) che costituiscono - a causa dei loro organi lavoratori e delle relative zone di operazioni - pericolo per i lavoratori addetti al funzionamento della macchina medesima".

Quindi la legge penale prevale sempre e comunque sulla norma tecnica, e il D.p.r. n. 547/1955 resta in vigore contemporaneamente al D. Lgs.. n. 459/96.

E dunque:

“La disciplina prevista dal D.p.r. n.459/1996 non ha abrogato gli artt. 55, 68, 69 e 75 del D.p.r. n.547/1955” (Cassazione Penale Sez.III – sentenza 08.07.2002 n.25953 e Cassazione penale sez. III - Sentenza 4 febbraio 2003, n. 5167 - Pres. Savignano - Est. Gentile - P.M. (Parz.conf.) Izzo - Ric. Sassi ).

 

3.6 L'art. 6 c. 2 del D. Lgs.. n. 626/94: obblighi di chi chi fabbrica, vende, noleggia o concede in uso le macchine e le attrezzature di lavoro

Cass. 4 ottobre 2001, Persi e altra (ISL, 2001, 12, 676).

 La sentenza afferma che "gli obblighi normativamente indicati dall'art. 6, comma 2, D. Lgs. n. 626/1994 comportano l'assunzione di un obbligo di garanzia da parte di chi fabbrica, vende, noleggia o concede in uso le macchine e le attrezzature di lavoro, in riferimento alla loro corrispondenza alle prescrizioni legislative e regolamentari e, conseguentemente, alla loro inidoneità, sotto tale profilo, a cagionare lesioni ai lavoratori che le usano", negando che "il nesso di causalità tra tali condotte omissive e l'evento lesivo (possa) ritenersi interrotto dal fatto che l'acquirente della macchina o dell'attrezzatura ne disponga, poi, l'uso, o per il mero fatto che il lavoratore usi, poi, effettivamente la macchina o l'attrezzatura difettosa, tali circostanze non costituendo, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., cause sopravvenute da sole sufficienti a produrre l'evento, e la prima di esse potendo, semmai, fondare un addebito di colpa anche nei confronti di chi abbia consentito, sul luogo di lavoro, l'uso della macchina o dell'attrezzatura difettosa".

 

3.7 La responsabilità ex art. 7 D.p.r. n. 547/55 del fabbricante-venditore non viene meno a causa del tempo trascorso.

 Più specificamente Cass. 14 dicembre 1998, Signorino, ibid., 1999, 4, 232, esamina un'ipotesi in cui il legale rappresentante della ditta costruttrice e venditrice della macchina - condannato per il delitto di lesione personale colposa in conseguenza dell'infortunio intervenuto su una macchina scorniciatrice con i rulli di trascinamento sprovvisti della segregazione prescritta dall'art. 68 D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547 - lamenta che "l'incidente era avvenuto sette anni dopo la vendita della macchina" e che "la macchina era stata acquistata e utilizzata da un'altra ditta prima di passare a quella presso la quale si era verificato l'incidente", e - dopo aver preso atto che "la macchina al momento dell'incidente era nelle stesse condizioni in cui si trovava all'atto della costruzione e dunque priva del dispositivo di segregazione dei rulli di trascinamento", considera irrilevante "l'eventuale esistenza di un ulteriore passaggio di proprietà", poiché, "una volta accertato che la ditta costruttrice aveva venduto la macchina priva del dispositivo di protezione, tale comportamento era di per sé sufficiente a fondare la responsabilità del costruttore".


3.8 Obblighi e responsabilita' del progettista-fabbricante di macchine, e applicabilità dell'art. 7 del D.p.r. n. 547/55

Cassazione penale sez. IV - Sentenza 5 dicembre 2002, n. 40942 - Pres. Pioletti - Est. Brusco - P.M. (Conf.) Abate - Ric. Marradi

Nella fattispecie oggetto della presente sentenza,un imprenditore era stato condannato per il delitto di omicidio colposo in danno di un lavoratore, per avere "progettato e costruito una macchina (c.d. "centrifuga a giostra") utilizzata in una vetreria e priva delle necessarie protezioni degli organi in movimento", con la conseguenza che "durante il funzionamento della macchina la persona offesa era stata colpita al capo subendo gravi lesioni che ne avevano provocato la morte". (con giudizio separato "si era proceduto nei confronti del titolare della vetreria e datore di lavoro della persona offesa nei cui confronti era stata applicata la pena concordata tra le parti").

 Nel ricorso per Cassazione l'imprenditore mette in evidenza che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, la macchina era stata fornita non una settimana, bensì un anno prima dell'infortunio, e che "il ben più lungo decorso del tempo avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a verificare se il mancato collaudo della macchina, e l'omessa consegna del libretto di istruzioni, non dovessero far ritenere interrotto il rapporto di causalità per le ben maggiori e significative omissioni del datore di lavoro, tanto più che gli accordi contrattuali prevedevano che le protezioni venissero installate dal datore di lavoro (questa clausola, contrastante con la prassi seguita, era stata resa necessaria dalla circostanza che la macchina non era destinata a lavorare da sola ma doveva essere messa in linea con altri macchinari della vetreria)".

Nel respingere il ricorso la Cassazione, sez. IV premette, anzitutto, che "il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione e fornitura di una macchina priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza (obbligo su di lui incombente per il disposto dell'art. 7 D.p.r. 27 aprile 1955 n. 547)".

 Precisa che "il problema del tempo intercorso tra la fornitura e l'evento dannoso è, in questo caso, irrilevante", perchè "ciò che rileva, ai fini dell'accertamento del rapporto di causalità, è che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (per es., nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina). Ma se ciò non si verifica, si ha una permanenza della posizione di garanzia del costruttore che non esclude il nesso di condizionamento con l'evento; sempre che, naturalmente, quell'evento sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina".

 Un altro punto viene opportunamente evidenziato: "Neppure la circostanza che la macchina costruita dall'imputato fosse priva delle necessarie protezioni, perché destinata a funzionare in linea con altre macchine, appare rilevante. Obbligo del costruttore è infatti quello di fornire una macchina idonea allo scopo e in regola con le norme di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro indipendentemente dal luogo dove deve essere collocata e dalle modalità di utilizzazione. Solo se la messa in opera delle apparecchiature di difesa è resa temporalmente impossibile dalla necessità di collocazione della macchina all'interno di un sistema complesso potrà il costruttore provvedere in tempi successivi alla sua messa in opera; ma, in questo caso, sarà suo obbligo pretendere che la macchina non venga utilizzata e inizi ad operare solo dopo che l'apparato di sicurezza sia stato regolarmente installato e solo la prova di una autonoma e imprevedibile iniziativa dell'utilizzatore potrà esonerarlo da responsabilità". Nel caso specifico nota la sez. IV, "non solo i giudici di merito hanno escluso che esistesse la prova del presunto accordo tra costruttore e utilizzatore perché fosse quest'ultimo ad installare le necessarie protezioni ma hanno altresì accertato che nessun collaudo era stato effettuato sulla macchina e che neppure le istruzioni sul funzionamento della macchina erano state fornite al titolare della vetreria", e "in ogni caso nessun elemento è stato acquisito che fosse idoneo a dimostrare che la macchina poteva essere fornita delle opere di protezione solo dopo la sua collocazione in linea".

La conclusione è ben nota, anche da precedenti pronunzie: se ragioni tecniche impediscono l'applicazione dei prescritti dispositivi di sicurezza a una macchina, o di adeguarsi alle regole cautelari legislativamente predeterminate, il datore di lavoro non deve porre in uso tale macchina (Corte di Cassazione pen. 5 novembre 2003 n. 41985; Corte di Cassazione pen. 6 novembre 1990 n. 14437).

3.9 Gli obblighi del costruttore

L'"osservanza delle prescrizioni di legge costituisce un obbligo che incombe a chi realizza un impianto o una macchina, indipendentemente da specifiche previsioni contrattuali ed anche nel caso in cui l'acquirente abbia richiesto una prestazione diversa. Questa considerazione è di estremo interesse perché fa giustizia di clausole contrattuali, spesso predisposte dai fornitori, in cui le responsabilità dell'adeguamento sono addossate all'acquirente."(commento alla sentenza n° 1003 delle Cass. SS. UU del 30 gennaio 1991 in ISL agosto 1997 - Sicurezza delle macchine - Responsabilitá del datore di lavoro acquirente e del costruttore di Ruffilli Simona). Si "impone al costruttore di produrre un bene che sia al passo con la migliore tecnologia disponibile sul mercato, al momento della sua realizzazione", e quindi come sopra detto "la cessazione del comportamento antigiuridico del costruttore (ci riferiamo alla messa in commercio della macchina che, non essendo conforme alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, costituisce violazione dell'art. 7 del D.p.r. n. 547/55 e dell'art. 6 del D. Lgs. n. 626/94) si ha con l'offerta di predisporre, a proprie spese, i mezzi di protezione di cui la macchina sia mancante [Cass. Pen. Sez. IV n° 5504 del 12 maggio 1994], oppure con il ritiro dalla circolazione e la sostituzione con altra conforme, non rappresentando la cessione «una ragione di impossibilità giuridica di intervenire sulla macchina dopo la messa in commercio»" [Cass. Pen. sez. IV n. 7820 del 12 luglio]. A nulla varrebbe, invece, per il costruttore, limitarsi ad avvertire l'acquirente della non conformità della macchina, scaricando su questi la necessità di adeguarla." (Cass. Penale sez. IV n° 5504 del 12/05/94).

Oggi, a questo tipo di responsabilità si aggiungono anche quelle di carattere commerciale previste nel D.p.r. n. 459/96 (quali il ritiro dal mercato) per le macchine che, nonostante la marcatura CE, non rispettino di fatto i requisiti di sicurezza di cui all'Allegato I o nelle quali ci sia stata un'erronea applicazione delle norme tecniche armonizzate. In tali ipotesi, può anche prospettarsi l'applicazione delle sanzioni penali ex artt. 515 e 517 c.p. per i reati di frode nell'esercizio del commercio o vendita di prodotti industriali con segni mendaci (Sicurezza delle macchine - RESPONSABILITÁ DEL DATORE DI LAVORO ACQUIRENTE E DEL COSTRUTTORE di Ruffilli Simona - ISL - agosto 1997- IPSOA editore).


La pubblicazione continuerà nei prossimi numeri di Puntosicuro

 

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