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Addetti all’emergenza: come favorire i processi decisionali

Addetti all’emergenza: come favorire i processi decisionali

Il problema delle decisioni in situazioni di emergenza: l’aiuto dei supporti formativi ed alcune strategie che possono essere utili in queste circostanze. Di Antonio Zuliani.


Spesso l’addetto all’emergenza è chiamato a prendere decisioni in momenti difficili e senza avere tutti i dati a sua disposizione. Questa fatto lo può mettere in ansia e ciò può contribuire a commettere errori. Nell’articolo si affronta il problema delle decisioni in queste situazione esaminando i supporti formativi ed alcune strategie che possono essere utili in queste circostanze.

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Addetti all’emergenza: come favorire i processi decisionali
Di Antonio Zuliani.
 
Al manifestarsi di una situazione critica e ancor più nell’evolversi di un’emergenza il personale chiamato ad intervenire si trova nella condizione di dover prendere una serie di decisioni a volte fondamentali per l'esito finale. Prendiamo lo spunto dalle riflessioni sull’emergenza per svolgere delle considerazioni che sono valide più estesamente in momenti critici in cui si affrontano scelte difficili.
 
Decidere non è facile
Decidere non è per nulla facile, tanto più quando si sente il peso di tale responsabilità.
Procedura e linee guida sono utili supporti, ma non ci si può affidare solamente ad esse perché non possono contemplare tutte le caratteristiche di quello che accade.
Uno degli aspetti che rende particolarmente difficile la presa di una decisione è la paura del fallimento con il conseguente “rammarico” accompagnato dall’idea che si sarebbe potuta prendere una decisione migliore.
 
Come ricordavano Zuliani e Bellotto (2013) una delle caratteristiche più interessanti di questo rammarico è il suo legame con la normalità; nel senso che si produce più rammarico quando si prende una decisione diversa da quella abituale, dal default ordinario, e quando il risultato che abbiamo di fronte è prodotto da un'azione piuttosto che da un’inazione (Kehneman). Ecco perché decidere è sempre molto faticoso tanto più quando, come nelle situazioni di emergenza, c’è poco tempo per farlo e le informazioni sulle quali basarsi sono spesso ambigue, incomplete e inusuali.
 
Il processo decisionale
In ogni caso per giungere a una qualsiasi decisione è necessario il concorso di tre componenti fondamentali:
 
- Il cervello, che è la “macchina per pensare”. Si tratta di una macchina che non si compera da nessun concessionario, ma nasce, si sviluppa e acquista via via delle caratteristiche peculiari. Come ogni macchina chiede una continua manutenzione per mantenerne l'efficienza;
 
- Dei dati da elaborare. Il cervello raccoglie in ogni istante una grande massa di informazioni provenienti dal mondo esterno e da quello interno. Il fatto che giungano tutti questi stimoli contemporaneamente spinge il cervello, inevitabilmente, a fissare la sua attenzione solamente su alcuni punti: ciò provoca il fenomeno della cecità attenzionale, un processo in base al quale la concentrazione su di uno specifico elemento della scena provoca la sparizione di tutti gli altri. È come se si creasse una sorta di ancoraggio che determina il significato di tutti gli altri aspetti. Come dice Bacon “quando hai adottato un’opinione (perché è l’opinione generalmente accettata o perché gli è gradita) l’intelletto umano porta ogni altro elemento a supportarla e a concordare con essa”.
 
- L’energia sufficiente per far funzionare il tutto. Prendere decisioni richiede energia e quindi occorre prestare molta attenzione ad avere una sufficiente riserva di energia.
 
Il ruolo della formazione
La formazione può avere un ruolo decisivo nel favorire il miglioramenti dei processi decisionali nella misura in cui permette alla persona di mettersi a confronto con alcune delle problematiche sopra citate e di acquisire delle risorse organizzative e metodologiche fondamentali.
 
Tra gli aspetti che la formazione può migliorare vi è la capacità di lavorare in gruppo. Il gruppo è il luogo in cui le persone si scambiano informazioni sui temi del lavoro o della presenza di un problema da risolvere. Lo fanno sulla base di ruoli e competenze sui quali occorre possedere chiarezza.
Il lavoro di gruppo cui facciamo riferimento in questa sede si inquadra nel profilo del team work perché le persone chiamate a farne parte vi giungono sulla base di ruoli e competenze lavorative e non per una scelta emotiva o personale.
Lavorare in un team work permette anche di imparare ad affrontare i conflitti che inevitabilmente si sviluppano all’interno e ciò sarà utile per prepararsi ad affrontare le emergenze, dove le tensioni tra le persone sono inevitabili.
 
Il lavoro di gruppo permette di sviluppare un’altra caratteristica utile che è quella di riconoscere l’efficacia della leadership. La figura del leader, ricordiamolo, non coincide automaticamente con quella del capo o della persona gerarchicamente ai vertici di un’organizzazione, bensì è colui che riesce a sintetizzare i bisogni e le esigenze del gruppo. In questa direzione il leader diventa un facilitatore nella presa di decisione perché coinvolge tutti in questo processo.
Una terza competenza che il lavoro di gruppo permette di sviluppare è quella della comunicazione intesa sia come capacità di ascolto (se non si ascolta non si possono valorizzare i feedback che provengono dagli altri in ordine alla soluzione dei problemi) sia come modalità comunicativa. Comunicare non significa solamente trasferire un’informazione ad un’altra persona, ma assicurarsi che la stessa sia messa nelle condizione di comprenderla.
 
Ecco allora poste le basi per mettere la persona nelle condizioni migliori per l’ultima competenza sulla quale la formazione può incidere: l’attenzione agli errori cognitivi insiti in ogni processo decisionale. Se commettere errori è normale, solo un costante confronto con gli altri può ridurre l’incidenza e l’ansia che si possono generare. E’ nell’esperienza comune la constatazione che più si teme di sbagliare e più si sbaglia.
Lavorare collettivamente sugli errori permette di poter assumere una maggior consapevolezza della loro presenza senza il bisogno di negarne l’evidenza.
 
Alcune strategie
Di seguito presentiamo alcune strategie, sulla stregua di quanto scrive Konnikova (2013), che possono essere utilizzate al fine di migliorare la capacità decisionale di fronte ad un problema. Si tratta di indicazioni di massima che vanno sempre adattate alle caratteristiche personali di chi le vuole mettere in pratica.
 
Assicurarsi sufficiente energia.
Come detto il cervello ha bisogno di energia e molti studi sottolineano come gli zuccheri siano elementi fondamentali nei processi decisionali. Anche un leggero calo dei livelli di zucchero nel sangue inibisce l’autocontrollo, perché i lobi frontali esigono moltissima energia per funzionare. Ciò significa che in questa situazione si diviene più facilmente irascibili perché il cervello è meno capace di controllare le emozioni negative suscitate dalla situazione (Lehrer, 2009).
Per aiutarsi, come suggeriscono Gaillot e altri (2007) basta una semplice bibita zuccherata che possa reintegrare la concentrazione di glucosio nel sangue. Dewal e altri (2008) hanno evidenziato come l’assunzione di liquidi zuccherati aumenti la stessa disponibilità ad aiutare gli altri proprio nelle persone che, per il loro incarico, hanno dovuto svolgere compiti che richiedono una grande dose di autocontrollo, come nel caso di addetti alla sicurezza e all'emergenza.
 
Un cambio di attività
Cambiare attività, ovvero passare a qualche cosa di apparentemente non correlato al problema che si sta affrontando per decomprimere il pensiero. È chiaro che deve trattarsi di un'attività verso la quale si nutre un certo interesse, ma che al contempo non risulti troppo complicata o richiede uno sforzo eccessivo: possiamo parlare di musica arte letteratura senza dimenticare che il passeggiare rappresenta un grande stimolo creativo, oltre a far bene all’organismo.
 
Assumere una distanza fisica
Gli studi di psicologia ambientale ci mostrano come i luoghi abbiano una grande capacità di influenzare il pensiero, perché i luoghi ci collegano ai ricordi, alle attività che vi si svolgono.
Da questo punto di vista un cambiamento della prospettiva rispetto al luogo può sollecitare un cambiamento anche nella prospettiva mentale che aiuta il processo decisionale.
 
Raccogliere i dati con temperanza
Spesso di fronte a una situazione si ritiene che più dati si raccolgono più facile sarà prendere la decisione giusta. Secondo gli studiosi i dati veramente utilizzabili contemporaneamente vanno da 4 ad 8. Certamente l'esperienza piò aiutarci ad accrescere tali capacità, ma non di molto.
 
Valutare le ipotesi concorrenti
Ogni qual volta si provi a vedere il problema da una diversa prospettiva si può scoprire che le convinzioni si basano su fondamenta fragili per cui appare utile verificare le soluzioni adottate assumendo punti di vista diversi.
Separare le osservazioni dalle deduzioni.
Si tratta di un'attenzione molto importante altrimenti rischiamo che le nostre decisioni si fondano sulle convinzioni anziché sui fatti.
 
Descrivere la situazione
Un utile esercizio per attenuare gli errori consiste nel descrivere la situazione ad una persona che non la conosce (in mancanza di meglio tale descrizione può essere fatta per iscritto). Lo stesso atto di parlare obbliga la persona a rallentare e a raccogliere gli errori che possono insinuarsi all’interno dell’idea precostituita che si è fatto della situazione. Si potrebbe quasi dire che le orecchie notano le cose che gli occhi non hanno visto.
Erroneamente si ritiene che questo racconto sai una perdita di tempo, che invece risulterebbe alla fine molto più significativo se si prendessero decisioni sbagliate.
 
Tenere conto di tutti i sensi
Tutti i sensi ci influenzano nella percezione, anche se spesso non ce ne rendiamo perfettamente conto. Allora si dovrebbe lavorare per avere un'osservazione inclusiva che utilizzi i segnali che arrivano da tutti i sensi.
Pensiamo sotto questo aspetto a quanto venga trascurato l’olfatto, visto come una sorta di senso invisibile, che invece ci invia costantemente segnali che registriamo anche se in modo inconsapevole. Numerosi studi sottolineano come l'olfatto influenza il funzionamento dell’amigdala e quindi tutto il processo delle emozioni.
Anche il tatto ha una sua rilevanza: pensiamo alla sensazione di caldo, freddo, di liscio o ruvido, che ci spinge a ritenere una situazione più o meno gradevole.
 
Valorizzare l'immaginazione e la creatività
L’immaginazione e la creatività sono aspetti molto importanti perché permettono di prendere tutti gli aspetti raccolti dall’osservazione dell’evento e di ricombinarli in modo del tutto nuovo. Poter usare questa strategia permette di combinare gli elementi in possesso avendo libertà di usarli nelle più svariate maniere, attenuando la terribile forza della semplificazione e delle euristiche (vedi Zuliani e Bellotto, 2013).
Utilizzando l’immaginazione si fa una sorta di passo indietro rispetto a quanto stiamo osservando e si vede il tutto da altri punti di vista. Proprio l’immaginazione e la creatività favoriscono la possibilità di assumere una distanza psicologica dall’evento di riuscire a vederlo in modo più obiettivo.
 
Ricordarsi che improbabile non significa impossibile
Quest’osservazione può sembrare fin troppo ovvia, ma il nostro cervello non sembra pensarla allo stesso modo. Il cervello, quando incontra un fatto nuovo, cerca di inquadrarlo all’interno di ciò che gli suggerisce l’esperienza passata e lo fa utilizzando la logica del possibile, ovvero utilizzando dei punti di ancoraggio che lo inducono a leggere ciò che sta accadendo rispetto a schemi precostituiti che hanno funzionato benissimo in passato.
L’improbabile arriva ad avere poco spazio nel nostro ragionamento perché entra in conflitto con le esperienze passate consolidate.
Ancora una volta rischiamo di utilizzare dei pregiudizi e delle aspettative di coerenza che possono indurci ad una lettura errata della situazione.
 
Diffidare dell’eccessiva sicurezza
L’eccessiva sicurezza rappresenta un grave pericolo perché alle sue spalle c’è una sorta di autocompiacimento che può sfociare nella presunzione di saper sempre compiere le scelte più opportune.
Se è ben vero che la fiducia in se stessi è una molla fondamentale che ci spinge ad utilizzare la nostra capacità e ad andare oltre i nostri limiti, c'è il rischio che essa ci spinga solo a stimare le nostre abilità e a sottostimare quello che accade attorno a noi, perché riteniamo di poterlo sempre controllare.
Quindi l'eccessiva sicurezza può generare cecità e spingerci a errori madornali. Vi sono dei segnali importanti per comprendere quando questa sicurezza diventi pericolosa: tendiamo ad essere troppo poco sicuri sui problemi facili e troppo sicuri su quelli difficili; aumenta la familiarità rispetto alle cose che affrontiamo per cui ci sembra di conoscerle già appieno e di non aver bisogno di mettersi in ascolto.
 
 
Antonio Zuliani
 
 
 
 

Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

 

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Rispondi Autore: Attilio Pagano - likes: 0
03/10/2013 (07:34:20)
Antonio Zuliani ci mostra che si può comprendere il comportamento umano considerandone anche gli antecedenti cognitivi, emotivi e sociali. Questo è un passaggio necessario per governare il rapporto tra comportamento e sicurezza, sia nella prevenzione che nella gestione dei rischi e delle situazioni di emergenza. La strada che Zuliani indica è del tutto diversa da quella del comportamentismo limitato al paradigma stimolo-risposta degli approcci BBS.

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