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IL FATTORE UMANO NELLA GESTIONE DELLE EMERGENZE

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Gestione emergenza ed evacuazione

10/03/2006

Criteri, metodi e soluzioni operative per la selezione degli addetti alle squadre di emergenza, antincendio e di primo soccorso. Continua la pubblicazione degli atti del convegno.

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PuntoSicuro, continua la pubblicazione (vedere PuntoSicuro n. 1415 e 1422) in più articoli degli atti del convegno tenutosi a Bologna il 13 settembre 2005: “Il ruolo critico del fattore umano nella gestione delle emergenze, criteri e metodologie per la selezione degli addetti alle squadre di emergenza sanitaria, antincendio e primo soccorso”.
Di seguito il terzo intervento (i successivi saranno pubblicati nei prossimi numeri di PuntoSicuro, mentre per gli abbonati alla banca dati ci sarà a breve la possibilità di scaricarli tutti).

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Prevenzione e gestione emotiva delle emergenze
La paura ed il panico: emozioni da gestire
 
Le emergenze sono una realtà con la quale bisogna imparare a convivere. Su questo l’umanità ha sempre avuto una chiara consapevolezza, prima che l’ondata razionalistica e tecnologica producesse un tale delirio di onnipotenza da far ritenere che fosse possibile eliminare le catastrofi ambientali dalla propria esistenza. In situazioni di emergenza vengono fortemente attivate da parte delle persone coinvolte difese psicologiche molto potenti, come ad esempio la negazione o la rimozione, che denunciano quanto forte sia l’angoscia degli esseri umani nei confronti di questi eventi. Il processo di rimozione sociale della catastrofe si fonda su una rimozione individuale della stessa, e se il frutto di tale dimensione a livello individuale si manifesta con la patologia psicosomatica, che è in particolare l’espressione della scissione nell’uomo fra mente e corpo, tra espressioni istintive pulsionali profonde ed elaborazioni razionali difensive, a livello collettivo la catastrofe può essere intesa come l’espressione sintomatica della rimozione dello stesso conflitto natura - cultura. 
 
E così come per risolvere il sintomo l’analista parte da esso, cercando di rintracciare e costruire il materiale dimenticato, rendendo cosciente ciò che è rimosso, nello stesso modo per risolvere il sintomo “catastrofe” occorre fare tale opera archeologica di dissotterramento (P. Bria, 1981).
 
Negli anni ‘80 si cominciò a focalizzare nel nostro Paese quanto fosse necessario affrontare in maniera articolata una nuova organizzazione della protezione civile e della sicurezza, non solo dal punto di vista legislativo ed operativo, ma anche dal punto di vista relativo alla formazione psicologica. L’essere umano infatti è sempre soggetto ad un continuo sforzo di adattamento nei confronti del suo ambiente psicosociale e ad un continuo plasmarsi bio-psicologico al mondo circostante (P. Pancheri, 1980).
 
La sua vita è determinata dall’articolarsi di un continuo cambiamento causato da avvenimenti esistenziali comprendenti sia piccoli eventi quotidiani ma anche rari e grandi eventi che richiedono una grande riorganizzazione psicologica.
 
Le caratteristiche comportamentali ed emotive che distinguono le persone fra di loro e che influiscono maggiormente all’adattamento, alla sopravvivenza di un soggetto di fronte alle pressioni ambientali sono le emozioni (Darwin). Tra di esse, un ruolo chiave nella gestione emotiva delle emergenze spetta alla paura.
 
La paura è un'emozione che ha uno scopo puramente biologico, è presente in tutti gli esseri viventi e assolve alla funzione di proteggere l'organismo. La paura protegge e prepara all'azione.
 
In un ambiente pericoloso è vitale rispondere con atteggiamenti di paura poiché essa predispone l'organismo ad una risposta coerente alla realtà dell'ambiente in quella particolare circostanza.
 
Ma se da un lato essa è un'emozione per sua natura difensiva, protettiva ed aiuta a dare una risposta efficace, può ottenere un effetto contrario, divenendo disgregante del comportamento, quando degenera nel panico che paralizza ogni movimento o spinge a comportamenti irrazionali (Di Iorio 2001, Di Iorio-Biondo 1987). Esso scatta quando gli stimoli negativi superano la soglia di vulnerabilità personale.
 
La degenerazione di tale emozione non sempre dipende direttamente dalla gravità della reazione esterna (cataclisma), ma anche da una non adeguata elaborazione della risposta adattiva da parte dell’organismo, incapace di strutturare una "strategia di salvezza".
 
In questi casi scatta l'allarme e poi il blocco.
 
Al panico si accompagna una grande inquietudine ed agitazione, unitamente ad un comportamento disorganizzato e afinalistico: in questa connotazione estrema l'ansia impedisce all'individuo l'organizzazione di un'adeguata strutturazione del pensiero e di strategie difensive a livello psico-cognitivo (R. Infrasca,1995). Il panico può scatenarsi di fronte a reali stimoli esterni (incidenti, terremoti ecc.) ma anche ( e forse più spesso) di fronte a gravi pericoli e minacce derivanti dal mondo interno del soggetto, dai conflitti esistenti nel suo inconscio infatti generalmente si sostiene una triplice derivazione dell'attacco di panico: biologica, comportamentale e psicodinamica.
 
La paura che si presenta davanti ad un incendio è considerata una risposta funzionale alla sopravvivenza, mentre il panico è considerato una reazione mal organizzata ed eccessiva di fronte a un pericolo dal quale non ci si sa difendere. Il panico compare molto frequentemente in situazioni di emergenza dove è difficile reagire normalmente, dove non si può scappare, non ci si può arrabbiare, non ci si può mostrare deboli e chiedere aiuto, non ci si può disperare ed essere tristi, non si riesce ad organizzare l'azione, non si riescono ad integrare tra loro emozioni e cognizioni, personaggi e storie. Occorre prepararsi per tempo a rispondere in modo sereno e razionale alle situazioni di emergenza.
 
Tra i fattori che influenzano il comportamento in una situazione di stress o di emergenza (le risorse fisiche individuali, l'ospitalità o meno dell'ambiente, presenza di amici o di nemici, danni fisici riportati) è dimostrato che il più importante è quello psicologico.
 
Se la vittima riesce a reagire positivamente all'emergenza conservando o innescando la voglia di vivere, la volontà di lottare contro gli ostacoli, la fiducia in se stesso, la speranza di sopravvivere, la volontà di raggiungere i propri cari, il controllo del panico, l'eliminazione di ogni pensiero depressivo, avrà il massimo delle possibilità di sopravvivere (nonostante gli altri fattori possano essere sfavorevoli). Se invece l'infortunato diviene preda del panico perdendo ogni speranza di vita, la fiducia in se stesso e risponde negativamente al pericolo, avrà pochissime possibilità di sopravvivere (nonostante gli altri fattori possano esse favorevoli) ( D. Biondo, R. Di Iorio, 1989).
 
Quanto premesso fa capire come non basti lavorare solo su un buon addestramento tecnico ma sia necessario lavorare parallelamente e con la stessa serietà sugli aspetti psicodinamici delle persone potenzialmente coinvolte in una situazione di emergenza.
 
 
Il fattore psicologico 
 
L’emergenza è una condizione improvvisa di pericolo o di danno alle persone o alle cose per cui solo un intervento immediato può scongiurare un ulteriore aggravarsi della situazione o l’insorgenza di conseguenze irreparabili.
 
 
L’emergenza rappresenta un dato situazionale improvviso al quale l’individuo è tenuto a rispondere prontamente, attivando una serie di competenze tecniche e di efficaci risposte psicologiche.
 
La sopravvivenza spesso si gioca in pochi secondi subito dopo un evento catastrofico ed è determinata da un’immediata risposta psico-comportamentale individuale e da una successiva protezione collettiva.
 
Il concetto di sopravvivenza è molto complesso perché il restare in vita si fonda su varie capacità come quelle di:
 
1) conoscere l’ambiente e i suoi rischi
 
2) conoscere i comportamenti più appropriati di prevenzione e soccorso
 
3) riuscire a dominare il proprio corpo in caso di emergenza attraverso il controllo della mente
 
Se l'infortunato riesce a reagire positivamente all'emergenza conservando o innescando i meccanismi psicologici sopra citati, avrà il massimo delle possibilità di sopravvivere (nonostante gli altri fattori possano essere sfavorevoli).
 
 
Possiamo affermare che la sopravvivenza sia per l’80% mentale, per il 10% equipaggiamento, per il 10% abilità personale.
 
Davanti ad un pericolo, ad una paura o ad un dolore forte l’individuo può sviluppare atteggiamenti di lotta, fuga o immobilità. Tali comportamenti dipendono dalla relazione tra gli organi sensoriali specifici (occhi,ecc.) e l’apparato muscolare scheletrico che consente i movimenti.
 
È da sottolineare che risposte di aggressività, rabbia o paura di fronte a situazioni ambientali pericolose costituiscono meccanismi omeostatici che servono a proteggere e ad assicurare la sopravvivenza dell’individuo.
 
Ricordiamo che in un ambiente pericoloso è vitale rispondere con atteggiamenti di paura che predispongono l’organismo ad una risposta coerente alla realtà dell’ambiente.
 
La paura diviene pericolosa quando si trasforma in panico e paralizza ogni movimento o spinge a comportamenti irrazionali.
 
La prevenzione e la formazione per le emergenze
 
Tutti sono d’accordo nell’affermare che la prevenzione costituisce la base da cui partire per far fronte alle emergenze.
 
Prevenzione significa realizzare prima dell’evento tutti gli accorgimenti necessari al verificarsi o al ridursi delle conseguenze.
 
Formazione significa imparare a gestire una piccola o grande emergenza nel senso che ognuno dovrebbe essere in grado di conoscere e migliorare le proprie capacità autoprotettive, ognuno dovrebbe conoscere i rischi a cui è soggetto e le strategie per affrontarli.
 
La proposta formativa elaborata da me e dal collega Biondo dell’Associazione Centro Alfredo Rampi onlus, può essere riassunta come proposta di educazione emotiva alla gestione dei rischi ambientali (Biondo-Di Iorio 2002). Tale proposta, messa in pratica in più di venti anni di attività lavorativa, nella formazione di insegnanti, volontari di protezione civile, psicologi, personale addetto alla sicurezza,
 
 
Essa prende in considerazione le strategie per affrontare psicologicamente sentimenti come la paura, la rabbia, il coraggio, la ricerca dell’avventura, la trasgressione, il rapporto con la morte, il rapporto con l’imprevisto e con la perdita.
 
Tale formazione va inevitabilmente affiancata ad una formazione finalizzata al corretto comportamento da attuare in caso di emergenza e ad un addestramento alla risposta di gruppo (Biondo-Tini a cura di, 2003).
 
Preparazione individuale e collettiva
 
L’individuo può essere aiutato a neutralizzare l’esperienza traumatica dell’incidente e della catastrofe se riesce a non imputarla alla fatalità, alla malasorte, ad eventi esterni alla sua stessa vita, ma alla propria responsabilità, quasi sempre presente, seppur in misura variabile o al caso che pure fa parte della dimensione esistenziale della condizione umana. Diventa necessario recuperare il senso degli eventi tragici per spostarsi dalla dimensione del “fato” a quella del “destino” che storicizza questi eventi, permettendo all'essere umano di gestirli e controllarli emotivamente.
 
Nello stesso modo la comunità colpita da una calamità deve essere aiutata a comprendere che per quanto naturale, la calamità denuncia sempre (oggi più che mai) la responsabilità dell’uomo.
 
Riconoscere tale responsabilità è utile:
- per prevenire le cause,
- per prepararsi all’emergenza,
- per modificare la percezione di questi eventi,
- per mobilitare l'impegno ricostruttivo,
- per superare il senso di impotenza e di disperazione che inevitabilmente è correlato al trauma prodotto dall’emergenza.
 
Appena scatta l’emergenza è fondamentale per la sopravvivenza innescare un processo di controllo delle proprie risorse, per ottimizzarle, al fine della gestione del proprio stress.
 
Preparazione collettiva
 
Tale fase contempla:
- la messa a punto di strategie di prevenzione
- l’organizzazione delle difese capaci di fronteggiare l’emergenza (ad es. l’utilizzo di apposita attrezzatura antincendio)
- l’attivazione delle risorse preorganizzate presenti direttamente sul luogo dell’emergenza - l’attivazione delle risorse sociali organizzate (118)
 
Disaster program
 
Successivamente a un’efficace preparazione individuale e collettiva, si potrà procedere con un “disaster program”, basato sui seguenti punti:
- realizzazione di un programma di intervento diversificato secondo la tipologia dell’ambiente di lavoro e di rischio per assicurare un piano organizzativo coordinato per la risposta al disastro (naturale-antropico-terroristico)
 
Messa a punto, precedentemente all’emergenza, di efficaci strategie di prevenzione attraverso lo:
- sviluppo e organizzazione di team permanenti o ad hoc presenti sul territorio o interni ai luoghi di lavoro, mediante:
- la selezione di personale in base a criteri fondamentali di salute psicofisica adeguata ad affrontare situazioni di emergenza,
- l’assegnazione dei ruoli e delle competenze,
- la formazione degli stessi per una specifica gestione emotiva in caso di emergenza,
- la formazione ad una specifica attivazione di procedure operative standard,
- la formazione di personale di supervisione e riferimento per i soccorritori, 
- la gestione delle relazioni interne ed esterne.
 
Preparazione e diffusione di opuscoli relativi al piano di evacuazione e all’adeguato comportamento psico-comportamentale da attuare in caso di emergenza ad uso dei dipendenti della struttura aziendale e, ove previsto, della popolazione limitrofa.
 
Il lavoro di gruppo, finalizzato esplicitamente a mediare, comunicare, integrare, cooperare, coordinare l’equipe che lavora con un obiettivo comune.
 
Il lavoro di gruppo intorno ad un unico progetto può permettere ad ogni individuo che vi partecipa di scoprire le proprie ed altrui risorse rispettando le regole fondamentali proprie di un buon lavoro di gruppo. In assenza di esse si rischiano una serie di difficoltà che producono la disorganizzazione del gruppo e l’incapacità di perseguire gli obiettivi comuni. Occorre costruire la capacità del gruppo di tollerare queste difficoltà e, man mano che si presentano, porvi rimedio. Il gruppo si deve esercitare per costruire la competenza specifica di un gruppo stesso, necessaria per affrontare efficacemente le situazioni d’emergenza.
 
Nel caso in cui un’emergenza o un grave incidente colpisca un gruppo piuttosto che un singolo (smarrimento in un bosco o in alta montagna, incidente di aereo o di nave, esplosione, fuga chimica ecc.) la sopravvivenza dipende da come il gruppo nella sua totalità riesce ad organizzarsi. L’organizzazione permette di risolvere meglio tutti i problemi materiali e psicologici legati a quell’emergenza specifica.
 
La capacità di lavorare in gruppo rappresenta:
- il miglior presupposto per ricevere dal gruppo il sostegno emotivo necessario per affrontare l’emergenza e metabolizzare lo stress da soccorso;
- la possibilità di comunicare con maggior efficacia con gli altri al fine di un più preciso coordinamento con i soccorritori appartenenti ad altri gruppi, enti o istituzioni;
- il presupposto per integrare i diversi interventi di soccorso e raggiungere il miglior coordinamento operativo, nonché l’armonia relazionale fra i diversi soccorritori (Biondo-Di Iorio, 2004).
 
Per avere una visione di alcune proposte pratiche relative al settore della protezione civile si può fare riferimento alla bibliografia acclusa.
 
Orientamenti psicologici applicati al soccorso delle vittime di incidenti e calamità:
 
I più comuni orientamenti psicologici applicati al soccorso delle vittime in situazioni di emergenza sono riferibili ai seguenti indirizzi applicativi. Per una trattazione più esauriente delle caratteristiche specifiche, dei punti di forza e dei limiti intrinseci, si rimanda ad altro lavoro.
 
Indirizzo cognitivo comportamentale
(Ristrutturazione cognitiva, desensibilizzazione al trauma, problem solving, esercitazione)
 
Tecniche immaginative
(Ipnosi, immaginazione guidata, rewind, direct therapy exposure, tecniche di rilassamento).
 
Indirizzo psicanalitico
(Terapie analitiche brevi , dinamica di gruppo)
 
Tecniche più specifiche
(Defusing, debriefing, EMDR)
 
Rita Di Iorio
 
Responsabile gruppo di psicologia dell’emergenza dell’Ordine degli Psicologi del Lazio
Segretario Nazionale del Centro Alfredo Rampi ONLUS
Responsabile area psicologia dell’emergenza di Alfa Ambiente Consulting
 
BIBLIOGRAFIA
 
Associazione per l’educazione alla sopravvivenza,corso pratico di sopravvivenza,1982
 
Biondo D. ,  Di Iorio R. (1989) I bambini e il rischio ambientale come difenderli da incidenti e calamità, La Nuova Italia, Firenze
 
Biondo D., Di Iorio R. (1987a), Manù a proteggerci ci pensi tu, Enitalia.
 
Biondo D.,Di Iorio R. (1987), Il comportamento dell’uomo in caso di emergenza,  Centro Alfredo Rampi
 
Biondo D.,Di Iorio R. a cura di (2004), CD : Prepararsi all’emergenza manuale per la costituzione di un gruppo scolastico di protezione civile, Provincia di Roma, Centro Alfredo Rampi onlus
 
Biondo D. –Tini F. ( a cura di ) ( 2003)      285 modi per crescere , istruzioni per l’uso Editori Riuniti  Roma
 
Bria P. (1981) Catastrofi e teoria psicoanalitica del conflitto. In Laboratorio Politico, Einaudi, Torino,1, 5-6.
 
Di Iorio R., La paura ed il panico: emozioni da gestire, in DPC informa, periodico del   dipartimento della Protezione Civile, marzo 2001, anno VI n.36  
 
Di Iorio R., Biondo D. (2002), La proposta del Centro Alfredo Rampi onlus per la gestione dell’emergenze ambientali,La professione di psicologo: Giornale dell’ordine Nazionale degli Psicologi 05,2002
 
Infrasca R. ( 1995) l disturbo da attacchi di panico. Un approccio clinico psicodinamico, Quaderni italiani di Psichiatria, XIV,1-2
 
Paolo Pancheri (1980) Stress emozioni malattia introduzione alla medicina psicosomatica, Edizioni Scientifiche e Teniche Mondatori, Milano
 
Il convegno è stato organizzato da Alfa Ambiente Consulting


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