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Condanna per inadeguato controllo delle prescrizioni di sicurezza in cantiere

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Edilizia

09/01/2008

Condannato dalla Cassazione un Coordinatore in fase di esecuzione a seguito di un infortunio mortale sul lavoro per non aver esercitato un adeguato controllo ed accertato che fossero realizzate tutte le prescrizioni fornite con il PSC. Di G. Porreca.

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Condannato dalla Corte di Cassazione un Coordinatore in fase di esecuzione a seguito di un infortunio mortale sul lavoro per non aver esercitato un adeguato controllo ed accertato che fossero realizzate tutte le prescrizioni fornite con il PSC.
 
Commento a cura di Gerardo Porreca (www.porreca.it).
 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - IV Sezione Penale - Sentenza n. 19372 del 18 maggio 2007 (udienza 15 marzo 2007) - Pres. Marini - Est. Bricchetti - P.M. De Sandro - Ric. G. A. ed altri. - Infortunio mortale, infortuni sul lavoro, PSC, piano di sicurezza e coordinamento, inadeguato controllo, appalti, prescrizioni di sicurezza, cantieri edili, cadute
 
In tema di prevenzione di infortuni, in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza può gravare, oltre che sul datore di lavoro, che, di regola, è l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche, anche sul committente, qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione nel consentire l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose. Il committente, inoltre, può essere chiamato a rispondere dell'infortunio qualora l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile e la responsabilità non può essere esclusa dalla circostanza che egli abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza
 
Questa è la massima della sentenza in argomento ma, dopo una lettura della sentenza stessa, abbastanza complessa, si osserva subito la presenza nella massima di una svista in quanto benché in essa si faccia riferimento alle responsabilità del committente a seguito di un infortunio con esito mortale, in effetti l’imputato nel processo in esame non era il committente ma il coordinatore in fase di esecuzione il quale aveva redatto il piano di sicurezza e di coordinamento ma poi, in qualità di coordinatore per l’esecuzione, si era del tutto disinteressato all’esecuzione dei lavori.
 
È come se nella massima sia stato fatto erroneamente riferimento ad un caso di appalto al quale non si applicasse il D. Lgs. n. 494/1996 ed in ordine al quale il committente fosse tenuto di fatto a svolgere dei compiti anche nella organizzazione della sicurezza.
 
Il caso in esame riguarda l’infortunio accaduto ad un lavoratore dipendente di una ditta subappaltatrice il quale mentre stava effettuando dei lavori di sottomurazione, bitumazione e rasatura di una scogliera in fase di costruzione nell'alveo di un torrente e si trovava in piedi su una scala appoggiata alla scogliera stessa, a circa 1.50 m da terra, veniva travolto da uno dei massi che era caduto, appena posizionato, e che lo aveva fatto "rovinare" sul greto del torrente schiacciandolo. Il lavoratore riportava gravissime lesioni (trauma da schiacciamento e fratture multiple) che ne determinavano il decesso sul posto.
 
Il Tribunale in primo grado condannava per omicidio colposo in concorso fra loro il direttore tecnico dei cantieri della ditta subappaltatrice, il capocantiere del cantiere presso il quale era avvenuto l’infortunio ed il coordinatore in fase di esecuzione, essendo state riscontrate  delle violazioni all’art. 16 del D.P.R. 7/1/1956 n. 164, all’art. 11 del D.P.R. 27/4/1955 n. 547 ed agli artt. 377 e 381 del D.P.R. n. 547/1955 per il mancato utilizzo di idoneo copricapo da parte dell'infortunato pur ritenendo il Tribunale irrilevante quest’ultima violazione atteso che, se anche l’infortunato lo avesse indossato, non sarebbe cambiato nulla.
 
Secondo il Tribunale, inoltre, i lavori avrebbero dovuto avvenire mediante la realizzazione di terrapieni nell'alveo del torrente e la costruzione di adeguate opere provvisionali (piattaforme, impalcati, parapetti) idonee ad evitare cadute di persone o di cose ed inoltre si sarebbe dovuto assicurare i massi da sottomurare per mezzo di cavi metallici e di ganci, all'escavatore prima e alla parete poi, nonché adottare, nelle zone sottostanti ai massi non ancora fissati, le opportune cautele perché gli stessi non si spostassero dalla posizione di ancoraggio.
 

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Tutti gli imputati facevano ricorso contro la sentenza del Tribunale alla competente Corte di Appello la quale confermava comunque la sentenza stessa sia pure riducendo la penalità. A propria discolpa il direttore tecnico ed il capo cantiere sostenevano che i lavori erano stati sospesi qualche giorno prima del giorno dell’infortunio e che quella mattina dovevano essere ripresi dopo l’installazione di un ponteggio (cosa risultata poi non vera in quanto dalle testimonianze dei lavoratori era emerso che anche il giorno prima avevano operato nella stessa maniera) e sostenevano inoltre che il decesso dell’infortunato era da addebitare alla negligente condotta dello stesso nonché di quella dei suoi compagni che camminavano sulla scogliera.
Il coordinatore in fase di esecuzione, da parte sua, sosteneva a sua discolpa che non era affatto vero che si fosse limitato ad una applicazione solo “sulla carta” delle prescrizioni del piano di sicurezza e di coordinamento da lui redatto e che aveva tenuto in precedenza all’evento infortunistico delle riunioni nel corso delle quali erano state impartite prescrizioni di sicurezza per la realizzazione delle scogliere e fornite direttive secondo le quali nel caso che non venisse eretto il ponteggio si sarebbero dovute costruire dei terrapieni accanto alla scogliera.
 
Interessata successivamente la Corte di Cassazione questa ha rigettato i ricorsi di tutti gli imputati ed ha confermato la loro condanna formulando delle interessanti osservazioni nei confronti del comportamento tenuto dagli stessi.  Nei confronti del coordinatore in fase di esecuzione, in particolare, la Corte Suprema ha ritenuto che lo stesso “fosse venuto meno ai propri doveri” per non aver fornito delle efficaci informazioni e per non aver esercitato un adeguato controllo ed ha sostenuto, inoltre, che “non si era preoccupato di accertare che fossero attuate  le prescrizioni in materia di sicurezza, oggetto di direttive soltanto teoriche”. “Né, d'altra parte, -prosegue la Corte di Cassazione - ad escluderne la responsabilità è sufficiente che egli abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza” sostenendo inoltre che lo stesso “è corresponsabile qualora l'evento si colleghi causalmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando abbia consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose”.
 
In merito alle responsabilità dei lavoratori invocate dagli imputati a loro discolpa la Corte di Cassazione ha confermato quanto già più volte sostenuto in passato in altre sentenze e cioè che “la condotta del lavoratore, per giungere ad interrompere il nesso causale (tra condotta colposa del datore di lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e ad escludere, in definitiva, la responsabilità del garante, deve configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità (v. ex plurimis Cass. 4^, 27 novembre 1996, Maestrini, secondo cui il datore di lavoro è esonerato da responsabilità soltanto quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro)”.
 
Nel caso in esame, aggiunge la Corte di Cassazione, non possono essere considerate abnormi, ma al più imprudenti le condotte dei lavoratori indicate in ricorso e conclude che “le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo lo scopo di impedire l'insorgere di pericoli, anche se del tutto eventuali e remoti, in qualsiasi fase del lavoro, sono dirette a tutelare il lavoratore anche contro gli incidenti derivanti da un suo comportamento colposo e dei quali, conseguentemente, l'imprenditore è chiamato a rispondere per il semplice fatto del mancato apprestamento delle idonee misure protettive, anche in presenza di condotta deviante del lavoratore”.
 



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