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Quali sono i dati utilizzati per calcolare il rischio Covid-19?

Quali sono i dati utilizzati per calcolare il rischio Covid-19?
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Coronavirus-Covid19

24/11/2020

Ecco come e perché funziona il sistema di valutazione del rischio: i 21 indicatori che permettono di valutare tre aspetti di interesse per la valutazione: probabilità di diffusione dell'epidemia, impatto sui sistemi sanitari e resilienza territoriale.

Per l'elaborazione sono stati scelti 21 indicatori, di cui 16 sono ‘obbligatori’ mentre 5 opzionali, che permettono di valutare tre aspetti di interesse per la valutazione del rischio: probabilità di diffusione dell'epidemia, impatto sui sistemi sanitari e resilienza territoriale. Il loro elenco completo è disponibile nel DM Salute 30 aprile 2020.

 

Perché si usano tutti questi indicatori?

Si è scelto di utilizzare più indicatori da più flussi informativi perché, soprattutto nelle emergenze, è più alto il rischio che i dati risentano del sovraccarico dei sistemi sanitari e abbiano quindi una completezza e tempestività non ottimale. In epidemiologia, si considera maggiore la solidità di un’analisi quando più fonti di informazione confermano una stessa tendenza (ad esempio la tendenza ad un aumento dei casi).

 

Come vengono raccolti ed elaborati i dati?

I dati vengono inviati dagli enti territoriali alle Regioni, che a loro volta li trasmettono al Ministero della Salute e all'Iss. Sulla base di questi vengono applicati degli algoritmi che, combinati, permettono di valutare settimanalmente il rischio per ogni Regione.

 

Il sistema non è troppo complesso?

Il sistema è necessariamente complesso per tenere conto di tutti gli aspetti legati all'epidemia e alla risposta dei sistemi sanitari. La presenza di diversi indicatori permette inoltre di limitare gli effetti negativi del sovraccarico dei sistemi sulla completezza dei dati disponibili.

 

I dati su cui vengono fatte le stime sono vecchi?

No, si realizzano infatti ogni settimana analisi sui dati consolidati della settimana precedente tranne per alcuni dati, ad esempio i tassi di occupazione dei posti letto, per cui è disponibile un numero affidabile più aggiornato. Considerando che i tempi di incubazione di SARS-CoV-2 variano dai 5 ai 14 giorni, questa frequenza di aggiornamento è sufficiente a valutare l’andamento dell’epidemia: attraverso una analisi di tendenza (trend) ci permette di capire «dove stiamo andando». Inoltre l’uso di indicatori prospettici come Rt, le proiezioni a 30 giorni dei tassi di ospedalizzazione e la valorizzazione dei dati su nuovi focolai che colpiscono popolazioni fragili (che più probabilmente dopo qualche settimana avranno bisogno di assistenza ospedaliera) ci permettono con gli stessi dati di «guardare avanti».

 

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Perché i dati utilizzati sono i più aggiornati possibili?

L'acquisizione dei dati epidemiologici sulle infezioni è affetta da una serie di ritardi, alcuni dei quali non comprimibili: in particolare, il tempo tra l'evento infettivo e lo sviluppo dei sintomi (tempo di incubazione), quello tra i sintomi e l'esecuzione del tampone, quello tra l'esecuzione del tampone e la conferma di positività, e quello tra la conferma di positività e l'inserimento nel sistema di sorveglianza integrata ISS. Il ritardo complessivo tra infezioni e loro rilevamento nel sistema di sorveglianza è valutato e aggiornato settimanalmente analizzando la stabilità del numero di casi (sintomatici o ospedalizzati) riportato a ciascuna data. Su queste valutazioni si basa la scelta della data più recente alla quale si possono considerare sufficientemente stabili le varie stime di Rt.

Si noti che i possibili rallentamenti nell’effettuazione e analisi dei tamponi, conseguenti all’aumentata incidenza di infezione, impattano allo stesso modo tanto i conteggi aggregati di nuovi positivi riportati quotidianamente dal Dipartimento della Protezione Civile quanto i dati contenuti nel sistema di sorveglianza integrata.

 

Uno dei dati che viene citato più spesso è il rapporto tra positivi e testati. È affidabile, visto che ogni regione decide se inserire solo i positivi per tampone molecolare o anche quelli ottenuti con altri metodi di analisi?

Al momento la definizione internazionale di caso prevede che si possa confermare una infezione da virus SARS-CoV-2 solo con test molecolari. Per questo la definizione al momento univoca prevede l’uso di questa definizione in base a quanto recepito con circolari del Ministero della Salute. Il Ministero della salute coordina ogni giorno la raccolta del dato dalle Regioni e Provincie Autonome relativo ai tamponi effettuati e, assicurata l’affidabilità del dato, provvede a trasmetterlo per la pubblicazione sul sito della protezione civile.

 

R0, Rt: cosa sono, come si calcolano?

Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (R0) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto ad inizio epidemia, in una fase in cui normalmente non sono effettuati specifici interventi (farmacologici e no) per il controllo del fenomeno infettivo. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata. Tale valore R0 è funzione della probabilità che una persona infetta trasmetta il virus con un contatto, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell'infettività. La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo. Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia.

 

Perché calcolare l’Rt sui soli casi sintomatici o ospedalizzati lo rende affidabile anche quando i sistemi di contact tracing sono in difficoltà?

Il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo.

Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus.

Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening e contact-tracing da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare nelle diverse fasi epidemiche. Ad esempio, tali capacità aumentano tipicamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Come conseguenza, in questo contesto, un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici nel tempo non dipende direttamente dalla trasmissibilità del virus. Per questi motivi, le stime di R0 ed Rt che forniamo non tengono conto delle infezioni asintomatiche.

Si è scelto, pertanto, di stimare la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle diverse regioni italiane fin da febbraio 2020 a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri, in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico su soggetti asintomatici, e sui casi con storia di ospedalizzazione sulla base dei quali vengono realizzate le proiezioni dei tassi di occupazione dei posti letto nei successivi 30 giorni.

 

Perché si rende pubblico il dato dell'occupazione delle terapie intensive e delle aree mediche complessiva, ma non quante persone entrano o escono ogni giorno?

SARS-CoV-2 è un virus che provoca una malattia che può prolungarsi per diverse settimane determinando tempi di ospedalizzazione sia in area medica che in terapia intensiva protratti. Per questo motivo, un aumento non controllato nei nuovi casi di infezione provoca non solo un aumento nel numero dei nuovi accessi a tali servizi ma anche la progressiva saturazione degli stessi. Pertanto, il tasso di occupazione sui posti letto già attivati rappresenta un indicatore utile per identificare quando la disponibilità di posti letto non occupati da pazienti COVID-19 rischia di non essere più sufficiente a garantire l’assistenza alla popolazione per questa ed altre patologie.

 

Perché non tutti i dati disponibili sono pubblicati in un database interrogabile?

Non tutti i dati sono pubblici e disaggregati per garantire il rispetto delle norme che nel nostro Paese tutelano la privacy e delle ordinanze che disciplinano la sorveglianza epidemiologica. Stiamo lavorando di concerto con le autorità competenti allo sviluppo di ulteriori format di accesso ai dati nel rispetto della normativa.

 



Fonte: ISS
 

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Pubblica un commento

Rispondi Autore: Arturo - likes: 0
24/11/2020 (09:28:05)
Spero si proceda verso un approccio più scentifico:
se la popolazione anziana è passata da una media degli ultimi 5 anni di 12,5 milioni del 2015 a 13,5 milioni del 2020 la media dei decessi su cui valutare le emergenze è almeno del 7,4% superiore rispetto alla media degli ultimi 5 anni attualmente calcolata. Più persone si avvicinano a 100 anni più prsone è naturale che passeranno a miglior vita.

Le condizioni per l'appartenenza alla classe di rischio dvrebbero essere note, comunicate e facilmente calcolabili.
Dovrebbero essere comunicate anche le condizioni per cui si definisce rischio nullo (es. posti in terapia intensiva occupati
Rispondi Autore: Arturo - likes: 0
24/11/2020 (09:29:04)
(es. posti in terapia intensiva occupati
Rispondi Autore: Arturo 7 - likes: 0
24/11/2020 (09:40:08)
minori 33% decessi giornalieri totali in media con la popolazione a rischio presente
Rispondi Autore: Arturo 8 - likes: 0
24/11/2020 (09:40:47)
le aree di rischio dovrebbero essere calcolate in base alla superficie di competenza dei singoli ospedali presenti.

infatti vista l'inaffidabilità dei test (vedi sentenza annullamento quarantena in Portogallo e bugiardini dei test)
perdono di attendibilità 18 dei 21 indicatori:
Rispondi Autore: Arturo 9 - likes: 0
24/11/2020 (09:41:25)
1) Numero di casi sintomatici
2) Numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale
3) Numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia
4) Numero di casi notificati per mese
5) Numero di checklist somministrate
6) Numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist
7) Percentuale di tamponi positivi
9) Tempo tra data inizio sintomi e data di isolamento
10) Numero, tipologia dedicate al contact-tracing
11) Numero, tipologia dedicate al monitoraggio dei contatti stretti
12) Numero di casi confermati per cui sia stata effettuata ricerca dei contatti stretti
13) Numero di casi riportati alla Protezione civile
14) Rt calcolato
15) Numero di casi riportati alla sorveglianza
16) Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi
17) Numero di nuovi focolai di trasmissione
18) Numero di nuovi casi di infezione confermata
19) Numero di accessi al Pronto soccorso con classificazione ICD-9


Attualmente gli unici indicatori che sembrano attendibili potrebbero essere:
1- numero di decessi giornalieri totali rispetto ai decessi giornalieri medi calcolati in funzione del numero di soggetti a rischio (>65aa)
2- % di posti in terapia intensiva occupati
3- posti di terapia intensiva attivabili in una settimana
4- umero di soggetti a rischio (popolazione >65 aa con una patologia)
5- rapporto tra guariti da terapia intensiva/deceduti da terapia intensiva
Rispondi Autore: Arturo 10 - likes: 0
24/11/2020 (09:44:31)
Scusate ci ho messo un po a capire che non viene preso ciò che viene scritto dpo il simbolo minore;

Spero si proceda verso un approccio più scentifico:
se la popolazione anziana è passata da una media degli ultimi 5 anni di 12,5 milioni del 2015 a 13,5 milioni del 2020 la media dei decessi su cui valutare le emergenze è almeno del 7,4% superiore rispetto alla media degli ultimi 5 anni attualmente calcolata. Più persone si avvicinano a 100 anni più prsone è naturale che passeranno a miglior vita.

Le condizioni per l'appartenenza alla classe di rischio dvrebbero essere note, comunicate e facilmente calcolabili.
Dovrebbero essere comunicate anche le condizioni per cui si definisce rischio nullo (es. posti in terapia intensiva occupati minori 33% decessi giornalieri totali in media con la popolazione a rischio presente)
le aree di rischio dovrebbero essere calcolate in base alla superficie di competenza dei singoli ospedali presenti.

infatti vista l'inaffidabilità dei test (vedi sentenza annullamento quarantena in Portogallo e bugiardini dei test)
perdono di attendibilità 18 dei 21 indicatori:
1) Numero di casi sintomatici
2) Numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale
3) Numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia
4) Numero di casi notificati per mese
5) Numero di checklist somministrate
6) Numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist
7) Percentuale di tamponi positivi
9) Tempo tra data inizio sintomi e data di isolamento
10) Numero, tipologia dedicate al contact-tracing
11) Numero, tipologia dedicate al monitoraggio dei contatti stretti
12) Numero di casi confermati per cui sia stata effettuata ricerca dei contatti stretti
13) Numero di casi riportati alla Protezione civile
14) Rt calcolato
15) Numero di casi riportati alla sorveglianza
16) Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi
17) Numero di nuovi focolai di trasmissione
18) Numero di nuovi casi di infezione confermata
19) Numero di accessi al Pronto soccorso con classificazione ICD-9


Attualmente gli unici indicatori che sembrano attendibili potrebbero essere:
1- numero di decessi giornalieri totali rispetto ai decessi giornalieri medi calcolati in funzione del numero di soggetti a rischio (maggiori 65aa)
2- % di posti in terapia intensiva occupati
3- posti di terapia intensiva attivabili in una settimana
4- umero di soggetti a rischio (popolazione maggiori 65 aa con una patologia)
5- rapporto tra guariti da terapia intensiva/deceduti da terapia intensiva

potete anche cancellare i post precedenti sono riuscito a pubblicarlo tutto insieme

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