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Sicurezza antinfortunistica e sicurezza anticrimine

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Sono numerosi lettori che ci hanno chiesto di approfondire il cenno che abbiamo fatto nel recente articolo, circa il recepimento di problematiche di sicurezza anticrimine nell'ambito più generale di sicurezza dell'ambiente di lavoro.
Tutto è nato quando la commissione delle comunità europee ha portato in giudizio la Repubblica Italiana, perché essa non aveva correttamente recepito la direttiva del consiglio, 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza della salute dei lavoratori durante il lavoro.
Con un'ampia e articolata sentenza, la quinta sezione della corte di giustizia ha condannato l'Italia per i seguenti motivi:

- Non aveva prescritto che il datore di lavoro debba valutare "tutti" i rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro
- Aveva consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a servizi esterni di protezione e di prevenzione, quando le competenze interne all'impresa erano insufficienti
- Non aveva definito le capacità e le attitudini, di cui devono essere in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Sulla base di questa sentenza l'Italia corse ai ripari, modificando il decreto legislativo 626/94 con la legge 39/2002, art. 21, introducendo l'aggettivo "tutti", a proposito dei rischi per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, che prima mancava.
L'Italia ha anche introdotto nella legislazione le caratteristiche che deve avere il responsabile delle attività di protezione e prevenzione, che debbono garantirne la professionalità.

È evidente che l'inserimento dell'aggettivo " tutti " ha fatto sì che anche i rischi di origine criminosa dovessero essere recepiti nel piano di valutazione dei rischi e di tutte le conseguenti attività, come ad esempio la messa a punto di un piano di contenimento del rischio, un piano di formazione dei lavoratori, la messa a disposizione di strumenti di prevenzione, e via dicendo.

Le cronache hanno invece dato notizia, venerdì 12 settembre 2003, di una sentenza del tribunale di Milano, circa il fatto che i dipendenti debbono essere protetti dalle aggressioni degli utenti.
Il caso che è stato recentemente risolto dal tribunale Milano risale al 1995.

Una dipendente di un centro socio educativo di Milano era stata aggredita da un malato psichico.
La donna aveva riportato una invalidità del 7% ed ha dovuto purtroppo aspettare otto anni per avere un risarcimento da parte del comune, della quale era dipendente.
La quarta sezione del tribunale civile di Milano ha infatti condannato il comune a versare alla dipendente circa 11 mila euro per il danno subito.
Il comune infatti non ha dimostrato di aver valutato in modo corretto la pericolosità dell'utente e di aver organizzato una adeguata sorveglianza in tutto l'arco della permanenza dell'ospite nella struttura, dall'arrivo all'uscita.

In altre parole, il comune di Milano non aveva correttamente valutato " tutti " i rischi cui poteva essere soggetto il lavoratore, nell'ambito della sua attività.

Nei prossimi numeri ulteriori approfondimenti sull’argomento.

Di Adalberto Biasiotti

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