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L'importanza delle modalità di campionamento di suoli e aggregati

L'importanza delle modalità di campionamento di suoli e aggregati

Autore: Giorgio Bressi

Categoria: Gestione Rifiuti

28/03/2017

Esistono gli standard, ma non sempre sono conosciuti e la loro applicazione è soggettiva e complessa. A cura di Giorgio Bressi.


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Il tema del campionamento è spesso sottovalutato: esistono norme tecniche che cercano di uniformare le modalità di comportamento degli operatori, ma non sempre sono conosciute e quasi mai vengono applicate. Ciononostante l’impatto di questa attività sugli esiti analitici è molto significativo e spesso un campionamento svolto in modo inappropriato può comportare un errore di valutazione, che può avere riflessi enormi sia di tipo procedurale che legale ed economico.

 

Con riferimento ai suoli è possibile ad esempio che il campione prelevato:

  1. non sia rappresentativo dell’intera massa indagata
  2. sia “inquinato” da materiali non contaminanti, ma che sottoposti a cessione possono risultare tali
  3. vada effettivamente a “mediare” le concentrazioni delle singole aliquote puntuali che, soprattutto in caso di una forte varianza, permettono la presenza in un’area di concentrazioni che eccedono i limiti (CSC o CSR)
  4. in presenza di materiale di riporto, possa essere considerato una matrice (suolo) oppure un’altra (rifiuto)

 

Con riferimento agli aggregati riciclati o artificiali è possibile ad esempio che il campione prelevato:

  1. non sia rappresentativo dell’intera massa indagata
  2. escluda (o includa) a discrezione dell’operatore, materiali che all’analisi composizionale prevista attualmente sia dalla Circolare 5205/05 sia dalla norma UNI 11531-1, possono rendere idoneo o meno l’aggregato a determinati impieghi
  3. includa (o escluda) a discrezione dell’operatore, materiali che all’analisi sull’eluato possano comportare il mancato raggiungimento della cessazione della qualifica di rifiuto

 

Neppure il campionamento in campo, svolto in contraddittorio con i funzionari ARPA, offre le necessarie garanzie di oggettività e ripetibilità: sulla base dell’esperienza condotta in tanti anni in diversi contesti geografici, è infatti possibile affermare che ogni territorio ha le sue consuetudini, in qualche caso le sue procedure di campionamento, ma che di frequente le modalità di campionamento non seguono pedissequamente gli standard normativi.

Nell’All. 2 al Titolo V del D.Lgs. 152/06 si apre infatti ad una condivisione di volta in volta delle procedure di campionamento, riportando queste indicazioni:

Il piano di indagini dovrà contenere la dettagliata descrizione delle attività che saranno svolte in campo ed in laboratorio per la caratterizzazione ambientale del sito. Il Proponente dovrà includere in tale documento le specifiche tecniche per l’esecuzione delle attività (procedure di campionamento, le misure di campo, modalità di identificazione, conservazione e trasporto dei campioni, metodiche analitiche, ecc. ) che una volta approvate dalle Autorità Competenti, prima dell’inizio dei lavori, costituiranno il protocollo applicabile per la caratterizzazione del sito

Va tuttavia evidenziato che l’All. 2 considera come unica modalità di indagine del suolo e sottosuolo, l’esecuzione di sondaggi, mentre in molti casi si preferisce utilizzare l’esecuzione di trincee, che permettono un’osservazione più completa della matrice terreno (si ha infatti una visione molto più ampia della stratigrafia locale). In quest’ultimo caso si presenta tuttavia il problema del campionamento da cumulo o direttamente dallo scavo, che non è quindi normato e dipende molto dalla soggettività dell’operatore (che deve necessariamente prelevare un campione composto da più aliquote). È spesso necessario infatti “ridurre” il campione con criteri oggettivi.

 

In fase di collaudo degli scavi la questione si fa ancora più evidente.

All’operatore si presenta uno scavo con un fondo e delle sponde (peraltro neppure sempre ben identificabili, laddove una o più sponde sono poco inclinate o poco profonde): quanti campioni è necessario prelevare sulla base dell’estensione della superficie? Essi saranno comunque medi e sarà quindi necessario prelevare più aliquote “puntuali”, inserendo un evidente elemento soggettivo nell’attività di campionamento.

 

In generale gli Enti di controllo hanno fissato degli standard sul numero di campioni e di aliquote, ma ciò comunque non è ovviamente sufficiente a rendere ripetibile il campionamento.

Ma come si diceva, non è solo il punto di campionamento che introduce la soggettività, ma anche e soprattutto quanto e quale materiale si preleva in ogni punto.

Ad esempio se sono presenti nel terreno piccoli granuli di conglomerato bituminoso (per capirsi piccole frazioni di asfalto stradale), come di frequente è capitato allo scrivente, la scelta dell’operatore di includerli o di escluderli dal campione può risultare determinante ai fini del rispetto delle CSC (o CSR) per gli IPA!

 

In pratica si possono assoggettare aree a procedimenti di bonifica solo perché su di esse sono state presenti strade asfaltate.

 

Per quanto concerne gli aggregati riciclati o artificiali, la questione è poi forse ancora più complessa.

 

Le norme a cui fare riferimento sono certamente la UNI 932-1 e la UNI 932-2.

Ma se si osserva con attenzione la foto qui sotto, che riporta il particolare di un cumulo di aggregati riciclati, ed un Direttore dei Lavori dovesse prelevare un campione del materiale arrivato in cantiere per la sua accettazione, appare immediatamente il problema: devo includere nel campione (che deve essere rappresentativo!) i seguenti materiali:

 

IMG_1852

 

  1. legno
  2. ferro
  3. plastica
  4. conglomerato bituminoso
  5. scoria di acciaieria

che ne fanno parte, seppure in misura modesta, oppure devo escluderli?

Ciò ovviamente avrà una ripercussione diretta sulla prova composizionale (prevista sia dalla Circolare 5205/05 sia dalla UNI 11531-1) e potrà quindi rendere idoneo il cumulo alla realizzazione di una certa tipologia (rilevato stradale) o di un’altra (fondazione stradale) di un’opera.

 

Il presente articolo ha quindi l’intento di sottoporre all’attenzione del lettore, soprattutto se ha compiti pubblici e lavora per organismi di controllo, queste semplici osservazioni che hanno tuttavia implicazioni molto rilevanti.

 

Si pensi ad esempio che sulla base di un campionamento maldestro si potrebbe anche arrivare alla conclusione che un determinato materiale non ha raggiunto lo stato di end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto), resta pertanto un rifiuto e non può quindi essere assolutamente impiegato in opere di ingegneria.

 

Si avrebbe allora la tragica conseguenza che l’opera potrebbe essere considerata una discarica illecita di rifiuti e chi l’ha realizzata potrebbe essere imputato di un traffico illecito di rifiuti.

 

 

Giorgio Bressi



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