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Italia in ritardo sulla prevenzione dell’inquinamento

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Ambiente

12/07/2004

L’Italia richiamata dall’UE per non aver predisposto i piani di riduzione dell’inquinamento e per un insufficiente trattamento delle acque reflue.

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A distanza di pochi giorni dal richiamo fatto all’Italia da parte della Commissione europea per la mancata consegna dei piani di assegnazione delle quote di scambio di emissioni, tre nuove procedure di infrazione sono state avviate nei confronti del nostro Paese per ritardi nel recepimento delle direttive comunitarie in materia ambientale.

Con una lettera di costituzione in mora (primo avvertimento scritto), la Commissione europea ha richiamato nove Stati membri, tra i quali l’Italia, all’obbligo di accelerare la riduzione dell’inquinamento atmosferico nelle loro aree urbane. Ai sensi della normativa ambientale dell’UE (Direttiva 1999/30/CE del Consiglio, del 22 aprile 1999) i nove Stati membri avrebbero dovuto predisporre piani per la riduzione dell'inquinamento nelle aree che presentano elevate concentrazioni di particolato (PM10) e biossido di azoto entro il 31 dicembre 2003. Gli Stati membri sono liberi di scegliere gli interventi più appropriati, ad esempio adottare restrizioni della circolazione stradale o rilocalizzare gli impianti che generano inquinamento.
In Italia, un rapporto del 2001 ha individuato concentrazioni di biossido di azoto superiori al valore limite maggiorato del margine di superamento in 26 zone, mentre concentrazioni di PM10 superiori al valore limite maggiorato del margine di tolleranza sono state rilevate in 37 zone.

Gli altri “avvertimenti” inviati all’Italia riguardano invece la tutela della qualità delle acque.
L’Italia (con Belgio, Finlandia, Germania, Itala, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito e Svezia) ha ricevuto il c.d. “parere motivato” (l’avvertimento finale prima dell’inizio di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia) affinché prenda urgentemente tutte le misure necessarie per attuare sul piano legislativo interno le norme della direttiva quadro sulle acque, che doveva essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il dicembre 2003.
Inoltre la Commissione ha inviato le c.d. “lettere di costituzione in mora” a sette Paesi, tra i quali l’Italia, per non aver osservato il termine del dicembre 2000 prescritto per l’installazione di adeguati impianti di trattamento idrico sulle acque reflue dalle città con più di 15.000 abitanti, come previsto dalla Direttiva 91/271/CEE del Consiglio.
Un insufficiente trattamento delle acque reflue è uno dei principali fattori di inquinamento idrico e costituisce un grave rischio per l’ambiente e la salute umana.

La Direttiva 91/271/CEE del Consiglio affronta il problema dell'inquinamento provocato dalla presenza di batteri, virus e nutrienti. Le acque reflue urbane che scaricano livelli eccessivi di nutrienti, in particolare fosforo ed azoto in fiumi e mari provocano una proliferazione di alghe e di altre forme superiori di vita vegetale acquatica. Questo processo – noto come “eutrofizzazione” – provoca a sua volta l’abbassamento dei livelli di ossigeno, minacciando la vita dei pesci che dell’ossigeno hanno bisogno per respirare. Per di più, l’eutrofizzazione rende l’acqua non potabile. Lo scarico di batteri e virus pericolosi per la salute nelle acque utilizzate per la balneazione o per l’acquacultura crea altri rischi per la salute umana.
La direttiva impone ai centri urbani (anche ai piccoli insediamenti) il rispetto di norme minime sulla raccolta e sul trattamento delle acque reflue, stabilendo precise scadenze per la loro realizzazione. Le scadenze sono fissate in funzione della sensibilità delle singole acque e delle dimensioni della popolazione.

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