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Una guida per la scelta, l’uso e la manutenzione degli ancoraggi

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Edilizia

20/10/2011

Un documento affronta il tema degli ancoraggi nel settore delle costruzioni cercando di fare chiarezza sull’argomento. Focus sulla valutazione del rischio: l’analisi del rischio, i rischi prevalenti, residui, concorrenti e susseguenti.

 
 
Roma, 20 Ott -  Sul sito dell’ Inail - Area di Ricerca ex Ispesl è da qualche giorno disponibile un documento che definisce in maniera chiara ed esaustiva ilconcetto di ancoraggio, un termine con il quale si identifica il sistema con cui con l’elemento da fissare viene collegato, permanentemente o no, ad una struttura.
Nella “ Guida tecnica per la scelta, l’uso e la manutenzione degli ancoraggi”, pubblicazione realizzata da INAIL - Dipartimento Tecnologie di Sicurezza - ex ISPESL,  si ricorda che “il tema degli ancoraggi nel settore delle costruzioni è da sempre molto dibattuto”.
Infatti - come ricordano le parole introduttive del presidente dell’INAIL, Marco Fabio Sartori - “la legislazione in materia di prevenzione degli infortuni e della sicurezza sul lavoro e quella tecnica non affrontano mai in maniera organica, esplicita ed esauriente la problematica di come identificare, qualificare, progettare ed installare questi sistemi”. In particolare la “confusione scaturisce dal fatto che essi possono essere classificati secondo la direttiva prodotti da costruzione 89/106/CEE, recepita in Italia dal DPR 246/93, secondo la direttiva DPI 89/686/CEE, recepita in Italia dal DLgs 475/92, secondo le norme tecniche (si pensi alla UNI EN 795), secondo alcune circolari del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (è il caso degli ancoraggi dei ponteggi) mentre per altri non esiste di fatto un preciso riferimento normativo”.
 
Nel documento si ricorda che le tecniche ed i materiali per l’ ancoraggio “hanno subito nel corso degli anni modifiche e cambiamenti legati all’evoluzione tecnologica”.
Un primo passo in avanti verso la sicurezza si è avuto con la direttiva 89/106/CEE che ha reso di fatto obbligatoria la marcatura CE per tutti i prodotti ad uso strutturale, elementi critici la cui perdita di efficacia può provocare morte o lesioni gravi e di carattere permanente. Mentre la direttiva 89/686/CEE ha avuto un approccio differente: ha preso “in considerazione l’elemento da fissare, che per essere considerato DPI deve essere rimovibile, e non la struttura, esclusa dal campo di applicazione” (concetti “chiaramente esplicitati nella UNI EN 795”).
 
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In merito alla “confusione” indicata dal presidente dell’INAIL, ricordiamo che oltre agli ancoraggi che ricadono sotto le due direttive citate,  vi sono anche prodotti “ibridi”,  costruiti secondo le norme UNI EN 516 e UNI EN 517 (“sono prodotti da costruzione a cui si applica la direttiva 89/106/CEE ma su di essi possono essere collegati i dispositivi di protezione individuale”),  “ sistemi di ancoraggio costruiti secondo le circolari del Ministero del Lavoro 85/78, 44/90 e 132/91” e una “grande varietà di prodotti che non rientrano in nessuna delle categorie precedenti” e a cui “bisogna dedicare particolare attenzione”.
 
La guida affronta diversi aspetti relativi agli ancoraggi: dalla valutazione del rischio, alla classificazione, scelta, uso, ispezione e manutenzione degli ancoraggi.
Ci soffermiamo oggi su alcuni aspetti inerenti alla valutazione del rischio, ricordando che la guida fornisce delle indicazioni che possono essere utilizzate per la redazione del documento di valutazione dei rischi e la susseguente individuazione delle misure di prevenzione.
In particolare viene fornito uno schema metodologico generale per la valutazione di un rischio specifico, che vi invitiamo a visionare nella guida.
 
Riguardo all’analisi del rischio si ricorda che “nei lavori in quota ove è previsto l’impiego degli ancoraggi l’esposizione al rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore è particolarmente elevata ed è legata al grado di efficacia degli stessi”. In questo senso il “rischio derivante dal mancato funzionamento può essere eliminato e/o ridotto attraverso:
- l’individuazione e l’adozione di ancoraggi idonei, adatti cioè all’uso specifico;
- l’individuazione e l’adozione di apparecchiature, attrezzature e macchinari idonei per effettuarne il montaggio ed, eventualmente, lo smontaggio;
- l’individuazione e l’adozione delle misure di prevenzione e protezione a carattere organizzativo;
- l’individuazione e l’adozione delle misure di prevenzione e protezione a carattere tecnico;
- l’individuazione e l’adozione dei DPC (dispositivi di protezione collettiva);
- l’aggiornamento di misure e sistemi di prevenzione e protezione in relazione ai mutamenti organizzativi e all’evoluzione della tecnica”.
Inoltre il rischio residuo può essere “eliminato o ulteriormente ridotto mediante l’individuazione e l’adozione dei DPI ( dispositivi di protezione individuale)”.
Nella guida si sottolinea l’importanza del rischio dipendente dal “fattore umano”: tutti quei fattori di rischio “legati allo stato psico-fisico del lavoratore, alla sua incapacità, alla sua incoscienza, alla mancanza di formazione ed, in generale, alla adozione di comportamenti inadeguati al contesto lavorativo”.
 
In relazione ai rischi prevalenti se nei lavori in quota con ancoraggi il lavoratore è esposto al rischio derivante dalla loro mancata efficacia, si ricorda che l’ ancoraggio può non assolvere la propria funzione per:
- “cedimento e/o rottura dei componenti;
- cedimento e/o rottura del materiale base;
- sfilamento dei componenti;
- eccessiva deformazione dei componenti;
- eccessiva deformazione del materiale base;
- danneggiamento dovuto alla corrosione dei componenti e/o del materiale base;
- danneggiamento dovuto agli effetti dell’incendio;
- decadimento delle caratteristiche meccaniche nel tempo dei componenti e/o del materiale base (perdita della durabilità)”.
 
Irischi concorrenti sono invece quelli che aumentano la probabilità che si verifichino quelli prevalenti. Ad esempio:
- “il rischio legato all’uso improprio degli ancoraggi derivante da: mancato rispetto delle procedure di montaggio/smontaggio; insufficiente formazione del personale; insufficiente addestramento del personale; errata valutazione del materiale base; errata progettazione; errata valutazione dei carichi statici e/o dinamici;
- il rischio legato alle condizioni ambientali derivante da: corrosione; vibrazioni;
- il rischio legato ad eventi eccezionali derivante da: esposizione a calore e fiamma; esposizione ad eventi sismici”.
 
Inoltre i rischi susseguenti sono quelli che si verificano in seguito alla mancata efficacia degli ancoraggi (rischio prevalente) e provocano il distacco dei componenti rispetto al materiale base. Questi rischi possono causare:
- “la caduta dall’alto nei lavori in quota senza arresto della caduta;
- l’urto contro i DPC (parapetti provvisori e reti di sicurezza)”.
In particolare il rischio di caduta dall’alto “è sempre elevato anche in caso di lavori su superfici piane ed è maggiore su superfici inclinate quali, ad esempio, i tetti a falda. Lo stesso rischio è presente durante i lavori di montaggio/smontaggio delle opere provvisionali, dei DPC e dell’uso dei DPI contro le cadute dall’alto”.
Riguardo al rischio di urto contro i DPC, direttamente legato alla pendenza (inclinazione) del luogo sul quale si eseguono i lavori, si indica che è “dovuto allo scivolamento del lavoratore ed al conseguente rotolamento lungo la superficie di lavoro verso il bordo non protetto o l’elemento di protezione del bordo”.
Se il lavoratore “agisce in condizioni operative non ideali la valutazione dei rischi, oltre alla pendenza, deve tener conto anche di quest’ultime in quanto si potrebbero creare situazioni di lavoro ben più pericolose rispetto a quelle imputabili alla sola pendenza”.
 
È poi evidente che la valutazione dovrà prendere in esame anche tutte “le altre forme di rischio” derivanti dall’attività lavorativa.
 
Concludiamo sottolineando che la valutazione dei rischi “deve evidenziare in ogni istante dell’attività lavorativa se c’è un rischio grave per la salute, capace cioè di procurare morte o lesioni gravi e di carattere permanente, che il lavoratore non è in grado di percepire tempestivamente prima del verificarsi dell’evento ed ogni qualsiasi altro pericolo che possa comportare rischi per la salute e la sicurezza”.
In questo senso l’esposizione al rischio derivante dalla mancata efficacia degli ancoraggi “deve essere ridotto mediante l’adozione di adeguate misure di prevenzione e di protezione. Il tempo di esposizione ai rischi deve essere uguale a zero. Il documento di valutazione e/o il piano operativo di sicurezza devono contenere all’interno le idonee misure di prevenzione e protezione per la riduzione del rischio derivante dalla mancata efficacia degli ancoraggi”.
Si sottolinea poi l’importanza di non sottovalutare il rischio di sospensione inerte in condizioni di incoscienza, “in quanto possibile causa di complicazioni che possono compromettere le funzioni vitali”.
 
 
Inail - Dipartimento Tecnologie di Sicurezza - ex Ispesl, “ Guida tecnica per la scelta, l’uso e la manutenzione degli ancoraggi”, pubblicazione curata da Luigi Cortis e Luca Rossi (Dipartimento Tecnologie di Sicurezza - ex ISPESL) con la collaborazione di Michele Di Sario e Francesco Giancane (formato PDF, 5.13 MB).
 
 
Tiziano Menduto


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