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Rischio stress: la resilienza, il cardine della prevenzione

Rischio stress: la resilienza, il cardine della prevenzione

Il decimo capitolo del libro di Andrea Cirincione si sofferma sulla resilienza: lavorare sulla forza del sé, per imparare a fronteggiare eventi e situazioni sempre più difficili.

Con questo articolo concludiamo la pubblicazione dei primi capitoli di un interessante testo sullo stress lavoro correlato o, meglio, sul “mal-essere” nel mondo del lavoro. Un testo curato dallo psicologo del lavoro Andrea Cirincione e dal titolo “Lavori o Scleri?! Teoria e Pratica del mal-essere per scelta” che presenta il tema con un linguaggio semplice, ironico e diretto, arricchendosi delle esperienze di lavoro in organizzazioni pubbliche e private di ogni tipo e dimensione. Dopo aver parlato di sindrome generale di adattamento, di temperamenti ed emozioni di base, della fase di allarme, di resistenza ed esaurimento, della logica di causa-effetto, del pensiero probabilistico, della definizione di strain, ci soffermiamo oggi sulla tema della resilienza.
Ricordiamo che i successivi capitoli del libro affrontano, sempre con lo stile ironico che distingue Cirincione, temi come la prevenzione, il clima organizzativo, la comunicazione, il set relazionale e le scelte idonee per non farsi “travolgere dagli eventi”.


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Lavori o Scleri ?! - Teoria e pratica del mal-essere per scelta
eBook in PDF: Il lettore attraversa un percorso nel concetto di 'stress' tra esempi e metafore, per comprendere al meglio come funziona e come si cura il proprio benessere psicologico.
 
Capitolo 10
La parola “magica”: resilienza
Capitolo del tassello mancante
 
E' un concetto talmente importante che val bene averne una nozione chiara, anche perché è il cardine della prevenzione.
 
 ⇒ Se fossimo più resilienti, ci potremmo permettere di essere stressati, evitando lo strain, e traendone persino beneficio.
- Possibile?!
 
Invito il mio lettore a fare un esperimento, che consiste nell'andare dal medico di base, oppure dallo specialista cardiologo, e porgli questa domanda:
Caro dottore, mi suggerisce cosa posso fare per mantenere sane le mie coronarie a fronte del fatto che il lavoro è un disastro, il mio capo un bastardo, i colleghi menefreghisti, i clienti inaffidabili; e non le parlo di mia moglie.....”.
Il medico – sempre che non decida di metterti alla porta – si darà un tono prima di rispondere, probabilmente per contenere la risata che gli sgorga naturale; è probabile che, dopo una variopinta conversazione, egli arrivi a proporre le regole da seguire. Ruoteranno attorno ai seguenti concetti:
- fumo / sedentarietà / cibo / alcol / atteggiamento pessimista / predisposizione familiare.
 
Sono le stesse cose che dice la portinaia a suo marito, il quale se ne frega anzi: più la moglie lo rimbrotta più lui insiste. Sia ben inteso, il medico e la portinaia hanno ragione! Ah, dimenticavo, il medico potrebbe consigliarvi una bella vacanza per ridurre lo stress...
 Anche la portinaia vorrebbe andarci, ma il marito non l'ha portata nemmeno per il viaggio di nozze :-((.
 
A volte capita di avere la sensazione che manchi sempre qualche pezzo per completare il puzzle. È quel fenomeno che sono solito definire come “il problema dell'ultimo miglio” o dell'ultimo “15”, se mettiamo la metafora sul piano tennistico.
Le gare si completano quando si arriva in fondo. Il mitico Giovanni Trapattoni coniò l’aforisma “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, che ben si colloca in questo ragionamento.
 
Prendiamo ad esempio un disguido all'aeroporto.
 
- Ipotizziamo che tu sia arrivato tardi al check-in e abbia perso il volo. Sei lì come un salame, nessuno ti aiuta. L'aereo non è ancora decollato ma sai di non poter salire a bordo (e la cosa ti sembra veramente insopportabile in quel momento). Vien voglia di arrabbiarsi, di urlare, persino di piangere. Senti la tensione alta e lì ti accorgi a che cosa serve tutto l'ambaradan psicologico che la natura ti ha messo a disposizione. Hai un problema, devi attivarti per risolverlo. Non si risolve da sé, nessuno riapre il check-in per te. L'aereo non aspetta. Il tempo non torna indietro.
 
Tralasciamo il carattere e le reazioni emotive per un momento, e consideriamo di trovarci a dover scegliere:
- tra l'inerzia e l'attesa degli eventi (un altro volo, chissà quando);
- oppure assecondare lo stimolo a prendere la decisione di agire, muoversi, cercare un altro mezzo di trasporto.
 
Quando le cose vanno storte, gli eventi possono solo essere fronteggiati. Manzoni scrive che “le tribolazioni aguzzano il cervello[1] e la notizia neuropsicologica legata alla citazione letteraria è che le cose stanno proprio così! L'homo sapiens è “progettato” per affrontare e superare difficoltà di ogni genere, al punto che la nostra specie si è diffusa in qualsiasi angolo del pianeta, e non solo negli habitat più confortevoli.
La differenza tra due individui in buona sostanza non è accidentale, la casualità ha un ruolo importante ma delimitato. La costruzione delle capacità di rispondere alle situazioni in modo attivo e propositivo è in parte genetica, in parte frutto di addestramento, in parte figlia di chi ci ha allevato, ma in buonissima percentuale è frutto dell'atteggiamento mentale che giochiamo nelle situazioni.
 
Chiedersi cos'è la resilienza – c'è un po' di retorica in queste parole – è un po' come voler definire l'uomo: ci si avventura in un dedalo che propone risposte religiose, filosofiche, antropologiche, eccetera. Per essere pratici possiamo ricorrere alle nozioni scientifiche in nostro possesso, che danno questa definizione:
⇒ un metallo è “resiliente” quando sostiene un urto senza spezzarsi.
 
A questo proposito, sono stato molto colpito da un documentario televisivo [2] nel quale viene illustrato l'antico – e difficilissimo – metodo col quale viene realizzata la katana (la mitica spada dei Samurai) in Giappone: un esempio di arte e metallurgia di rara potenza evocativa.
 
Il termine “resilienza” assume sfumature di significato diverse secondo gli ambiti in cui è usato, ma in generale richiama (fin dall'etimologia)
la capacità di risalire ovvero di non arrendersi.
 
In psicologia è strettamente collegato alla dimensione della speranza, cioè il pensiero rivolto comunque alla possibilità che le cose vadano nella direzione migliore. Possiamo dire che è un passo oltre la “resistenza”, che appare essere una dote contenitiva più che evolutiva. Le scienze umane identificano come resiliente:
⇒ un individuo che rimane “saldo”, motivato anche nelle avversità, che vede nei problemi delle opportunità, insomma qualcuno che ha un senso di responsabilità di tipo progressivo.
 
Ecco che arriviamo – finalmente! – a un punto nel nostro percorso di curiosi osservatori: forse il passaggio mancante per definire il concetto di job strain è la forza del sé (resilience).
 
- 10° legge dello sclero: lo stress può provocare tanto più strain quanto minore è la resilienza della risposta (più cala la speranza meno ce la si fa).
- 10° regola del lavoro: è essenziale imparare dai propri errori ed esercitarsi nell'arte del problem solving individuale.
 
In definitiva, addestrare la propria resilienza significa mettere tra noi stessi (il nostro modo di essere) e gli eventi esterni tutto ciò cui possiamo attingere: tradotto nel campo della sicurezza, può voler dire indossare un caschetto, imparare un comportamento sicuro, ma soprattutto adottare uno stile di pensiero preventivo, addestrarsi, formarsi, cercare di migliorare/migliorarsi sempre.
 
 
Andrea Cirincione
Psicologo del Lavoro
 
 

[1] I Promessi Sposi, cap. 6
[2] Passaggio a Nord-Ovest, 16/8/2011


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