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Rischio stress: l’analisi organizzativa della situazione di lavoro

Rischio stress: l’analisi organizzativa della situazione di lavoro

Gli strumenti di valutazione più diffusi non bastano per capire quale sia in concreto l’intervento organizzativo da realizzare per contrastare il rischio da stress lavoro-correlato. Un diverso approccio interdisciplinare alla valutazione dello stress.

Modena, 25 Mar – Sono tanti i motivi per tornare ad affrontare il tema della valutazione e gestione del rischio stress lavoro-correlato, da un lato l’entità del fenomeno che mostra, dati europei alla mano, quanto questo rischio sia diffuso nei luoghi di lavoro, dall’altro lato l’aumento della rilevanza giuridica del problema in relazione, ad esempio, alle responsabilità datoriali.
 
E sono proprio questi due aspetti che sono alla base delle riflessioni nate in seno alla  Fondazione Marco Biagi, fondazione dell’ Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, sulla la necessità di affrontare lo  stress lavoro-correlato con un approccio efficace sia in termini diagnostici che prevenzionistici. Riflessioni che hanno portato alla realizzazione di un breve saggio dedicato all’illustrazione di un diverso approccio allo stress lavoro-correlato che supera i limiti della prassi prevalente e ristabilisce la  centralità dell’organizzazione del lavoro nell’eziologia e conseguentemente nella prevenzione dello stress lavoro-correlato.
Un saggio pubblicato nel 2013 tra i Quaderni della Fondazione Marco Biagi con il titolo “Lo stress lavoro correlato: dalla valutazione alle misure organizzative di prevenzione”.

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Nel documento - a cura di Ylenia Curzi, Tommaso M. Fabbri (Università di Modena e Reggio Emilia - Dipartimento di Economia Marco Biagi e Fondazione Marco Biagi) e Christian Nardella (Fondazione Marco Biagi - Scuola Internazionale di Dottorato in Relazioni di Lavoro) – sono riportate varie indicazioni concettuali e normative sul rischio stress nei luoghi di lavoro. A partire da quella comunicazione alla rivista “Nature” del 1936 di un medico di origine ungherese Hans Selye che, pur non utilizzando la parola stress, si può considerare il “momento fondativo della conoscenza e della ricerca sullo stress”. 
 
È poi affrontato lo stato dell’arte della prassi di valutazione dei rischi legati allo stress lavoro-correlato con particolare riferimento alle indicazioni metodologiche fornite dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro.
 
A questo proposito viene rimarcata una “palese incoerenza tra il percorso metodologico indicato dalla Commissione e la natura del fenomeno da rilevare”, fenomeno “inteso come la percezione da parte dei lavoratori di doversi confrontare con richieste lavorative che considerano non fronteggiabili con le risorse/capacità che credono di possedere”.
Ad esempio si dubita che la metodologia della Commissione, nella misura in cui “non considera necessaria la ‘ valutazione approfondita’, e in particolare l’indagine sui cosiddetti ‘fattori soggettivi’”, permetta agli operatori aziendali della prevenzione di valutare quanto il fenomeno da rilevare (lo stress come sopra concepito) sia effettivamente presente. Ciò soprattutto se si considera che le cognizioni e emozioni alla base di quel ‘non sentirsi in grado’, sono certamente processi consapevoli, ma tuttavia interni, cioè non direttamente accessibili ad un osservatore esterno come invece potrebbero esserlo i comportamenti”.
 
Rimandando ad una lettura integrale del breve saggio, che si ferma su diversi altri aspetti del percorso valutativo, arriviamo ad accennare all’approccio integrato alla valutazione e all’intervento per la prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato.
 
Il documento indica, con chiarezza, che gli strumenti di valutazione oggi più diffusi nelle prassi aziendali e consulenziali “hanno certamente una valenza segnaletica dell’esistenza di un problema di stress lavoro-correlato e, se selezionati in base al loro potenziale prevenzionistico, possono utilmente orientare la ricerca di misure correttive”, ma da soli non bastano per specificare quale sia in concreto l’intervento organizzativo da realizzare per contrastare il rischio da stress lavoro-correlato”.
 
Si segnalano anche i limiti dei questionari di rilevazione delle percezioni dei lavoratori. Questionari che, anche “per ragioni legate al rispetto della normativa sulla tutela della privacy, restituiscono informazioni in forma aggregata”, ma “non restituiscono invece il dettaglio dei problemi nella loro concretezza, ossia gli elementi o aspetti delle situazioni lavorative che hanno determinato, in concreto, quelle percezioni di rischio”.
E se la fase diagnostica si limiterà alla somministrazione in azienda di un questionario di rilevazione delle percezioni dei lavoratori, “sarà pressoché impossibile passare da quelle alla individuazione della misura di contrasto da adottare in concreto, ovvero del particolare intervento organizzativo effettivamente più adeguato rispetto alle specificità proprie della singola situazione di lavoro. Per quello, è necessaria un’analisi organizzativa della situazione di lavoro problematica”.
 
È dunque necessario adottare “un approccio interdisciplinare e mixed-method, capace di combinare razionalmente e efficientemente i cosiddetti ‘indicatori’ oggettivi (relativi a eventi sentinella, ma anche, ove possibile, a stati fisiologici, ecc.), con indicatori soggettivi (percezioni di malessere dei lavoratori e di criticità in ordine a fattori di contesto e contenuto del lavoro) e un’analisi e intervento organizzativi sulle (eventuali) situazioni di lavoro stressogene”.
In pratica – continua il saggio – “si può partire dalle valutazioni condotte con le liste di controllo e i questionari sugli stressors percepiti e utilizzarne i risultati in maniera combinata per individuare i ‘punti critici’, i ‘luoghi’ (reparti, uffici, più generalmente unità organizzative) in cui si concentrano i problemi e/o dove il personale, ovvero ‘gruppi significativi’ (per es. categorie lavorative, ruoli, mansioni, ecc.) dichiarano l’esistenza di problemi. Poi, in quei ‘punti critici’ e/o in riferimento a quei gruppi di lavoratori, si tratta di procede all’analisi organizzativa della situazione di lavoro, e infine all’individuazione degli interventi migliorativi”.
 
Si tratta in questo caso di un’analisi organizzativa “propriamente detta – e quindi non realizzabile o, per meglio dire, liquidabile attraverso semplicistiche liste di controllo – ancorata ai principi metodologici della ricerca-intervento, e basata su uno schema concettuale, alternativo a quello socio-tecnico, oggi più diffuso negli approcci consulenziali e aziendali”.
Un’analisi che consentirà di “distinguere le dimensioni analitiche della situazione di lavoro, di qualificarle come scelte organizzative e quindi di valutarne, singolarmente e sistematicamente – anche valorizzando le percezioni dei lavoratori e le evidenze della valutazione ‘preliminare’ - le implicazioni per il benessere delle persone al lavoro”.
 
Dopo aver accennato anche alle competenze necessarie per l’analisi organizzativa della situazione di lavoro, nelle conclusioni del saggio si indica che l’obiettivo del lavoro era quello di mostrare come la scelta degli strumenti e delle modalità di valutazione impatti “in maniera decisiva” sulla capacità di ottemperare agli obblighi datoriali di prevenzione.
 
E se gli strumenti e le prassi di valutazione del rischio stress oggi più diffusi “non bastano per risalire alle cause organizzative dei problemi rilevati, e quindi per individuare quale sia lo specifico intervento organizzativo da realizzare in concreto”, il diverso approccio alla valutazione dello stress lavoro-correlato interdisciplinare e mixed-method offre agli operatori aziendali della prevenzione (datori di lavoro in primis) una “triplice opportunità”.
Innanzitutto, “l’opportunità di aumentare la propria capacità di individuare misure di prevenzione genuinamente primarie, organizzative e collettive, condivise ed efficaci. Inoltre, l’opportunità di rendere questa capacità esplicita e argomentabile, documentando così il pieno rispetto delle responsabilità datoriali in materia”.
E, infine, “l’opportunità di razionalizzare l’investimento di risorse dedicate allo stress lavoro-correlato”: l’approccio proposto può infatti “generare economie di apprendimento in fase di valutazione, risparmi sulla formazione generica – cui troppo spesso si ricorre come unica misura di miglioramento – e incrementi di produttività derivanti dal maggiore benessere del lavoratori conseguente alle migliorate condizioni organizzative”.
 
 
Lo stress lavoro correlato: dalla valutazione alle misure organizzative di prevenzione”, a cura di Ylenia Curzi, Tommaso M. Fabbri (Università di Modena e Reggio Emilia - Dipartimento di Economia Marco Biagi e Fondazione Marco Biagi) e Christian Nardella (Fondazione Marco Biagi - Scuola Internazionale di Dottorato in Relazioni di Lavoro), Quaderno della Fondazione Marco Biagi n. 6/2013 (formato PDF, 5.93 MB).
 
 
 
 
Tiziano Menduto
 
 
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