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MOBBING VERBALE

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Articolo a cura di Rolando Dubini tratto dalla sezione “Guide” del sito SuperEva.com.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 16548/2005 riguarda un episodio di discriminazione ai danni di una lavoratrice straniera sul luogo di lavoro, ma che può considerarsi significativa anche perché censura gli atteggiamenti offensivi dei superiori nei confronti dei lavoratori.

"Prima di parlare impara l'italiano". E' costata cara a Morena V., una 34enne imprenditrice triestina, questa frase rivolta ad una sua dipendente di origine slava. La discriminazione, anche solo verbale, sul posto di lavoro può infatti fare scattare una condanna penale per il reato di ingiuria e così la Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna a 200 euro di multa nei confronti dell'imprenditrice.

Per la Suprema Corte un comportamento di questo tipo del datore di lavoro nei confronti dell'immigrato non può infatti in alcun modo essere giustificato e merita “giustizia'” Per aver ripreso sul lavoro la lavoratrice straniera intimandole “impara l'italiano”, la giovane imprenditrice era stata condannata dal giudice di pace di Trieste, sentenza del 21 novembre 2003, a pagare 200 euro di multa per ingiuria.

Contro la condanna Morena V. ha presentato ricorso in Cassazione facendo notare che la condanna era scattata solo sulla base della testimonianza offerta da Radojka, la lavoratrice straniera offesa. Difesa bocciata dalla Quinta Sezione penale della Cassazione anche "in ragione della diversa madrelingua" della lavoratrice discriminata.

Scrive il relatore Mario Rotella nella sentenza 16548 che, anche se "la sentenza si fonda sulle sole dichiarazioni dell'offesa, nella sua concisione, offre i parametri di valutazione di attendibilità della parte offesa". Una credibilità che, a detta di Piazza Cavour, è suffragata anche dalla "pacatezza della deposizione" della lavoratrice straniera che "esclude rancore e significa, nella sua fermezza, richiesta di giustizia e assenza di pretese risarcitorie che denuncino strumentalità dell'accusa". Di qui il rigetto del ricorso della imprenditrice che dovrà pure pagare le spese processuali.

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