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Lo stress lavorativo negli addetti alla Polizia Locale

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Il “vigile urbano” come considera il suo lavoro? Come ritiene venga percepito e considerato dai cittadini? Con chi può entrare maggiormente in conflitto? Quali strategie mette in atto per fronteggiare le difficoltà?

Queste sono solo alcune delle domande che hanno guidato uno specifico progetto di ricerca, finalizzato a indagare il fenomeno dello stress lavorativo nella Polizia Locale.

Si tratta di una indagine condotta su tutto il territorio nazionale realizzata in collaborazione con l’ANVU (Associazione Professionale Polizia Locale d’Italia).

Una sintesi della ricerca è stato pubblicata sul numero di luglio 2007 di PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente a cura di Antonio Zuliani e Lucia De Antoni ed è disponibile anche nel sito dell’ANVU: la sintesi della ricerca (file PDF, 188 kb). Il report completo sarà pubblicato nel mese di settembre a cura dell’ANVU.

Riportiamo alcuni degli elementi più significativi emersi.

Per realizzare il progetto, è stato elaborato un questionario pubblicato sul sito dell’ANVU e distribuito anche in versione cartacea in occasione di seminari e convegni a carattere nazionale.

Il questionario era strutturato in tre aree. La prima intendeva raccogliere i dati anagrafici del compilatore e le caratteristiche del Comando di appartenenza. La seconda intendeva evidenziare i fattori determinanti il benessere o il malessere lavorativo. La terza area, infine, indagava gli stili di coping utilizzati dai soggetti per affrontare situazioni critiche collegate al lavoro.

Sono stati raccolti 819 questionari validi, compilati da appartenenti alla Polizia Locale di tutta Italia che hanno aderito spontaneamente all’iniziativa.

Non si tratta di un campione rappresentativo della categoria, ma l’analisi delle loro risposte può comunque fornire indicazioni utili.

Il 47,35% dei soggetti ha ritenuto il suo lavoro “utile alla società”; il 32,43% lo ha ritenuto “interessante”.

Invece, alla domanda “secondo lei, come viene valutato dai cittadini il corpo della polizia locale rispetto agli altri corpi”: il 75,93% ha risposto “inferiore agli altri”.

Due domande aperte hanno permesso di indagare quali sono le mansioni ritenute più pericolose dal punto di vista fisico e quali maggiormente stressanti.

I risultati hanno evidenziato come “più pericolosa” le attività riguardanti la “viabilità”.
Questa è stata indicata anche come la più stressante, seguita dal “rapporto con gli utenti”; tali aspetti sono infatti chiaramente collegati.

L’ultima parte del questionario focalizzava l’attenzione sugli stili di coping che gli appartenenti alla Polizia Locale utilizzano per affrontare le difficoltà connesse al loro lavoro.

E’ stato chiesto:

. “Quando lei si trova in difficoltà dopo una giornata di lavoro particolarmente difficile a causa di conflitti con gli utenti, a chi o a che cosa fa riferimento per superare le sue difficoltà?”.

. “Quando lei si trova in difficoltà dopo una giornata particolarmente difficile a causa di conflitti all’interno del suo posto di lavoro, a chi o a che cosa fa riferimento per superare le sue difficoltà?”.

. “Quando accade un fatto tragico come il ferimento o la morte di un collega di lavoro, a chi o a che cosa fa riferimento per superare le sue difficoltà?”.

. “Quando accade un fatto tragico come il ferimento o la morte di una persona coinvolta in una situazione che ha chiesto il suo intervento, a chi o a che cosa fa riferimento per superare le sue difficoltà?”.

Confrontando le risposte fornite, si è constatato che la “famiglia” occupa sempre il primo posto. Su di essa grava quindi un peso significativo che, però, può non essere preparata a sostenere.

Rispetto a questo fenomeno l’ISPESL parla di “sindrome Corridoio”, sottolineando con questo termine che non esiste uno stacco significativo tra gli stimoli propri dell’ambiente di lavoro e quelli della famiglia o della vita privata in genere.

Risulta utile, quindi, intervenire affinché le ansie determinate dal lavoro non vengano trasportate all’interno della vita privata, ambiente che non sempre è preparato a compensarle. Le tensioni a livello lavorativo, se portate in famiglia, possono addirittura causare rotture comunicative ed essere fonte di aggressività. La famiglia non sempre è in grado di aiutare una rielaborazione dei traumi vissuti, in quanto spesso è già impegnata ad affrontare altre problematiche di tipo affettivo. Inoltre, non sempre è a conoscenza che il suo componente, proprio a causa del lavoro che svolge, può manifestare disagi, fragilità o sofferenze.

Non solo l’operatore, quindi, ma anche la sua famiglia deve essere informata delle problematiche a livello emotivo che tale professione può comportare, al fine di essere aiutata a sviluppare le strategie adeguate. Se necessario, nei casi più difficili, può essere opportuno offrirle un supporto.

I partecipanti al questionario hanno anche indicato, come principale supporto interno al loro ambiente di lavoro, i “colleghi di lavoro”. Anche in questa professione, pertanto, si rileva l’importanza del peer counseling, il sostegno fra pari, come prima modalità a cui si ricorre per affrontare situazioni di stress psicolavorativo.

I risultati completi della ricerca verranno esposti durante un prossimo convegno organizzato dall’ANVU. Maggiori informazioni potranno essere trovate sul sito www.anvu.it.

 


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