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La sfida dello stress: da aggravio per le imprese a grande opportunità

La sfida dello stress: da aggravio per le imprese a grande opportunità

Un intervento si sofferma sullo stress, sul concetto di organizzazione e sulla costrittività organizzativa. Dobbiamo passare dalla cultura del controllo a quella della responsabilità, dalla prospettiva manutentiva a quella manageriale.

Urbino, 2 Dic – Se nei luoghi di lavoro la questione dello stress, come più volte ripetuto in questi anni, è principalmente una questione organizzativa, è di stress organizzativo che si deve parlare. Tuttavia è bene ricordare “senza stress non c’è organizzazione”. E “guardare nell’organizzazione esclusivamente il distress è una forma di strabismo. È sacrosanto, garantista e giusto prevenire tutte le fonti di stress negativo (distress) per tutelare la salute dei lavoratori e per garantire il loro benessere”. Ma tale strabismo “deforma e impedisce una corretta collocazione del  fenomeno dello stress nelle imprese e nelle organizzazioni. L’interesse delle imprese italiane e della collettività dell’Italia come sistema è ragionare alla luce di un approccio che vede lo stress per quello che è: un fenomeno fisiologico. Come esiste un distress nelle organizzazioni esiste anche un eustress. Lo stress positivo (eustress) è una risorsa aziendale, fonte indiscutibile di crescita innovazione e sviluppo”.
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A parlare in questi termini dello stress organizzativo nel mondo del lavoro è un intervento al convegno “La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione” (8 novembre 2013, Università degli studi di Urbino). Intervento che è stato pubblicato, insieme agli altri atti del convegno, tra i “Working Papers” di Olympus, con il titolo “ La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione - Atti del Convegno Urbino - 8 novembre 2013”.
 
L’intervento a cui facciamo riferimento - a cura di Giuseppe Favretto (Professore ordinario di Organizzazione Aziendale nell’Università di Verona) e Serena Cubico (Ricercatore di Organizzazione Aziendale nell’Università di Verona), frutto di un comune lavoro di ricerca e di confronto svolto nell’ambito del gruppo di collaboratori del Centro di Ricerca Mobbing e Benessere Organizzativo dell’Università di Verona – si intitola “Stress organizzativo: rischio o opportunità” e si sofferma ampiamente, prima di addentrarsi nel tema dello stress,  sul concetto di organizzazione e della conseguente costrittività organizzativa.
 
Rimandando ad una lettura integrale dell’intervento, riprendiamo alcuni concetti e definizioni riportate nell’intervento.
 
Se Schein (1985) descrive l’organizzazione “come un sistema complesso che deve essere studiato nella sua totalità”, le organizzazioni spesso “obbligano i singoli individui a riconoscere una rigida strutturazione gerarchica e funzionale che li costringe a sottomettervisi e che riduce la libertà e la discrezionalità individuale, come evidenziato in Favretto (2010). I livelli di costrittività però variano da contesto a contesto. In alcuni sono minimi in altri sono massimi”. E se ci trasferiamo dalle sfere della vita comunitaria a quelle della vita lavorativa, spesso “siamo pronti ad accettare (alcuni dicono a subire) diversi livelli di costrittività”.
Ma perché accettiamo la costrittività organizzativa? La risposta – continuano i relatori – “ci viene fornita da un economista, da uno dei padri del pensiero organizzativo, Cornell, il quale evidenzia come l’efficienza e l’efficacia siano raggiungibili tramite un sistema costrittivo. Egli sostiene che nell’organizzazione l’azione costrittiva è giustificabile se (e questa è la quotidiana sfida della razionalità) si dimostra che ‘lo sforzo di due o più individui che lavorano insieme verso un traguardo comune è più efficace della somma degli stessi sforzi di quegli stessi individui che operino separatamente’ (Cornell, in Megginson et al., 1992, 349)”.
Tuttavia in un’impresa la costrittività alla quale noi sottoponiamo il sistema organizzativo e le persone non deve “andar oltre quegli elementi che giustificano l’azione costrittiva”. E da qui deriva la “giusta necessità di tutelare il lavoratore (dall’eccesso di pena) garantendo la sua salute riducendo e controllando le fonti di rischio”.
 
Mantenendo l’attenzione sulla questione organizzativa, si segnala che “l’organizzazione è il luogo di tutte le azioni organizzative e di tutti i comportamenti organizzativi, dello stare bene e lo stare male. L’organizzazione è un organo, cioè uno strumento, un artefatto sociale, in cui gli umani, animali da branco, si organizzano naturalmente per raggiungere degli obiettivi (Favretto, 2010), pronti ad accettarne le costrittività laddove esse servano davvero”. E la prescrittività aziendale finisce con l’identificarsi con l’azione manageriale.
E ricordando che il raggiungimento di obiettivi organizzativi non può prescindere dal coinvolgimento dei lavoratori, come ricordato anche da alcune direttive europee, si indica che perché un sistema cresca “bisogna agire su fattori propulsivi: partecipazione, coinvolgimento decisionale, sfida, riconoscimento del merito, professionalizzazione e responsabilità”.
 
I relatori si chiedono poi “quanto possono influire i fattori propulsivi e i relativi modelli di management, sulla prevenzione dello stress”.
 
Dopo aver riportato le varie posizioni e definizioni relative allo stress, i relatori constatano che “nelle torsioni e nelle derive di applicazione professionale, complice la stessa formulazione del Testo Unico, si fa riferimento solamente a una parte di stress (il distress) confondendo l’uno con l’altro”. In realtà “se non c’è stress non c’è vita, allo stesso modo, se non c’è stress non c’è organizzazione”. E “perché le organizzazioni producano e funzionino è indispensabile che in esse si sviluppi un range ottimale di stress, denominato LOA (Livello Ottimale di Attivazione), che corrisponde alla fase in cui gli umani sono maggiormente efficienti (Yerkes & Dodson, 1908). La deriva professionale e culturale che spesso ha perduto importanti riferimenti scientifici si focalizza soprattutto con l’overload lavorativo cioè il sovraccarico (Favretto et al., 2012), o in omaggio al modello di Karasek all’incapacità di controllo”.
E se “l’overload da domanda è una variabile perniciosa nei confronti del benessere e dell’efficienza lavorativa”, non va dimenticata una “fonte di rischio organizzativo che ha a che fare con l’underload e con la deprivazione sensoriale (monotonia industriale, mobbing, assenza o riduzione dell’identità sociale lavorativa). Accade pertanto che vi siano persone che vengono ‘uccise umanamente’ senza adoperare strumenti di sovraccarico, ma attraverso sistemi di dequalificazione e di riduzione di stimoli. In tal direzione val la pena di ricordare che processi o meccanismi di prepensionamento, licenziamento e di perdita del lavoro, episodi questi che non sono adeguatamente monitorati dal punto di vista del rischio sociale, generano deprivazione di ruolo collettivo, e d’identità personale, prodromi di distress, straining e malattia”.
Dunque, come già detto in apertura di articolo, è bene sottolineare che “lo stress positivo (eustress) è una risorsa aziendale, fonte indiscutibile di crescita innovazione e sviluppo”.
 
Gli autori in definitiva sottolineano che un “approccio occhiuto, sospettoso, negativo nei confronti del comportamento degli attori aziendali, è il nemico da combattere se davvero di evoluzione e sviluppo organizzativo si vuol parlare”. Se si vuole cambiare prospettiva manageriale è necessario passare dalla cultura aziendale del controllo a quella della responsabilità. Insomma “la sfida, in relazione ai modelli di management adatti alla contemporaneità, in una situazione di scarsità di risorse, è a un bivio: o investiamo sul controllo/sospetto o investiamo sullo sviluppo. Le due azioni sono alternative se non addirittura opposte”.
 
Veniamo in particolare al tema dello stress lavoro correlato.
 
I relatori ricordano che “per molte aziende la valutazione delle fonti di stress lavoro-correlato è stata un ‘doveroso aggravio’ di controllo manutentivo. Non è un caso che le associazioni datoriali, anche le più illuminate, abbiano fatto resistenza nei confronti del varo della legge e della sua formulazione”.
Molto spesso “per il piccolo-medio imprenditore la valutazione dello stress lavoro-correlato si è rivelata una semplice generazione di costo. E all’obbligo di certificazione ha risposto rivolgendosi alle figure professionali più improbabili, figure talvolta fortemente discutibili”.
 
Rispetto a questa situazione, “dobbiamo andare oltre”.
 
La sfida dello stress deve “trasformarsi da un ‘doveroso aggravio’ per le imprese, a una ‘grande opportunità’, per cercare anche ‘il meglio’ (eustress) presente in esse. Questo non significa smettere di valutare e prevenire il distress, ma significa osservare e agire senza strabismi in modo tecnicamente e scientificamente corretto”.
In particolare “l’attuale approccio manutentivo, è figlio legittimo dei modelli razionali legali ed economici. Manutenere comporta la giusta ricerca di tutto ciò che inquina, riduce e fiacca il benessere del lavoratore”. Ma per una “vera azione di crescita e sviluppo”, tutto questo non basta.
Dunque anche sul fronte dello stress “dobbiamo cambiare prospettiva: da quella manutentiva a quella manageriale (manus agere)”.
Se, “complici della cultura del controllo, ci soffermiamo a scrutare ciò che di negativo occupa il mondo dell’azienda e ci limitiamo esclusivamente a questo, diventiamo l’espressione di uno stile aziendale/gestionale” che finirà per scovare solo tutto ciò che non va bene.
Tuttavia “al fine di adottare una autentica azione di manus agere, dobbiamo cercare anche e soprattutto il bene”, gli aspetti positivi.
L’intervento si conclude citando un famoso aforisma di Abraham Lincoln: ‘se negli uomini cerchi il male, di certo lo troverai. Ma se cerchi il bene lo troverai sempre’.
 
 
    
Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione - Atti del Convegno Urbino - 8 novembre 2013”, a cura di Luciano Angelini (Professore aggregato di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo e Condirettore di Olympus), Working Paper di Olympus 31/2014 inserito nel sito di Olympus il 6 marzo 2014 (formato PDF, 978 kB).
 
 
 
Tiziano Menduto
 
 
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