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Benessere organizzativo: concetto e indicazioni normative

Benessere organizzativo: concetto e indicazioni normative

Un intervento si sofferma sul benessere organizzativo e ricorda che la salute dei lavoratori dipende dal contesto lavorativo generale e dalla salute dell’organizzazione di appartenenza. Gli indicatori di benessere e di malessere nei luoghi di lavoro.

Urbino, 23 Giu – In un recente articolo di presentazione della conferenza/seminario, organizzata dall’ Università di Urbino “Carlo Bo”, “Benessere organizzativo: concetto, evidenze e indicazioni normative” (Urbino, 20 aprile 2016), abbiamo mostrato quanto il concetto di benessere organizzativo (BO) sia in realtà già presente nella normativa relativa al mondo del lavoro pubblico.
 
Tuttavia è essenziale che questo concetto, destinato a diventare in futuro un elemento rilevante della tutela della salute e sicurezza in tutti i luoghi di lavoro, sia sempre più conosciuto, sia dai destinatari delle norme che da tutti gli attori della sicurezza aziendale.

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Per cercare di parlarne, torniamo a sfogliare gli atti dell’intervento della Dott.ssa Laura Barnaba (psicologa, componente Gruppo di Lavoro "Rischio stress lavoro correlato" dell'Ordine Psicologi del Lazio, membro effettivo CUG e membro supplente della Commissione consultiva permanente per il Ministero Infrastrutture e Trasporti) con particolare riferimento all’evoluzione e al significato di “ Benessere organizzativo”.
Si ricorda che il benessere organizzativo è un costrutto di psicologia del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse umane sviluppato negli anni 2000 dal prof. Francesco Avallone e collaboratori portando a sintesi esperienze internazionali e contributi anche di altre discipline. Un modello che è stato preso a riferimento nella Direttiva della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della funzione pubblica - del 24 marzo 2004 recante “Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni” (c.d. “direttiva benessere”).
 
La relatrice ricorda che all’inizio degli anni 2000 il benessere organizzativo era inteso in due accezioni principali:
1. “stato soggettivo di coloro che lavorano in uno specifico contesto organizzativo;
2. insieme dei fattori che determinano o contribuiscono a determinare il benessere di chi lavora”.
In particolare il prof. Avallone sviluppa il BO in quest’ultima accezione. E in una prima approssimazione potremmo dire che il benessere organizzativo si riferisce alla capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione (Avallone F., 2003).
Insomma, in parole semplici, le organizzazioni, oltre a produrre beni e/o servizi “producono effetti sui lavoratori”. E dunque oltre che da fattori fisici, chimici, etc., “la salute e dei lavoratori (come benessere fisico, psicologico e sociale) dipende anche dal contesto lavorativo generale e dalla ‘salute dell’organizzazione di appartenenza’.
 
Questa invece è la definizione ufficiale di BO: “insieme dei nuclei culturali dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoratori” (Avallone 2003).
 
Ma da dove arriva il concetto di benessere organizzativo?
 
La relatrice indica che:
- “lo studio della salute organizzativa ha le sue radici nella tradizione culturale e nelle esperienze di discipline diverse;
- tra le radici del BO: gli studi sullo stress lavorativo e il burn out e in generale gli studi e le esperienze di SSL con riferimento ai fattori psicosociali;
- nel 1990 Rymond et al introducono il termine Occupational Health Psychology, la psicologia della salute occupazionale, nata dal convergere della psicologia della salute (health psychology) e la salute pubblica (public health) negli ambienti lavorativi”.
 
Il modello sviluppato dal prof. Avallone prevede poi delle “variabili critiche (o dimensioni, poi ‘fattori’) che determinano il benessere organizzativo, rilevato anche attraverso gli stati di benessere/malessere della collettività dei lavoratori tramite:
- indicatori di benessere;
- indicatori di malessere.
 
Veniamo alle “dimensioni” del benessere organizzativo in un’azienda:
- “comfort dell’ambiente;
- chiarezza degli obiettivi e coerenza tra enunciati e pratiche;
- riconoscimento, valorizzazione e stimolo delle competenze;
- ascolto dei dipendenti;
- circolazione informazioni;
- prevenzione infortuni e rischi professionali;
- ambiente relazionale franco e collaborativo;
- scorrevolezza operativa, rapidità di decisione, azione verso gli obiettivi;
- giustizia organizzativa (equità);
- senso di utilità sociale e del lavoro;
- apertura all’ambiente esterno e all’innovazione culturale e tecnologica;
- livelli accettabili di stress;
- gestione della conflittualità”.
E gli indicatori di benessere possono essere: “soddisfazione per l’organizzazione; voglia di impegnarsi; sensazione di far parte di un team; voglia di andare al lavoro; elevato coinvolgimento; speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali; percezione di successo dell’organizzazione; percezione di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata; soddisfazione per relazioni interpersonali sul lavoro; apprezzamento per i valori espressi dall’organizzazione; fiducia e stima nel management”.
Mentre gli indicatori di malessere possono essere: “insofferenza nell’andare al lavoro; assenteismo; disinteresse per il lavoro; desiderio di cambiare il lavoro; alto livello di pettegolezzo; risentimento verso l’organizzazione; aggressività inabituale e nervosismo; disturbi psicosomatici; sentimento di inutilità; sentimento di irrilevanza; senso di disconoscimento (non apprezzamento); lentezza nella performance; confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti, ecc.; venire meno della propositività a livello cogntivo; aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa”.
 
Dunque il benessere organizzativo porta ad una nuova prospettiva nella tutela della salute nei luoghi di lavoro:
- “dalla tutela della salute del singolo alla tutela della salute della comunità lavorativa considerata nel suo complesso e come espressione del funzionamento generale dell'organizzazione;
- il focus è sulle caratteristiche dinamiche dell'organizzazione che possono e dovrebbero garantire il benessere dei lavoratori che ne fanno parte;
- il focus è sulla promozione della salute intesa come stato di benessere anziché sulla prevenzione dei rischi (soprattutto psicosociali), quantunque il perseguimento del benessere organizzativo è funzionale anche alla prevenzione”.
 
Il benessere organizzativo è dunque considerato un processo dinamico al quale “concorrono un certo numero di dimensioni da valutarsi in base alle percezione che ne hanno i lavoratori coinvolti e da promuovere con la piena partecipazione di questi e del management”. Il riferimento è alla ricerca intervento e/o ricerca intervento partecipata: “ricerca che non ha solo scopi conoscitivi ma anche di introdurre dei cambiamenti con il contributo dei soggetti”.
 
In particolare il processo per la rilevazione e il miglioramento del BO prevede:
- “Individuazione dei ruoli del processo di rilevazione e miglioramento del benessere;
- Definizione della procedura di rilevazione e d’intervento;
- Predisposizione strumenti di rilevazione;
- Raccolta dati;
- Elaborazione dati;
- Restituzione dati;
- Definizione piano di miglioramento;
- Monitoraggio e verifica piano di miglioramento”.
 
Rimandando ad una lettura integrale dell’intervento, che riporta anche alcuni dati del BO in relazione alla direttiva benessere e a evidenze scientifiche ed esperienze svolte in questo ambito, si ricorda lo stretto legame tra benessere organizzativo e la salute e sicurezza del lavoro (SSL).
 
Infatti si indica che tra le variabili che producono BO c’è l’attenzione a SSL e ai livelli contenuti di stress lavoro correlato. Molte variabili “che concorrono al BO intervengono nel facilitare o prevenire i processi di stress lavoro-correlato, indicate ad esempio tra i c.d. fattori di contesto del lavoro: chiarezza dei ruoli, comunicazione chiara, ecc”.
Insomma tra benessere organizzativo e SSL c’è complementarietà e sinergia, anche se nel BO “l’accento è sulla promozione della salute delle comunità lavorative”.
 
Tuttavia, continua la relatrice, l’approccio al benessere organizzativo “mal si concilia con l’imperatività delle norme di SSL e il relativo sistema sanzionatorio” e “sarebbe opportuno comunque un raccordo tra le attività di BO e quelle per lo stress lavoro-correlato”.
 
Con riferimento ad esempio a quanto richiesto dalle norme per le amministrazioni pubbliche, “i risultati delle rilevazioni sul benessere organizzativo (soprattutto se verranno mantenute come obbligatorie) andrebbero prese in considerazione nella valutazione rischio stress lc e nelle altre attività per SSL”.
E riguardo al futuro se la Commissione Consultiva Permanente (ex art.6 D.Lgs. 81/08 e s.m.i.) è chiamata a rivedere le indicazioni metodologiche per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato, “è auspicabile che in quella sede vengano previsti esplicitamente dei raccordi con le attività obbligatorie sul BO, pur nel rispetto delle competenze e prerogative dei vari soggetti coinvolti”.
 
 
Benessere organizzativo: concetto, evidenze e indicazioni normative”, a cura della Dott.ssa Laura Barnaba (psicologa, componente Gruppo di Lavoro "Rischio stress lavoro correlato" dell'Ordine Psicologi del Lazio, membro effettivo CUG e membro supplente della Commissione consultiva permanente per il Ministero Infrastrutture e Trasporti), intervento alla conferenza/seminario “Benessere organizzativo: concetto, evidenze e indicazioni normative” (formato PDF, 7,28 MB).
 
 
Tiziano Menduto
 

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Rispondi Autore: Nicola Mestriner - likes: 0
19/12/2016 (23:17:38)
è un argomento che sento importante,necessario per innescare una partecipazione attiva dei lavoratori nelle dinamiche della vita sociale nel luogo di lavoro. sentirsi bene aiuta ad aver voglia di far parte della famiglia con cui si lavora,vien voglia di partecipare, di responsabilizzarsi,di poter vivere il lavoro e non subirlo. interessarsi ai processi lavorativi vuol dire capirli,farli propri e aiutare le figure preposte a migliorare la qualità e l'efficienza produttiva.

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