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La sicurezza sul lavoro dopo il Jobs Act evoluzione o regresso normativo?

La sicurezza sul lavoro dopo il Jobs Act evoluzione o regresso normativo?
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Valutazione dei rischi

04/11/2015

Il punto sulla evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro: intervista a Tiziana Cignarelli, segretario generale FLEPAR-INAIL.

 
Lo scorso 17 ottobre si è chiuso a Rimini il convegno "La sicurezza sul lavoro dopo il Jobs Act evoluzione o regresso normativo?" organizzato da FLEPAR-INAIL, sindacato dei professionisti PA. L’evento è stato un’importante occasione per fare il punto sulla evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, nonché sulle complesse questioni correlate al riconoscimento degli infortuni e delle malattie professionali; temi per i quali INAIL e tutti i professionisti del settore profondono grande e costante impegno. Ne parliamo con l’Avv. Tiziana Cignarelli, Segretario Generale di FLEPAR-INAIL.
 

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D: Partiamo dal convegno di Rimini e dai suoi esiti: il Jobs Act può essere considerato una effettiva ed utile evoluzione per la materia della sicurezza sul lavoro? Ritiene che la delega contenuta nella l. n. 183/2014 poteva essere meglio attuata, nel campo della sicurezza, anche nell’ottica di completare in parte l’attuazione del d.lgs. n. 81/2008?
R: Come è emerso dal convegno di Rimini, il Jobs Act e i suoi decreti attuativi hanno delle inevitabili ricadute - dirette ed indirette - sul sistema di salute e sicurezza sul lavoro che presentano nel complesso luci ed ombre.
Le ricadute dirette sono quelle contenute nel d.lgs. n. 151/2015 che in verità si traducono in pochi interventi volti soprattutto alla semplificazione burocratica e informatica di alcuni adempimenti in materia, senza incidere in modo significativo sui grandi temi collegati alla attuazione del d.lgs. n. 81/2008 (ancora pendente per alcune sue parti) e alla prevenzione vera e propria. Pensiamo, a titolo di esempio, alla realizzazione del SINP che resta tra i temi ancora sospesi. Tuttavia non poteva essere diversamente, considerato che un intervento più sostanziale e profondo sulla disciplina del Testo Unico di sicurezza sul lavoro non poteva essere collocato in un provvedimento normativo come questo, legato ad esigenze contingenti; una operazione del genere, peraltro, avrebbe richiesto tempi di condivisione, di studio e di progettazione normativa ben più lunghi. Probabilmente tra i pochi interventi che mirano più alla sostanza, nell’ambito del d.lgs. n. 151/2015, vi è quello inerente alla istituzionalizzazione del ruolo di INAIL nella produzione di strumenti e documentazione volti a facilitare e ad accompagnare i datori di lavoro nella valutazione dei rischi (attività peraltro già svolta dall’istituto nella sua funzione di polo della prevenzione); nella medesima ottica sostanziale può essere letta la previsione inerente all’aumento delle sanzioni penali per inosservanza degli obblighi di formazione.
Quanto alla ricadute indirette, riconducibili alle novità in tema di tipologie contrattuali e alla riorganizzazione della attività ispettiva e di vigilanza in materia di lavoro, il convegno di Rimini ha sottolineato la necessità di monitorare bene l’attuazione delle nuove disposizioni normative e di intercettare con anticipo quelle  problematiche di coordinamento con la normativa di sicurezza e con i temi della prevenzione in particolare che sicuramente emergeranno, considerato che queste riforme non sono state accompagnate da una parallela operazione di integrazione e revisione della normativa prevenzionistica. Cogliere l’occasione dell’Ispettorato unico per distinguere in modo più netto la funzione della vigilanza sulle imprese da quella delle tutele e della prevenzione affidata all’INAIL (Polo Sicurezza e Salute) e delle tutele pensionistiche affidata all’INPS (Polo pensionistico), portando a compimento l’impostazione di fondo della Commissione parlamentare all’epoca presieduta dalla sen. Cordoni, da cui discende tutta la attuale normativa in materia.
 
D: A suo avviso la legislazione italiana in materia di sicurezza e prevenzione risponde agli standard - formali e sostanziali - richiesti dalla Unione Europea?
R:A mio avviso il nostro sistema di sicurezza può considerarsi assolutamente adeguato rispetto agli standard posti dalle direttive europee in materia, poiché ricco di tutti quegli strumenti di prevenzione e tutela che l’Europa ha previsto per una maggiore salubrità degli ambienti di lavoro. Nel contesto europeo e comparato, peraltro, il nostro Paese ha il vantaggio – grazie alla natura stessa della sua regolamentazione giuridica in materia ed al raccordo nazionale-territoriale delle sedi in cui essa viene prevalentemente elaborata e attuata - di godere di uniformità regolatoria su tutto il territorio nazionale; fattore positivo che non sempre si riscontra in altri Paesi europei. In alcuni sistemi, infatti, la stessa articolazione territoriale del potere normativo, presenta il rischio di una regolamentazione a “macchia di leopardo” della disciplina sulla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, molto rischiosa per la uniformità delle tutele, in un ambito così delicato poiché legato a beni fondamentali della persona, quali la vita e la salute. Come sistema Italia non dobbiamo dunque alimentare “complessi di inferiorità” rispetto ad altri Paesi europei, quanto piuttosto pensare ad attuare al meglio possibile quegli strumenti giuridici di cui siamo già dotati.
Si può pensare a garantire “livelli essenziali di prevenzione” per tutto il territorio nazionale e l’INAIL che è un ente nazionale strutturato capillarmente sul territorio è l’ente adatto a tali fini e a realizzare modalità di prevenzione operativa.  
 
D: Alla luce delle recenti novità normative e della evoluzione giurisprudenziale in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, quali prospettive si prefigurano nei prossimi anni per la professione forense in questo settore e per le altre professionalità coinvolte in FLEPAR-INAIL?
R: Mi fa particolarmente piacere rispondere a questa domanda poiché molto vicina alla varietà di famiglie professionali e di discipline che FLEPAR-INAIL rappresenta; un fattore che scaturisce direttamente dalla intrinseca multidisciplinarietà di approccio che la materia della sicurezza sul lavoro richiede. Ciò significa che il presente, e ancora di più il futuro, in questo settore deve essere necessariamente caratterizzato dal lavoro in team tra avvocati, ingegneri, altri tecnici, medici e operatori del campo sanitario.
Chi svolge attività in questo ambito è dunque un professionista moderno che sa stare al passo coi tempi e, nel preservare ed accrescere la propria specifica professionalità, deve sapere interpretare l’attività professionale in chiave interdisciplinare e confrontarsi alla pari con i colleghi di altre aree e specializzazioni. Peraltro, questo approccio è anche facilitato dai più recenti orientamenti della normativa sulle libere professioni che, per effetto di un processo in atto ormai da alcuni anni, incentiva l’esercizio integrato e trasversale delle attività professionali.
 
D: Prendendo spunto dalle idee in più occasioni espresse pubblicamente dal Procuratore Guariniello e confermate dal Consigliere della Corte di Cassazione Giordano sull’efficacia dei processi in materia, quale è la sua opinione rispetto alla possibilità di istituzione di una Procura Unica Nazionale per gli infortuni sul lavoro e, più in generale, sulla necessità di maggiore specializzazione degli organi giudicanti? Ritiene che questo meccanismo potrebbe a sua volta incentivare una migliore specializzazione sulla materia da parte degli avvocati che assistono i lavoratori vittime di infortuni e di malattie professionali, incentivando, ove possibile, anche l’uso equilibrato degli strumenti di ADR (Alternative Dispute Resolution)?
R: Non amo particolarmente esprimermi sull’idea di una Procura Unica Nazionale né, tantomeno, sulle migliorie che potrebbero essere apportare al sistema processual-penalistico vigente, per una migliore tutela della salute e della sicurezza sul lavoro; peraltro sottolineo che anche su questo fronte manca una piena applicazione di quanto già previsto dalla normativa vigente. Mi riferisco all’art. 61 T.U. 81/2008 che prevede l’obbligo di comunicazione a INAIL, da parte delle Procure, al momento dell’esercizio dell’azione penale in caso di reati di lesioni personali colpose e di omicidio colposo commessi con violazione di norme antinfortunistiche perché INAIL si costituisca eventualmente parte civile o eserciti l’azione di regresso. Al momento sono poche le Procure che procedono in tal senso. D’altro canto, tuttavia, non vi è dubbio che una maggiore specializzazione sulla materia sia positiva tanto per i magistrati quanto per gli avvocati che operano nel settore. Una maggiore specializzazione, peraltro, potrebbe condurre in tanti casi a tutele più rapide, per evitare giudizi non necessari e, ancora, per consentire di arrivare in giudizio con esiti più certi e con minori criticità.
Proprio per questo preferisco concentrarmi sui meccanismi del processo civile in materia di lavoro e previdenza in cui, di fatto, una maggiore specializzazione già esiste e dà i suoi frutti.
Al riguardo peraltro non sono mancate proposte normative di FLEPAR-INAIL per la promozione degli strumenti di negoziazione assistita, da parte di collegi multidisciplinari, nelle materie di nostro interesse. Nelle nostre proposte abbiamo ipotizzato l’impiego di questo strumento non solo come alternativa netta alla tutela in sede giudiziale, ma come filtro preliminare ad un eventuale giudizio al quale, se veramente necessario, si arriverebbe più preparati e in condizioni di ottenere tutele più rapide.
Con questi strumenti, d’altra parte, si riescono a fornire al giudice maggiori elementi di valutazione sul contegno delle parti e sulle scelte dalle stesse poste in campo nelle fasi precedenti il processo, per trarne argomenti di prova ed elementi utili per giungere alla sua decisione.
 
D: A fronte degli esiti dei giudizi attivati nei confronti di INAIL, quali sono a suo avviso i temi rispetto ai quali si potrebbe efficacemente prevenire ed evitare il contenzioso consentendo la realizzazione della tutela dei diritti dei lavoratori in sede stragiudiziale?  
R: Svolgiamo un costante monitoraggio sugli esiti del contenzioso che vede INAIL coinvolta, al fine di individuare le tematiche più critiche dal punto di vista processuale. Il contenzioso eccessivo o critico su alcuni temi è infatti per noi il campanello di allarme di situazioni da affrontare con strumenti giuridici migliori e più efficaci e, se necessario, con norme chiarificatrici. Questo lo abbiamo visto in primis con il riconoscimento dell’infortunio in itinere, a lungo problematico fino a quando la normativa non ha posto dei precisi elementi identificativi della fattispecie.
Oggi le nuove frontiere sono senza dubbio collegate alla crescita delle malattie professionali, specie quelle a carattere multifattoriale come la patologie a carico dell’apparato muscolo-scheletrico e, ancora, le problematiche infortunistiche e prevenzionistiche riconducibili all’impatto dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro e alle nuove tipologie contrattuali. Questo è uno dei motivi per cui il convegno di Rimini ha posto l’attenzione sulla necessità di monitorare l’impatto sulla sicurezza e sulla prevenzione dei nuovi contratti di lavoro, una volta che saranno messi a regime.
Su tutti questi temi, nell’ambito dell’ampia casistica in cui ci imbattiamo nel contenzioso INAIL, le criticità ci porranno sempre più di fronte alla necessità di studiare soluzioni giuridiche alternative al contenzioso, nell’ambito di quei gruppi, più che tavoli, congiunti tra medici, avvocati e tecnici, di cui INAIL è dotato e in cui si studiano le criticità e i relativi possibili correttivi e si interviene in modo collaborativo ed operativo sul sistema e sui settori produttivi e distretti territoriali.
 
D: Il nostro Parlamento sta vagliando alcune proposte di riforma sui danni da amianto - al riguardo si parla anche di un testo unico – ma noi sappiamo che uno dei maggiori problemi nei processi continua ad essere la difficoltà della dimostrazione del nesso di causalità. Qual è la sua opinione in merito? Alla luce delle predette difficoltà, crede siano più funzionali quei sistemi normativi di alcuni paesi europei in cui il risarcimento dei danni da amianto viene interamente riversato sullo Stato e sottratto pertanto agli incerti esiti dei processi?
R: Come dicevo prima, la prospettiva penalistica e meramente sanzionatoria su questi temi, come per la tutela dai danni da amianto, è molto problematica e rischiosa poiché i processi penali sono processi probatori, più complessi ed incerti nei loro esiti. Infatti, se è vero che l’indagine nel processo penale è a tutto campo e molto approfondita, non sempre riesce a garantire tutele piene alle persone proprio per la complessità del raggiungimento della prova e della verifica del nesso di causalità oltre ogni ragionevole dubbio.
Preferisco invece concentrarmi sugli strumenti di tutela civilistici poiché più duttili. Infatti l’art. 2087 del Codice Civile consente al riguardo una più agile e certa tutela per i diritti dei lavoratori, anche in materia di riconoscimento e risarcimento dei danni dovuti alla esposizione all’amianto.
Guardando poi a quei sistemi ordinamentali dei Paesi in cui lo stato assume interamente su di sé l’obbligazione risarcitoria nei confronti dei lavoratori esposti all’amianto, credo che una comparazione col nostro sistema in uno con la valutazione equilibrata su cosa sarebbe preferibile sia cosa complessa e delicata poiché si tratta di istituti giuridici che nascono da una diversa impostazione dell’ordinamento nel suo complesso da cui è difficile estrapolare singoli meccanismi se non si conosce bene il resto. Certo è che riversare interamente sullo Stato queste obbligazioni non può in ogni caso tradursi in una deresponsabilizzazione delle imprese e degli stessi lavoratori ostacolando di fatto, anziché far crescere, le pratiche di prevenzione operativa in materia.
Credo piuttosto che, accanto alle tutele giudiziali che si possono apprestare ai lavoratori, sia opportuno sviluppare strumenti premiali che incentivino le imprese - per esempio nelle procedure di affidamento degli appalti -, ad adottare standard organizzativi e di sicurezza di livello. Serve che tali standard rientrino nei requisiti da valutare ai fini dell’affidamento dell’appalto da parte della committenza. Così come può essere utile incentivare l’utilizzo della contrattazione collettiva aziendale per la previsione di standard tecnici ed organizzativi di sicurezza e prevenzione che aiutino le imprese e i lavoratori nel corso dei processi lavorativi, nonché gli stessi giudici nell’individuazione concreta dei profili di responsabilità, a fronte delle caratteristiche tecniche specifiche dei settori e delle lavorazioni oggetto di valutazione. Tutto questo ovviamente ha senso a patto che i lavoratori siano accompagnati, con attività formative e informative adeguate e mirate, ad avere consapevolezza piena del rischio e dei comportamenti sicuri da tenere.
 
Maria Giovannone
Avv. Giuslavorista e Responsabile scientifico di ANMIL Sicurezza
 
Fonte: ANMIL



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