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Gli errori più comuni nella valutazione dei rischi

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Valutazione dei rischi

29/03/2013

Il ragionamento probabilistico ingenuo di specialisti (rspp) e non specialisti (lavoratori) per la valutazione dei rischi: euristiche ed errori. A cura di Attilio Pagano.

La valutazione dei rischi comporta la possibilità di commettere errori non legati alla cattiva volontà o all’incapacità, quanto piuttosto a dei fattori insiti nelle modalità di funzionamento del nostro apparato cognitivo ed emotivo. In questo articolo vengono presentai gli “errori” più comuni che tutti siamo portati a commettere.
 
Il rischio è l’eventualità di accadimento di un evento dannoso (valutato sulla base di criteri probabilistici) che si presenta quando una o più persone interagiscono con ambienti, oggetti, sostanze che abbiano caratteristiche di pericolo. Il concetto di rischio è, dunque, diverso da quello di pericolo.
Nella vita di tutti i giorni, spesso usiamo le parole “pericolo” e “rischio” in modo interscambiabile senza che questo provochi difficoltà. Ma, per comprendere che cosa è possibile fare per prevenire gli infortuni e le malattie professionali, questa confusione terminologica rappresenta un ostacolo da eliminare. Occorre imparare a distinguere le parole e i corrispondenti significati.
 
Il pericolo è una caratteristica intrinseca di un ambiente, una macchina, una sostanza, un processo intesa come potenziale capacità di provocare un danno alla salute e alla sicurezza delle persone. Il pericolo degli oggetti non è una qualità presente o assente, ma è una qualità che può essere presente con intensità diverse. Ci sono oggetti più pericolosi (che hanno caratteristiche tali da poter procurare danni in un numero elevato di modi e/o di gravità maggiore) e oggetti meno pericolosi che hanno caratteristiche tali da poter procurare danni in un numero inferiore di modi e/o di gravità minore.
Il rischio, invece, è l’effetto combinato della probabilità che un pericolo si traduca in danno e dell’entità del danno stesso. Questo effetto si presenta ogni volta che una o più persone interagiscono con oggetti dotati di almeno una caratteristica di pericolosità.
Evidentemente, le  caratteristiche del rischio possono variare al variare della natura delle attività, delle caratteristiche del contesto in cui l’attività viene svolta e delle persone che interagiscono con i pericoli.
E’ facile verificare che le persone sono generalmente capaci di giudicare un rischio come basso o alto. Ma quando diciamo che un rischio è basso o alto, quasi mai ci preoccupiamo di specificare basso o alto rispetto a che cosa.
Nel modo con cui affrontiamo le situazioni incerte della vita di tutti i giorni (anche di quella lavorativa), la valutazione “rischio basso” si accompagna alla decisione di non fare nulla per interrompere o variare il corso delle azioni (o dei pensieri) che potremmo avere già pianificato e avviato (con controllo consapevole o per automatismo da iper-apprendimento). Ovvero decidiamo di non fare alcuna cosa, diversa da quanto pianificato, per ridurre la probabilità di accadimento di un evento avverso o per contenere l’intensità del danno. Una possibile implicazione di questa decisone di non variare il corso delle azioni avviate è di confondere il rischio basso con il “rischio zero”.
Invece, la valutazione “rischio alto” si accompagna spontaneamente con decisioni che tendono ad aumentare il nostro controllo sullo svolgimento degli eventi.
Possiamo quindi riconoscere che le valutazioni di rischio basso e di rischio alto non sono soltanto relative ai valori di probabilità e di danno che assegniamo al verificarsi di un evento avverso, ma anche al confronto con una soglia di azione.

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Provo a fare un esempio ipotetico. Immaginiamo che in un magazzino aziendale ci siano due scaffali metallici. Pensiamo al più comune scaffale che si può trovare da qualsiasi ferramenta. Quattro aste metalliche e cinque o sei ripiani imbullonati. Mettiamo il caso che, per un qualsiasi motivo, uno scaffale sia bene fissato alla parete e l’altro non sia fissato alla parete. E mettiamo che l’addetto al magazzino sappia che il primo è ben fissato e che il secondo non lo è. Infine, assumiamo che quel lavoratore consideri come unica caratteristica di pericolosità quella del ribaltamento dello scaffale. Date queste assunzioni, potremmo comprendere (comprendere, si badi bene, non giustificare) che il comportamento abituale di quel lavoratore preveda due strategie di azione. Se egli dovesse prendere qualcosa dal ripiano più alto dello scaffale che sa essere ben fissato alla parete, egli si permetterebbe l’azione ‘istintiva’ di appendersi con una mano al ripiano per facilitare il raggiungimento dell’oggetto con l’altra mano. Viceversa, se dovesse prendere un oggetto dal ripiano più alto dell’altro scaffale, che sa essere non fissato alla parete, egli non si permetterebbe quell’azione ‘istintiva’ e valuterebbe necessario andare nello stanzino a prendere la scala.
 
Questa situazione può essere compresa in base alla distinzione tra il giudizio di rischio basso e rischio alto. Il rischio può essere giudicato “basso” quando lo si considera inferiore a una soglia di attivazione di misure di riduzione della probabilità e/o di contenimento del danno.
Analogamente, il rischio può essere giudicato “alto” quando lo si considera superiore a quella soglia di attivazione delle misure.
Nel nostro ipotetico esempio, la soglia di azione è che separa il giudizio di rischio basso e alto per quel lavoratore del magazzino è rappresentata dall’andare a prendere la scala. (Ma questa identificazione della soglia di azione trascina un altro aspetto del problema. L’azione di andare a prendere la scala non è l’unica soglia possibile tra rischio basso e alto. Ce n’è anche un’altra, forse ancora più importante: quella di segnalare il pericolo rappresentato dal mancato fissaggio dello scaffale alla parete. Si può credere che è proprio la disponibilità di una risorsa - la scala- che consente di minimizzare il rischio a rendere più difficile rilevare la presenza del punto di pericolo).
 
Due processi di valutazione
Per arrivare a giudicare una situazione incerta come a rischio alto o basso possiamo procedere in due modi.
Il primo, analitico, esplicitabile e tracciabile è quello tipico degli specialisti (come gli RSPP).
Il secondo, sintetico e implicito, è quello tipico dell’uomo comune.
Il processo analitico dello specialista ( RSPP) si articola in quattro fasi distinte, per ognuna delle quali va attuato un processo di analisi e decisione:
1. Riconoscimento dei pericoli
2. Stima del rischio: attribuzione di valori a probabilità e a danno
3. Valutazione del rischio: posizionamento della stima rispetto a una serie di soglie di azione
4. Programmazione delle misure
 
Invece, nel processo cognitivo di valutazione del rischio tipico del non specialista, le quattro fasi sono indistinte e intricate una nell’altra.
Per questo motivo, la valutazione implicita di un rischio come basso (non importa se fondata su argomentazioni valide o no) può anche impedire lo stesso riconoscimento del pericolo.
Oppure, in altre parole, la non segnalazione di un pericolo può essere spiegata dalla valutazione (che potrebbe anche essere sbagliata) del rischio come basso.
 
Valutare in condizioni di incertezza
In ogni caso, il numero di informazioni, le conoscenze teoriche, le capacità e il tempo disponibili saranno sempre insufficienti per produrre la migliore valutazione possibile.
Ciò nonostante noi (specialisti o non specialisti) sappiamo sopperire all’insufficienza di informazioni e argomenti teorici e riusciamo a formulare un giudizio sul rischio e sulla sua posizione rispetti alla soglia di azione.
I processi mentali per mezzo dei quali noi sopperiamo alla limitatezza della razionalità delle nostre scelte e valutazioni, sono definiti euristiche.
Queste euristiche, se da un lato nella maggior parte dei casi funzionano con efficacia e facilitano il lavoro cognitivo di decisione e valutazione in situazioni di incertezza, dall’altro lato possono portare a errori sistematici del ragionamento riducendone o compromettendone la affidabilità.
Tra le numerose euristiche che gli studiosi del pensiero hanno potuto identificare, due sono particolarmente rilevanti nella formulazione di giudizi sulla probabilità di accadimento di un evento incerto: l’euristica della disponibilità e quella della rappresentatività. A queste strategie di pensiero, nel ragionamento ingenuo sulla probabilità si affianca un ricorrente errore: la fallacia dei piccoli numeri.
 
Euristica della disponibilità
L’esame delle diverse caratteristiche di pericolosità comporta una fatica mentale che non sempre ci appare giustificata. Soprattutto quando il lavoro da svolgere presenta fasi e singole azioni routinarie. In questi casi, noi possiamo valutare la probabilità di un evento in base alle caratteristiche (anche a una sola) che più facilmente ci vengono in mente.
A esempio, possiamo farci un’idea del rischio lavorativo connesso all’uso di una macchina in base a una sua sola caratteristica che ci sia rimasta più impressa nella memoria o perché appresa all’inizio della nostra carriera, o perché ha caratterizzato un infortunio occorso a un nostro conoscente e così via. In questo modo, usiamo un repertorio di informazioni limitato (perfino limitato a una sola informazione), che potrebbe essere pertinente alla situazione contingente, ma potrebbe anche non esserlo.
 
Euristica della rappresentatività
Un altro modo che la nostra mente può adottare per economizzare la fatica cognitiva dell’esame contestuale di numerose caratteristiche rilevanti per il giudizio sul rischio di una lavorazione è quello di basare il giudizio non sulla informazione che più facilmente ci viene in mente, ma su quella che consideriamo più simile o rappresentativa di un’altra situazione di cui abbiamo conoscenze (e su cui abbiamo già espresso una valutazione). Per individuare una relazione di causa-effetto può apparirci come sufficiente la rappresentatività o somiglianza di una o più caratteristiche di un fatto /circostanza con un altro fatto /circostanza. Questa rappresentatività o somiglianza può apparirci come sufficiente a individuare una relazione di causa-effetto o a valutare l’efficacia nelle nostre decisioni.
Quando dobbiamo valutare il rischio di una lavorazione, noi prendiamo in considerazione un certo numero di caratteristiche di quella lavorazione.
Se, per una qualsiasi ragione, una o più di queste caratteristiche possono venire associate a un’altra lavorazione che non ha causato infortuni, noi potremmo (erroneamente) concludere che la nostra lavorazione è sicura.
A esempio, consideriamo un’attività molto comune come scendere una breve rampa di scale. Immaginate che in un certo punto dell’impianto ci sia una rampa di scale che ha davanti al gradino più basso un ostacolo permanente come, a esempio, lo spigolo di una botola.
È facile verificare che molti lavoratori riconosceranno in questa situazione numerosi punti di pericolo. Tuttavia, nella realtà operativa, molti di quei lavoratori potranno non considerare la presenza di quei punti di pericolo per giudicare l’attività di scendere da quella scala come un rischio alto (e, quindi, adottare qualche precauzione, come quella di tenersi al corrimano o quella di non portare oggetti ingombranti che impediscano di controllare con la vista dove si mettono i piedi), perché quella stessa scala assomiglia per altre caratteristiche alle numerose altre scale che hanno fatto numerose altre volte giudicandone l’utilizzo a rischio basso. In effetti se vediamo quella stessa scala da un’altra prospettiva possiamo vedere che con l’eccezione del dettaglio della botola, è facile assimilarla alla categoria delle scale ben costruite e il cui utilizzo comporta un rischio basso.
Il riconoscimento della somiglianza di questa scala con tutte le altre ben fatte (o, se vogliamo, del fatto che questa è una buona rappresentante di quella classe di oggetti) comporta un impegno mentale molto più basso del riconoscimento e della considerazione dei tanti punti di pericolo che abbiamo potuto fare guardando la prima fotografia. Proprio questo minore impegno mentale costituisce il vantaggio (ma, in questo caso, anche l’insidiosa minaccia) dell’euristica della rappresentatività.
 
Fallacia dei piccoli numeri
Questo automatismo mentale ci porta a considerare come razionali scelte basate su una probabilità illusoria. A esempio, se dopo una serie di sei lanci della moneta tutti usciti con la faccia della Testa, dovessimo scommettere sull’esito del settimo lancio, qualcuno potrebbe credere che sia più razionale scommettere su Croce. In effetti, ogni lancio è equiprobabile, ma la consapevolezza che in una serie infinita di lanci metà avranno esito Testa e metà esito Croce, può portare a riconoscere la serie T T T T T T come ‘troppo regolare’ o ‘troppo poco casuale’ e, di conseguenza, concludere che l’esito più probabile del settimo lancio sia Croce. Questo errore nasce della non considerazione della enorme differenza tra una serie di 6 lanci e una serie di un numero infinito di lanci.
Nel giudizio sulla probabilità di accadimento degli infortuni, alcune persone potrebbero commettere errori di ragionamento probabilistico “ingenuo” credendo che la frequenza degli infortuni segua una distribuzione analoga a quella degli eventi che seguono leggi di distribuzione casuale note (come il lancio delle monete, il tiro dei dadi, l’estrazione del lotto ecc.). In realtà, nella frequenza degli infortuni, il caso può giocare un ruolo, ma non si tratta del tipo di casualità che regola la distribuzione degli esiti secondo leggi basate sulla notorietà di quanti sono gli eventi possibili e quanti gli eventi (in)desiderati. Si tratta del caso che interviene nelle caotiche manifestazioni della complessità. Tra le interazioni dei numerosi fattori causali alcune (ovviamente non tutte) sfuggono alla previsione, ma la credenza che tutti gli eventi seguano una qualche regolarità è una ‘sirena’ che attira il nostro pensare sul mondo perché ci concede una rassicurante prospettiva di completa conoscenza. Ma questa completa conoscibilità (e prevedibilità) del mondo è un’illusione, o, forse meglio, un autoinganno. In analogia al comportamento del giocatore che considera lanci o estrazioni come eventi legati tra loro (mentre sono indipendenti), se nel reparto di un lavoratore che fosse vittima di questo autoinganno dopo un lungo periodo senza infortuni ne accadesse uno,quel lavoratore potrebbe pensare che il suo reparto diventi ‘statisticamente’ più sicuro: “è molto improbabile che accada di nuovo proprio qui”.
 
Il ragionamento sul rischio
Un aspetto che rende insidiose le euristiche cognitive è che esse sono naturali e spontanee: non c’è bisogno di formazione per apprenderle. Semmai c’è bisogno di formazione per imparare a riconoscerle e a controllarne gli effetti sulla qualità delle nostre decisioni.
La formazione su salute e sicurezza deve aiutare le persone a sviluppare una individuale capacità di riconoscimento e di controllo dei processi cognitivi e decisionali. Si tratta di imparare non solo a fare le scelte e le valutazioni ‘giuste’, ma anche a pensare al processo con cui si perviene a tali scelte e valutazioni
Le diverse forme con cui la mente umana produce valutazioni e decisioni in situazioni di incertezza non sono le uniche modalità con cui il ragionamento influisce sulla percezione del rischio.
A livello generale, infatti, noi costruiamo le nostre inferenze e deduzioni tra i dati anche sotto l’influenza delle nostre credenze sul mondo, dei nostri valori e dei nostri pregiudizi sociali.
In altre parole, la percezione dei rischi, come del resto la percezione di ogni altro aspetto della nostra esistenza, riflette non tanto quello che c’è nel mondo, quanto il nostro punto di vista.
Anche gli esperti cadono nelle trappole delle scorciatoie cognitive. Per quante informazioni possano utilizzare in più rispetto ai cosiddetti profani, nemmeno gli esperti potranno giungere a valutazioni assolutamente certe.
Anche per loro operano i condizionamenti di un processo di decisione e valutazione in condizioni di incertezza e, dunque, anch’essi possono produrre ragionamenti caratterizzati da errori sistematici.
 
Che cosa abbiamo appreso sulla valutazione dei rischi
Le valutazione del rischio è un processo cognitivo di attribuzione di significato a informazioni relative a una situazione incerta.
Anche non disponendo di tutte le informazioni che potrebbero essere utili, siamo in grado di fare una valutazione della probabilità di accadimento dell’evento avverso utilizzando delle “scorciatoie di ragionamento” (le euristiche).
In genere queste euristiche funzionano bene, ma talvolta possono fallire.
Non sapere riconoscere il ragionamento basato sulle euristiche impedisce di migliorare le nostre capacità di valutazione del rischio (o “percezione del rischio”).
 
 
 
 
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Rispondi Autore: Claudio nini - likes: 0
29/03/2013 (08:09:29)
Quindi?
Rispondi Autore: Franco Verrengia - likes: 0
30/03/2013 (09:43:30)
La visione di una valutazione dei rischi, è molto complessa, e la stessa richiede un'analisi approfondita a 360°, nella quale oltre ad analizzare i luoghi di lavoro etc., bisogna prevedere, comportamenti prevedibili e imprevedibili da parte delle persone che operano all'interno di una azienda, e a valle di tutto questo si mettono inpratica tutte le misure di prevenzione e protezione.
La parte teorica della valutazione dei rischi resta a se stessa se non perseguita attraverso una buona dose di parte pratica, e per questo intendo anche la correta formazione e informazione.
Buone Feste a tutti
Franco
Rispondi Autore: Alessandro Mazzeranghi - likes: 0
30/03/2013 (18:43:33)
Ovviamente il ragionamento mi torna, lo condivido pienamente. Il problema (ulteriore) che vedo io è come insegnarlo, e anche se sia così importante (nella valutazione da parte dei non specialisti) considerare strettamente la probabilità o piuttosto ragionare sulla sola gravità. Cercherò di scrivere a breve un ragionamento più articolato; vorrei raccontare una esperienza recente di formazione ai non addetti sul tema della valutazione, e sapere che ne pensano i lettori.
Rispondi Autore: marchesi dania - likes: 0
02/04/2013 (09:06:32)
Buongiorno, vorrei spezzare una lancia in favore dell'argomento con questo taglio; sono una psicologa del lavoro esperta in sicurezza, ci lavoro da circa 15 anni, e la mia esperienza mi conforta nel dire che parlare di percezione dei rischi e di aspetti psicologici (individuali ma anche di gruppo) assolutamente si può, anzi, nel 2013 forse si deve. Io ho interpretato così il mandato delle 4 ore di Formazione di base sulla sicurezza dell'Accordo Stato Regioni per le aziende che seguo, ed ho spiegato a 4.500 persone circa cosa è la percezione dei rischi e quali sono le sue variabili, e su come questa influisce sui nostri comportamenti. Sono sopravvissuti tutti, e molti (giuro) si sono anche divertiti! E' stata una bellissima esperienza... si può fare, davvero.
Rispondi Autore: alessandro mazzeranghi - likes: 0
02/04/2013 (09:20:22)
io sono daccordo al 90% con Attilio, come dicev; voglio aggiungere che ho dato la stessa interpretazione data da Diana Marchesi all'accordo stato regioni: non RACCONTARE i rischi ma aiutare a RICONOSCERE i rischi
Rispondi Autore: Franco Manca - likes: 0
02/04/2013 (11:34:58)
Buon giorno. Trovo molto interessante quanto appena letto sulle valutazioni dei rischi. All'interno dei DVR spesso si trascrivono dei dati che seppur simili nella loro specificità riguardanti le modalità di esecuzione delle attività, a volte non tengono conto delle svariate varianti che si possono presentare nel tempo, ovvero a parità di lavoro non si tiene conto delle differenze portate da: personale diverso, condizioni meteo diverse, quindi microclima, modalità di esecuzione dettate dal caso, tutti questi fattori sono secondo alcuni DL ininfluenti ma invece secondo me importanti perchè vanno a variare le probabilità di accadimento con rischio diverso. Purtroppo come RSPP mi trovo spesso a combattere con queste idee che altro non sono che di convenienza economica tralasciando la sicurezza e la salute dei lavoratori. Sacondo me bisognerebbe incentivare le conoscenze verso i DL.
Rispondi Autore: cippa lippa - likes: 0
02/04/2013 (14:37:59)
...l'errore più comune è quello di effettuare le valutazioni ed i piani di sicurezza tramite i programmi su cd e stampare tutte le schede. è innegabile che più si stampa è meglio è, anche per giustificare la parcella...
Rispondi Autore: Massimo Capriuolo - likes: 0
06/04/2013 (15:37:32)
Grazie per l'articolo molto interessante, se è possibile si può aggiungere come sia vero e importante valutare i rischi, attribuire loro una scala di valori di severità gxp, ma è altrettanto vero che le cose devono nascere bene già nella fase iniziale cioè progettuale, per cui torniamo al tema generale della prevenzione. Non sono daccordo che il tecnico esegue solo l'analisi e l'uomo comune solo la sintesi. Non vedrei il compito del Rspp collegato esclusivamente ad uno sforzo nell'analisi "della valutazione dei rischi", bensì ad una continua e permanente analisi e quindi scomposizione dei problemi e riunificazione dei risultati sotto forma di nuove sintesi. Se saltiamo la sintesi rischiamo di di non capire le conseguenze anche molto di là a venire che le nostre decisioni comportano.
Rispondi Autore: Angelo Marzaroli - likes: 0
07/04/2013 (19:14:43)
Articolo molto interessante, da divulgare ai tanti Datori di Lavoro che vogliono aprire la mente.

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