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La responsabilità amministrativa e la colpa in organizzazione

La responsabilità amministrativa e la colpa in organizzazione
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

27/01/2016

Un intervento sul tema della responsabilità amministrativa e dei modelli di gestione e organizzazione. La ragione più convincente della istituzione della responsabilità amministrativa degli enti è da ravvisarsi nella colpa in organizzazione.

Urbino, 27 Gen –  Se l’apparato produttivo del nostro paese è contrassegnato, come noto, dalla “presenza di un enorme numero di aziende medie, piccole e piccolissime che rappresentano oltre il 90% del totale”, in Italia, diversamente da quanto avviene in altri paesi di “avanzata industrializzazione”, le grandi imprese “non solo non rappresentano la norma, ma danno vita ad un panorama nel quale la complessità organizzativa è vissuta come insolito sovradimensionamento”. E in questa situazione spesso la legislazione vigente “sembra costruita su misura per le grandi aziende e detta norme di prevenzione che sono destinate a trovare completa attuazione solo dove la complessità dell’organizzazione lavorativa rende possibile l’impiego di mezzi e sistemi adeguati”.

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Corso di formazione sul D.Lgs. 231/2001: ruoli e responsabilità dei soggetti coinvolti. La formazione obbligatoria sulla responsabilità amministrativa delle società per amministratori e dipendenti.

A fare questa amara riflessione e a parlare di responsabilità amministrativa e organizzazioni presenti nelle strutture complesse, è un introduzione di Beniamino Deidda (Componente del Comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura e già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze) al convegno di studi su «La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali» che si è tenuto nell’Università di Urbino il 14 novembre 2014. Un convegno che ha analizzato le delicate questioni interpretative ed applicative della disciplina della prevenzione del rischio all’interno di organizzazioni complesse, come le società di capitali. In particolare sono state affrontate le problematiche legate all’individuazione delle posizioni di garanzia e si è poi posto anche l’accento sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e sull’applicazione nelle società di capitali dei principali istituti del D.Lgs. 81/2008.
 
Per poter presentare questa relazione introduttiva di Beniamino Deidda, facciamo riferimento al Working Paper, pubblicato da Olympus nel mese di dicembre 2015, dal titolo “La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014” e a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci (professori ordinari di Diritto del lavoro nell’ Università di Urbino Carlo Bo). Working paper che raccoglie le relazioni e gli interventi al convegno.
 
L’intervento di Deidda si sofferma in particolare su un aspetto che in Italia ha costituito un “significativo cambio di prospettiva nell’accostarsi al tema delle responsabilità”.
 
Infatti per molti decenni nel nostro sistema penale “la violazione delle norme di prevenzione seguite da infortunio o da malattia professionale ha dato luogo esclusivamente all’accertamento delle responsabilità individuali, cioè dei soggetti autori delle violazioni della norma penale” (con riferimento al “principio costituzionale che stabilisce la personalità della responsabilità penale”). Per questo motivo per molto tempo “i giudici hanno cercato e sanzionato solo le responsabilità individuali, anche quando il processo penale aveva potuto dimostrare gravissime carenze nella complessiva organizzazione della sicurezza”.
Tutto cambia, invece, con il D.Lgs. 81/2008, dove hanno trovato ingresso i modelli di gestione e di organizzazione della sicurezza aziendale, modelli di gestione che se efficacemente attuati, esonerano le aziende “dalla responsabilità amministrativa prevista dal decreto n. 231/2001, in caso di infortunio o malattia professionale commessi con la violazione delle norme di prevenzione sul lavoro”.
 
Secondo Deidda questa “prospettazione del legislatore” incide in maniera profonda sui “criteri di distribuzione delle responsabilità”. Ora il legislatore mostra di ritenere che “il coinvolgimento degli enti collettivi, che rispondono amministrativamente per la violazione degli obblighi di prevenzione, possa riequilibrare il rapporto tra le esigenze di prevenzione, certamente sentite oggi più che nel passato, con le esigenze di garanzia che devono presiedere all’accertamento della responsabilità penale individuale”. Insomma il legislatore ritiene che, “attraverso i criteri stabiliti nell’art. 30 del T.U., possano diffondersi modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza i quali, comportando l’efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti collettivi, possono assolvere meglio alle funzioni di tutela dal rischio nei luoghi di lavoro, meglio di quanto non possano fare i processi penali e civili che accertano le responsabilità individuali”.
 
Qualcuno ha obiettato che in questo modo si introduce una “forma di responsabilità oggettiva a carico delle società e degli enti”, ma, in verità, “la responsabilità amministrativa degli enti collettivi non ha nessuna affinità con i caratteri della responsabilità oggettiva ed anzi ha come presupposto che i reati di omicidio colposo o di lesioni colpose gravi siano commessi con la violazione delle norme di prevenzione”. E in questo senso le ragioni dell’estensione della responsabilità agli enti “devono essere individuate nei tratti tipici della moderna società del rischio, cioè nella crescente capacità di aggressione della salute e della vita dei lavoratori indotta dalle risorse tecnologiche, in ordine alle quali lo strumento tradizionale della responsabilità penale individuale si rivela inadeguato”.
 
Le norme sulla responsabilità amministrativa degli enti si propongono dunque di “aggredire le cause strutturali degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. È questa la ragione per cui il legislatore ha avvertito la necessità di bilanciare il doveroso accertamento della responsabilità penale individuale con la ricerca della responsabilità delle organizzazioni presenti nelle strutture complesse”.
 
Il relatore ha poi ricordato l’interessante sentenza del Tribunale di Trani – sezione di Molfetta – del 26 ottobre 2009 che indica come l’ente collettivo sia ‘spesso da considerarsi il vero istigatore, esecutore o beneficiario della condotta criminosa materialmente commessa dalla persona fisica in esso inserita’. E la Suprema Corte, nella sentenza n. 3615/2006, “annota che per escludere la responsabilità amministrativa dell’ente ‘deve trattarsi di condotte estranee alla politica d’impresa’. In definitiva, la ragione più convincente della istituzione della responsabilità amministrativa degli enti è da ravvisarsi nella colpa in organizzazione”. E il legislatore ha disegnato tale colpa in organizzazione “come violazione dell’onere di adottare un efficace modello organizzativo e gestionale”.
 
Si ricorda che tuttavia il D.Lgs. 81/2008 “non impone l’obbligo, penalmente sanzionato, di adottare il modello di gestione definito nell’art. 30”.
Ma in realtà se per la mancata adozione di un efficace sistema di gestione non è prevista alcuna sanzione penale, “quando una norma attribuisce all’adozione di un certo comportamento la forza di esonero dalla responsabilità, giungendo a stabilire una presunzione di responsabilità per la mancata adozione di quel comportamento, il significato, non solo sul piano pedagogico, ma su quello propriamente giuridico, è quello di attribuire a quel comportamento il carattere della doverosità”.
 
In legislatore ha insomma “collegato la responsabilità amministrativa proprio alla mancata adozione di un efficace modello di gestione” e “le conseguenze del mancato adeguamento all’onere di adottare il modello di gestione non si riflettono  sul piano della responsabilità penale individuale, ma sul piano della responsabilità amministrativa. Ciò che si rimprovera è dunque una forma nuova di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale”.
 
Dunque – continua l’introduzione al convegno di Beniamino Deidda – i modelli di organizzazione e di gestione sono diventati un “cardine fondamentale del tentativo di anticipare la tutela del lavoratore nelle lavorazioni rischiose; essi prefigurano un nuovo sistema di responsabilità che si concreta attraverso la violazione dei requisiti del modello dettati dall’art. 30” del TU”. Dunque ora, diversamente dal passato, l’ente risponde sul piano amministrativo “quando sia provato che il reato è stato commesso con la violazione delle norme di prevenzione e l’organizzazione della sicurezza era carente”.
 
Tuttavia, e si torna alle premesse di questo intervento, se la particolarità dell’Italia è che il tessuto produttivo italiano è composto soprattutto di piccole e piccolissime imprese, “le norme sulla responsabilità amministrativa degli enti finora hanno trovato compiuta applicazione solo nelle società di capitali”.
E si arriva ad un “problema di dimensioni preoccupanti: come ottenere che i modelli di gestione della salute e sicurezza del lavoro trovino spazio nelle piccole e medie imprese”?
 
Beniamino Deidda indica, in conclusione, che si tratta di “una scommessa che verosimilmente dovrà essere giocata nei prossimi dieci anni: o le piccole imprese riusciranno ad adottare modelli di gestione, snelli ma efficaci, rafforzando il profilo organizzativo e gestionale delle imprese, oppure il fenomeno infortunistico, che in Italia è ancora imponente, non subirà significative flessioni”.
 
 
Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014”, a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci - professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo - Working Paper di Olympus 44/2015 inserito nel sito di Olympus il 31 dicembre 2015 (formato PDF, 2.56 MB).
 
Tiziano Menduto
 
 

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Rispondi Autore: Roberto Rocchegiani - likes: 0
27/01/2016 (10:33:26)
Nella formazione per RSPP, il modulo C1, prevede un approfondimento di 8 ore sull organizzazione ed i sistemi di gestione.
La docenza deve essere in grado di fornire gli elementi base per la creazione di una "sistematicità" nell approccio alle attività del SPP.
Nelle PMI dare piccoli esempi di CREAZIONE di processi di pianificazione, organizzazione, coinvolgimento, partecipazione ecc, evidenziando il VALORE che passo passo viene creato, permetterà al Datore di Lavoro, di interessarsi al tema della SICUREZZA.
Ma questo deve essere in armonia con il valore finale percepito dal CLIENTE, innescando una spirale di miglioramento continuo che sta alla base di qualsiasi sistema di gestione.

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