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Se il Sistema di Prevenzione si esaurisce nel Servizio di Prevenzione

Se il Sistema di Prevenzione si esaurisce nel Servizio di Prevenzione
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: RSPP, ASPP

22/11/2016

Il livello di consapevolezza del ruolo consulenziale del Responsabile del Servizio di Prevenzione da parte degli attori del sistema di prevenzione 13 anni dopo il “monitoraggio 626”. A cura di Anna Guardavilla.


Tredici anni fa, come molti lettori ricorderanno, è stato pubblicato il rapporto finale di quello che poi è divenuto noto come “monitoraggio 626”, che era iniziato a luglio del 2000 e si era concluso alla fine del 2002 (“Rapporto conclusivo del progetto di monitoraggio e controllo dell’applicazione del D.Lgs.626/94 promosso dal Coordinamento delle Regioni e Province autonome, ammesso come Programma speciale dal Ministero della salute”, novembre 2003).

Si trattava, come esplicitato dal rapporto stesso, dell’esito di una ricerca su un campione di 9000 aziende “sull’applicazione del DLgs 626/94 che è stata svolta con l’intento di misurare l’impatto concreto del dettato normativo, analizzarne le criticità e avanzare proposte per migliorarne l’applicazione...”.

In particolare, sottolineava il report del monitoraggio, “il numero di aziende coinvolte nel progetto è di diverse migliaia, appartenenti a tutti i settori e comparti produttivi, rappresentative delle diverse fasce di dimensione aziendale (dai 6 addetti in su). L’indagine sarà a disposizione dell’intero sistema di prevenzione nazionale come uno strumento ulteriore, soprattutto rivolto alla piccola impresa, per cogliere spunti di riflessione verso un’applicazione più incisiva del D.Lgs.626/94.”

 

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Si trattava dunque di un “progetto che aveva come obiettivo fondamentale analizzare la qualità e la coerenza dei processi preventivi attivati dalle aziende in applicazione del 626”.

 

Il Rapporto conclusivo del progetto precisava che “i risultati dell’indagine costituiscono, nel loro aspetto quantitativo e documentale, un punto di riferimento preciso e concreto con cui confrontare i dati di futuri progetti o interventi analoghi, per valutare il miglioramento delle condizioni organizzative della prevenzione.”

 

Ciò premesso, ricordo che personalmente la frase che più mi aveva colpito del Rapporto conclusivo del monitoraggio 626 allorché fu pubblicato (e che ad una prima lettura mi restò particolarmente impressa) fu la seguente:

“Si potrebbe dire che in troppe aziende il sistema di prevenzione si esaurisce nel servizio di prevenzione”.

 

Una frase sintetica, lapidaria e certamente cristallina nel rappresentare la condizione in cui versavano molti RSPP e ASPP all’interno delle organizzazioni; frase peraltro contenuta nella sezione finale del Rapporto che era dedicata alla “Sintesi globale degli elementi più rilevanti” ed in particolare nell’elenco avente ad oggetto gli “elementi negativi”.

 

Tra l’altro, a voler essere precisi e più dettagliati, quella frase lapidaria era anticipata da una analisi un po’ più ampia che illustrava anche le cause favorenti tale condizione del SPP: “la gestione della prevenzione è praticata come collaterale e/o aggiuntiva alla gestione aziendale con scarsi elementi di integrazione, che si traduce anche in una sorta di deresponsabilizzazione della line aziendale, dirigenti e preposti, facendo gravare tutto l’onere della prevenzione sul SPP.

Si potrebbe dire che in troppe aziende il sistema di prevenzione si esaurisce nel servizio di prevenzione”.

 

Il rapporto proseguiva poi illustrando alcune declinazioni di questa analisi.

Nel punto dedicato a “chi gestisce il sistema di prevenzione”, esso precisava che “la gestione del sistema di prevenzione è affidata principalmente al responsabile SPP (salvo che nelle aziende piccolissime dove prevale, anche se di poco il datore di lavoro); molto marginale è il coinvolgimento della line aziendale, anche nelle aziende più grandi.”

E ancora: “Nella Figura… sono riportati i soggetti a cui è affidata la gestione del sistema di prevenzione, nelle aziende in cui il sistema di prevenzione esiste. Emerge come la gestione del sistema di prevenzione aziendale sia centrata principalmente sul responsabile SPP (mediamente nel 79% dei casi) seguito dal datore di lavoro (65%), mentre risulta ridotto l’inserimento di dirigenti e preposti. In sostanza si individua una scarsa integrazione della gestione della prevenzione con i processi produttivi aziendali.”

 

Per quanto riguardava poi “la verifica dell’attuazione delle misure di prevenzione, laddove esiste”, si precisava che essa “è affidata prevalentemente al responsabile SPP in tutte le classi di dimensione aziendale (è coinvolto infatti nel 52% dei casi, con punte fino al 71% nelle aziende più grandi), seguito dal datore di lavoro (35%) e, alla distanza, da dirigenti e preposti. Nella line aziendale, la verifica è affidata prevalentemente ai preposti piuttosto che ai dirigenti, in tutte le classi di dimensione aziendale.”

 

Riguardo al “Sistema di relazione fra i diversi soggetti”, si leggeva che “risulta preoccupante il basso coinvolgimento della line aziendale: ciò indica che nella grande maggioranza delle aziende, anche medio grandi, il responsabile SPP non interloquisce abitualmente con dirigenti e preposti.”

 

Nel paragrafo relativo a “la verifica dell’applicazione delle procedure”, si leggeva nel Rapporto che “considerando ora solo le aziende in cui viene effettuata la verifica, è interessante osservare a quali soggetti sono affidati tali compiti. Come si vede bene dalla Figura…, in tutte le fasce di dimensioni aziendali il compito di verifica è affidato prevalentemente al Servizio di prevenzione e protezione, situazione che conferma chiaramente come l’organizzazione del sistema di prevenzione aziendale sia scarsamente integrata con il sistema produttivo.”

E si aggiungeva: “coerentemente con quanto finora emerso sul ruolo svolto dal RSPP e sulla scarsa integrazione fra sistema di prevenzione e sistema produttivo, è ancora prevalentemente il Servizio di prevenzione e protezione aziendale a formulare le proposte di aggiornamento delle procedure. Dirigenti, rappresentanti dei lavoratori e consulenti sono coinvolti in scarsa misura, in tutte le classi di addetti; addirittura, i dirigenti sono mediamente meno coinvolti dei RLS.”

 

Le “Conclusioni” del Rapporto conclusivo del monitoraggio, infine, toglievano ogni dubbio in merito, precisando che “chi gestisce il sistema è prevalentemente il RSPP, con scarsissimo coinvolgimento della line aziendale, anche nelle imprese più grandi”.

 

Ciò detto, è ovvio che sono passati 13 anni dal monitoraggio 626 e che quindi le condizioni riscontrate allora non coincidono né possono essere paragonabili con quelle attuali.

Dal 2003 ad oggi è stato emanato il decreto 81, è stato esteso al settore prevenzionistico il decreto 231, è aumentata complessivamente - dentro e fuori il sistema legislativo - la consapevolezza in ordine alla centralità degli aspetti organizzativi, procedurali e sistemici e alle necessità di integrazione con gli aspetti prevenzionistici (si pensi all’implementazione dei modelli organizzativi e dei sistemi di gestione e al dibattito correlato), così come è aumentata la consapevolezza in ordine alle tematiche legate al ruolo, all’esercizio dello stesso e all’interazione tra i soggetti aziendali della prevenzione.

Dal 2003 ad oggi il legislatore è intervenuto nel regolamentare la formazione dei dirigenti e dei preposti (inserita anche tra le misure generali di tutela di cui all’art. 15 del T.U., non a caso - verrebbe da dire - dato quanto si è riportato sopra in merito alle carenze riscontrate in passato in ordine al coinvolgimento della line aziendale sulla quale gravano obblighi di “adozione” e di “attuazione” delle misure preventive e protettive e in merito all’importanza strategica di tale coinvolgimento).

Inoltre sono cambiate e si sono evolute innumerevoli altre condizioni legate al mondo delle aziende, al mondo dei professionisti, alla qualificazione, alla cultura etc.; tutte condizioni che sarebbe lungo qui ricordare e che in ogni caso non sarei in grado di ricordare esaustivamente.      

 

Tuttavia, seppur in maniera diversa dal passato, capita ancora oggi (nel 2016) talvolta di riscontrare situazioni - all’interno di un’azienda, in un corso dirigenti, in un dibattito pubblico, nella lettura addirittura di una fonte normativo-giuridica - in cui pare non essere chiaro a tutti il fatto che l’ RSPP, interno o esterno che sia, opera (in quanto RSPP, al di là di altri ruoli che possono eventualmente cumularsi nella pratica a seconda delle situazioni, ad es di dirigente, di delegato etc..) in un ruolo di natura consulenziale, che non ha poteri di interventi diretto e non è colui che deve provvedere ad attuare gli obblighi di cui all’articolo 18 o addirittura 19 in quanto l’obbligo di adozione e di attuazione delle misure è delle figure di linea.

Capita ancora di riscontrare che in alcune situazioni l’RSPP è implicitamente messo nella condizione di esercitare anche delle “dirigenze di fatto” o comunque dei ruoli di fatto dovendo - a fronte della deresponsabilizzazione di altri soggetti - provvedere direttamente (o meglio ‘ritenendo’ di dover provvedere, data l’inerzia di altri) ad attuare alcuni degli obblighi di cui all’articolo 18 T.U. pur non essendo anche una figura di linea e pur non avendo ricevuto deleghe di funzioni di cui all’art. 16.

 

Credo che il problema - laddove sussiste e limitatamente ai casi in cui sussiste, dal momento che non vogliamo assolutamente generalizzare questa condizione che non riguarda tutte le realtà organizzative che sono molto variegate e che si sono anche, come si diceva sopra, molto evolute negli anni in termini di consapevolezza - sia da un lato culturale e da un lato determinato anche da diversi altri fattori.

Credo anche comunque che non aiutino - nel senso di una maturazione di consapevolezza complessiva dei vari attori aziendali sul ruolo del Servizio di Prevenzione e Protezione all’interno delle organizzazioni - anche quelle fonti giuridiche che in qualche caso (benché isolato) non sono perfettamente a fuoco - anche solo da un punto di vista terminologico - quando si parla del ruolo dell’RSPP.

Solo per fare un esempio (ma gli esempi si sprecano in letteratura scientifica), nel recente Accordo Stato-Regioni 7 luglio 2016 sulla formazione degli RSPP ed ASPP, all’Allegato IV recante Indicazioni metodologiche per la progettazione ed erogazione dei corsi, nel punto 1, sui PROFILI DI COMPETENZA DEGLI ASPP/RSPP, all’interno di tutta una serie di indicazioni assolutamente condivisibili sul ruolo di tali soggetti, ivi compreso il richiamo all’art. 33 del T.U., a un certo punto si parla esplicitamente di “funzioni attuative delle misure di sicurezza” attribuite al Responsabile del Servizio.

Si legge infatti che “l'attribuzione di tali compiti [art. 33, n.d.r.] rendono in particolare il coordinatore del servizio, I'RSPP, insieme al datore di lavoro, protagonista dell'organizzazione aziendale in materia di sicurezza e salute dei lavoratori; sono infatti affidate a questa figura le funzioni progettuali ed attuative delle misure di sicurezza, nonché la realizzazione tecnica di quanto programmato. Si tratta, quindi, di una figura manageriale individuata dal legislatore per perseguire e sostenere gli obiettivi di sicurezza individuati dal datore di lavoro.”

 

Questo è solo un esempio isolato; la questione è molto più ampia e in ogni caso non trova a mio parere la sua causa primaria nella normativa prevenzionistica.

 

Al di là dell’aspetto terminologico, comunque, dal punto di vista sostanzialistico è sempre utile ricordare in ogni occasione - allorché sussistano dubbi o ambiguità in merito - che “nello svolgimento dei suoi compiti, il RSPP opera per conto del datore di lavoro, svolgendo soloun’attività di consulenza nella materia della prevenzione dei rischi in ambiente lavorativo” (Cass. Pen., Sez. IV, 17 dicembre 2012 n. 49031).

 

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro




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Rispondi Autore: Attilio Pagano - likes: 0
22/11/2016 (06:55:38)
Condivido la riflessione di Anna Guardavilla e l'opportunità di leggere le norme di legge (in particolare quelle di secondo livello) mantenendo in primo piano i criteri generali. Questa é una buona strategia di pensiero per evitare di alimentare il "paradosso della burocrazia", che, con la "cultura della colpa", costituisce un freno allo sviluppo della sicurezza nelle imprese italiane.
Rispondi Autore: AC - likes: 0
22/11/2016 (11:09:24)
Ottimo articolo, pienamente condivisibile. E' così, bisogna aprire gli occhi. La sicurezza è vista come un qualcosa di accessorio che "deve fare il responsabile della sicurezza" intendendo con tale termine in gergo ignorante l'RSPP, sgravando tutti da conoscenze, aggiornamenti e altro che non sanno avere e soprattutto NON VOGLIONO SAPERE DI AVERE. Perché "noi capicantiere, direttori di cantiere, capi reparto, direttori di stabilimento, ecc. --> DOBBIAMO PRODURRE". Sentito tante volte; ma fino a che non si capirà che (come vuole l'81 e i Sistemi di gestione) non si può più pensare a Sicurezza e Produzione come due strade separate e antitetiche, ma si deve pensare alla PRODUZIONE IN SICUREZZA (in maniera integrata) non si riuscirà a fare prevenzione.
Rispondi Autore: Giorgio Fiorentini - likes: 0
24/11/2016 (18:31:07)
Ringrazio la Dott.ssa Guardavilla per le le sue utilissime delucidazioni.
Colgo l'occasione per chiederle come la "nuova" figura del RTSA (responsabile tecnico del servizio antincendio) con i compiti ben individuati dal Decreto di mininterno del 19 marzo 2015, Allegeto III "Sistema di Gestione della Sicurezza finalizzato alla'adeguamento Antincendio" si inserisca nel Sistema di sicurezza Aziendale. E' autonomo dal RSPP ? Risponde direttamente dal DDL ? E' una figura assimilabile al RSPP per quanto riguarda le proprie responsabilità ?
Inoltre ora che, anche la magistratura ,riconosce necessario l'inserimento della Security tra le azioni prevenzionistiche, le grandi Aziende (vedi le ASL) non dovrebbero nominare un apposito Responsabile ?
Sarei molto grato se avessi una risposta in merito.
Rispondi Autore: Massimo Ughi - likes: 0
01/12/2016 (16:01:32)
Condivido in pieno le riflessioni ma mi chiedo: sono sole i datori di lavoro che non capiscono o fanno finta di non capire oppure ci sono anche altri attori che interpretano male la Legge? Io sono un ex UPG del Dipartimento della Prevenzione e da 5 anni son RSPP di una Aziedna sanitaria. Ho sempre avuto l'idea, suffragata da corsi e studi, che il RSPP abbia un ruolo consultivo del datore di lavoro e finqui mi sembra di essere d'accordo con l'articolo. Poi leggo sentenze come quelle sulla Thyssen, sul liceo Darwin ecc. e vedo condannato il RSPP al pari della filiera produttiva...

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