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Decreto 81: il dirigente e gli obblighi per la sicurezza del lavoro

Decreto 81: il dirigente e gli obblighi per la sicurezza del lavoro
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Dirigenti

22/06/2012

Analisi dei compiti per la sicurezza del lavoro dei dirigenti in riferimento al D.Lgs. 81/2008 e alla giurisprudenza.

 

1. Dirigenti: compiti e responsabilità.

1.1. Aspetti generali
Il DIRIGENTE è definito dal D.Lgs. n. 81/2008 come “garante organizzativo” della sicurezza e igiene del lavoro:
art. 2 c. 1 lett. d D.Lgs. 81/2008 «dirigente»: “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. La definizione legale non prevede alcun livello contrattuale predefinito, dunque anche un quadro intermedio può essere qualificato normativamente come dirigente ai fini dell'attuazione dei compiti organizzativi e di vigilanza previsti dal Testo Unico di sicurezza del lavoro, ne prevede la disponibilità di un potere di spesa, e nel caso in cui questo manchi, i suoi obblighi dirigenziali saranno obblighi gestionali organizzativi e di riferire a chi possiede il potere di spesa le necessità prevenzionistiche emergenti.
La Cassazione, in un caso, ha efficacemente sottolineato che “la veste di dirigente [la fattispecie riguardava un imputato, direttore dello stabilimento in cui avvenivano le lavorazioni pericolose, cui è stato mosso l'addebito di aver consentito che i lavoratori accedessero usualmente all'interno della catena di lavorazione per consentirne il funzionamento; e di non aver adottato misure tecniche volte ad evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti, segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza, il che causava una lesione personale ad un'operaio] non comporta necessariamente poteri di spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza nell'ambito della sfera di responsabilità gestionale attribuita allo stesso dirigente. Tale ruolo è indipendente dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di spesa) che gli sono propri”[Cassazione Penale, Sez. 4, 12 novembre 2008, n. 42136].
La definizione del Testo Unico ex art. 2 di dirigente (ma anche di preposto) “fotografa la posizione dei diversi soggetti aziendali” (Anna Guardavilla) e pone l’accento “sulla natura dell’incarico conferito”, in linea con la conclusione alla quale da tempo era arrivata la giurisprudenza, secondo la quale “tali qualità [di dirigente e/o preposto] discendono dalla loro posizione assunta all’interno delle singole aziende o enti” (Cass. Pen. , sez. III, sentenza n. 14017 del 15/04/05)” [Antonella Guadagni], ovvero può essere individuata facendo riferimento tanto all'organigramma funzionale aziendale quanto alle reali mansioni di fatto esercitate.
La Suprema Corte ha con chiarezza sottolineato che “il tratto caratteristico della figura dirigenziale è rappresentato dall’esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide o sull’andamento dell’intera azienda ovvero che attiene ad autonomo settore produttivo della stessa azienda, non essendo richiesto come elemento necessario il fatto che il dirigente venga preposto ed abbia poteri decisionali in ordine all’intera struttura aziendale” (Cass. Sez. Lav. 11.07.07 n. 15489).
Ancora la Cassazione ha definito il Dirigente come colui che: “sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche ricevute dal datore di lavoro, ha comunque i poteri e quindi è in grado di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda e/o ad un suo ramo o settore autonomo, assumendo tutte le corrispondenti responsabilità di alto livello” (Cass. 2005 n. 19903).
Da notare che la figura professionale del dirigente implica lo svolgimento di compiti coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti, di qualsiasi livello, i quali siano caratterizzati da significativa autonomia e poteri decisionali, che li differenzino qualitativamente da quelli affidati agli impiegati direttivi (Cass. Sez. Lavoro 19.07.07 n. 16015).


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2. Art.18 D.Lgs. n. 81/2008: analisi dei compiti del datore di lavoro e dei dirigenti

L'articolo 18 è in toto obbligatorio per il datore di lavoro, mentre nei confronti del dirigente si modella sulle effettive competenze e attribuzioni, ovvero il dirigente è obbligato ad adempiere solo a quelle prescrizioni che riguardano la sua effettiva funzione in azienda, mentre per le altre che non riguardano i suoi compiti aziendali ne risponde solo se specificamente delegato.
 
GESTIONE DELLE EMERGENZE E DELL'ANTINCENDIO
L'art. 18 c. 1 lett. b si occupa degli obblighi in materia di gestione delle emergenze e dell'antincendio e nomina dei relativi addetti, che devono essere presenti durante tutto l'orario di lavoro.
 
La giurisprudenza
La sentenza della Cassazione penale, Sez. IlI - n. 33288 del 13 settembre 2005 (u.p. 28 aprile 2005 - Pres. Postiglione - Est. Franco - P.M. Diff. Favalli - Rie. Anzaghi) è la prima che la Suprema Corte dedica alla squadra antincendio prevista dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 prima e ora dal D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81.
Le disposizioni oggetto della decisione sono le tre seguenti:
1) l'art. 4, comma 5, lettera q), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. t D.Lgs. n.81/2008], ai sensi del quale il datore di lavoro «adotta le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell' evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato» e che «tali misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, e al numero delle persone presenti»;
2) l'art. 4, comma 5, lettera a), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. b D.Lgs. n.81/2008] prescrive che il datore di lavoro «designa preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza».
3) l'art. 12, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008] stabilisce che «ai fini degli adempimenti di cui all'art. 4, comma 5, lettera q), D.Lgs. n. 626/1994 il datore di lavoro designa preventivamente i lavoratori incaricati di attuare le misure di cui all'art. 4, comma 5, lettera a)», ossia delle «misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato». (Per un riferimento all'art. 12 D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008] v. Cassazione penale, Sez. IlI - Sentenza n. 36981 del 12 ottobre 2005 (u.p. 24 giugno 2005) - Pres. Savignano - Est. Fiale - P.M. (Conf.) Meloni - Rie. Torchio).
La fattispecie riguarda la condanna dell'amministratore delegato di una S.p.a., avvenuta in primo grado per il reato di cui all'art. 12, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008], «perché non aveva provveduto a nominare la squadra antincendio».
Il Tribunale ritenne che «il documento che conteneva l'indicazione del gruppo di primo intervento non costituiva adempimento dell'obbligo in questione perché non erano indicati i compiti dei soggetti in esso menzionati nel caso si fosse verificata una delle situazioni di cui all'art. 4, comma 5, lettere a) e q), e quindi si trattava di una nomina meramente formale, anche perché non era provato che ai soggetti nominati fosse stata comunicata la loro appartenenza al detto gruppo».
[La Cassazione] prende atto che «all'imputato è stata contestata la violazione di quest'obbligo, ossia di non avere validamente ed effettivamente designato una squadra antincendi» e che, «per adempiere all'obbligo di designazione in questione, non può certamente ritenersi sufficiente una indicazione meramente formale, ma occorra anche, quanto meno, che i lavoratori indicati come componenti di tale squadra abbiano avuto notizia di fame parte, ossia siano stati innanzitutto informati di essere componenti della squadra antincendi e di avere quindi il compito di svolgere determinate attività in caso di pericolo, e che occorra altresì che siano stati individuati e precisati i compiti assegnati ai soggetti nominati e che gli stessi siano adeguatamente preparati all'incarico loro affidato».
Constata anche, altresì, che «nella specie non solo non vi era stata alcuna adeguata formazione e preparazione dei tre soggetti nominati come componenti della squadra antincendi, ma che nemmeno erano stati individuati e precisati i compiti loro assegnati e le attività che essi avrebbero dovuto compiere in caso si fosse verificata una situazione di pericolo ed addirittura che i soggetti in questione non erano stati neppure informati di questa nomina sicché essi non erano a conoscenza di far parte della squadra antincendi, con la conseguenza che, in caso di pericolo, non si sarebbe potuto presumere che essi si attivassero per assolvere ai compiti che da tale nomina derivavano», tanto è vero che «il datore di lavoro si era limitato esclusivamente ad inserire nella scheda relativa al gruppo di primo intervento i nomi del direttore tecnico, del capo manutenzione e del magazziniere, senza appunto nemmeno informare i detti soggetti, specificare i loro compiti in caso di pericolo e fornire loro una adeguata preparazione, sicché, se pure di nomina di una squadra antincendi si potesse parlare, si sarebbe comunque trattato di una nomina puramente formale e fittizia, e la semplice predisposizione della scheda non poteva certamente costituire adempimento dell'obbligo in questione».
In questo contesto, la Cassazione chiarisce che «la disposizione di cui all'art. 12, comma 1, lettera e), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. c del D.Lgs. n. 81/2008], nel prevedere l'obbligo del datore di lavoro di informare tutti i lavoratori che possono essere esposti ad un pericolo grave ed immediato circa le misure predisposte ed i comportamenti da adottare, non ha nulla a che vedere con l'altro obbligo di designare preventivamente una squadra antincendi, obbligo imposto dalla precedente lettera b)».
Spiega che, «mentre l'obbligo di informare i soggetti nominati membri della squadra antincendi della loro nomina non costituisce altro che un ovvio corollario dell'obbligo di preventiva designazione della squadra stessa, dal momento che non avrebbe alcun senso, e quindi non sarebbe tale, una designazione puramente formale che non fosse neppure comunicata ai soggetti designati, i quali quindi nemmeno sappiano di far parte della squadra e del loro obbligo di attivarsi in caso di pericolo». In altro contesto la Cassazione ha dichiarato che “commette il delitto di omissione colposa di cautele antinfortunistiche previsto dall'art. 451 c.p., oltre che la contravvenzione di cui all'art. 33 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 [ora art. 46 comma 2 D.Lgs. n.81/2008], il titolare di una discoteca il quale abbia predisposto idranti inefficienti e applicato alle porte delle uscite di sicurezza chiavistelli che, pur se apribili, ostacolano una rapida apertura: l’apertura delle porte di sicurezza deve essere sempre ed in ogni caso assicurata con la massima facilità, attesa la loro funzione di consentire il facile deflusso delle persone in caso di emergenza e, quindi, secondo l’id quod plerumque accidit, anche di estrema urgenza”[Cass. Pen. Sez. IV,sent. del 2 marzo 1999, n. 2756, Pres. Fattori - Rel. Malagnino P.M. Meloni (Conf.) - ric. Bergese]
 
 

AFFIDAMENTO DEI COMPITI AI LAVORATORI TENENDO CONTO DELLE LORO CONDIZIONI E CAPACITÀ

L'art. 18 c. 1 lett. c prevede l'obbligo di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro condizioni e capacità, in relazione alla sicurezza del lavoro.
 “L’interesse dello Stato alla effettiva assunzione delle misure di salvaguardia della salute del lavoratore non è limitato alla fase che precede l’assegnazione dei compiti ma perdura per l’intero rapporto” ( Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539).
1) Ad esempio secondo la Cassazione penale con sentenza n. 37999 del 3 ottobre 2008, in un caso di incidente stradale occorso al conducente (dipendente poi deceduto) di un autoarticolato fuoriuscito dalla carreggiata, il datore di lavoro è da ritenere responsabile e pertanto è tenuto a rispondere delle conseguenze (delitto di omicidio colposo) per violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a condizione che abbia sottoposto il dipendente autista ad un faticoso doppio turno di lavoro e che l'incidente sia causato da stanchezza.
Cass. Pen., sez. IV, 03/10/2008 n. 37999 - “Nel percorrere un tratto di strada provinciale a curva in discesa alla guida di un autoarticolato trainante un semirimorchio a cisterna, il conduttore, per cause imprecisate, perse il controllo del veicolo e, alla velocità di 80 chilometri orari, percorse circa 50 metri in frenata e fuoriuscì sul lato destro della carreggiata, finendo la propria corsa, ribaltato, in una scarpata di oltre 70 metri dal piano viabile”.
Si accertò che “(…) quel giorno, l’autista era stato sottoposto ad un doppio turno di lavoro (aveva preso servizio alle ore 4.05 ed aveva lavorato fino all’ora di pranzo; nel pomeriggio, alle ore 14.00 aveva ripreso servizio e l’incidente si era verificato alle ore 17.45), vietato anche da specifiche disposizioni aziendali”. Il responsabile di quel secondo turno – assolto in primo grado – fu condannato in appello per omicidio colposo, in quanto “(…) la sua condotta colposa era stata ritenuta causa dell’evento”.
2) Cass. Pen., sez. IV, 08/03/2002 n. 9204 – L’amministratore di una società è condannato per il delitto di lesione personale colposa di un lavoratore infortunatosi a una macchina fresatrice, in quanto “(…) non aveva neppure curato, come invece avrebbe dovuto, che il lavoratore, assunto soltanto il giorno precedente, fosse in possesso della qualifica professionale abilitante all’uso della fresatrice”.
3) “il titolare dell'impresa risponde, per " culpa in eligendo", del comportamento del preposto, inesperto alla direzione dei lavori, che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua manifesta incompetenza e l'altrettanto palese inadeguatezza del suo metodo di lavoro” [Cassazione penale sez. IV, 23 giugno 1995, n. 7569, Leoni, in Riv. trim. dir. pen. economia 1996, 679 (s.m.)].
4) «Si ravvisa un profilo di colpa generica del datore di lavoro nell’aver assunto per un compito specifico e particolarmente rischioso due giovani inesperti dei rischi connessi al processo di lavorazione loro demandato, senza nemmeno compiere la più elementare indagine sulla loro capacità di svolgerlo nelle prudenti condizioni di assenza di pericolo. Profilo, peraltro, che a ben vedere si colloca nella cornice di quell’obbligo eloquentemente formulato dall’art. 4, comma 5, letto c), D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626: “il datore di lavoro nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza” (Sentenza n. 14875 del 26 marzo 2004).
5) Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539, sentenza relativa a fattispecie ove il Presidente del Consiglio di Amministrazione è stato condannato per avere violato l’attuale art. 18 c. 1 lett. c) D.Lgs. 81/08 non segnalando al medico competente la necessità di effettuare gli accertamenti sanitari ad alcuni lavoratori neoassunti prima di affidare loro i compiti da svolgere: “la sorveglianza sanitaria non è circoscritta alla fase che precede l’assegnazione alle mansioni del dipendente. Si deve, pertanto, necessariamente concludere, per la natura permanente del reato perdurando l’obbligo della sorveglianza sanitaria anche nel corso dello svolgimento delle mansioni e, quindi, la condotta lesiva dell’interesse protetto sino a quando il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di procedere agli indicati accertamenti” (Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539).
 

VIGILANZA

L'art. 18 comma 1 lettera f si occupa degli obblighi di Vigilanza:
1) Cass. Pen., sez. IV, 11/06/2008 n. 23505 – “(…) Il datore di lavoro, indipendentemente dalla continuità della sua presenza sul luogo di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera”, e che “(…) il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa”; (…) detta posizione di garanzia non viene meno nell’ipotesi di ‘temporanea’ assenza del datore di lavoro, incombendo in capo ad esso l’obbligo di predisporre tutte le cautele idonee a svolgere funzione antinfortunistica per tutte quelle lavorazioni che, pur potendosi svolgere, in ipotesi, in sua assenza, sono da questi conosciute e debbono essere dallo stesso datore di lavoro preventivamente valutate per la potenzialità di rischio infortunistico ad esse connessa”.
2) Cass. Pen., sez. IV, 21/06/2006 n. 21450 – La sezione IV afferma che l’amministratore delegato di una s.r.l. e direttore di stabilimento era il “(…) terminale delle decisioni organizzative nell’ambito della unità produttiva” ed aveva, quindi, “(…) l’obbligo di accertarsi della rigorosa osservanza delle disposizioni antinfortunistiche”.
Né “(…) gli giova il rilievo secondo cui egli poteva non essere a conoscenza di quel modus operandi, giacché negli obblighi di sorveglianza al riguardo rientra, evidentemente, anche quello di doverosamente accertarsi di quale sia il modus operandi nello svolgimento dell’attività lavorativa in relazione all’osservanza delle misure antinfortunistiche prescritte dalla legge”. Infatti, la legge “(…) richiede, in proposito, che il titolare della posizione di garanzia si attivi di propria iniziativa, ed a prescindere da rappresentate o meno sollecitazioni altrui, per verificare la osservanza o meno di quelle misure da parte dei lavoratori dipendenti”. Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 1238 del 19 gennaio 2005 (u.p. 26 ottobre 2004) – Pres. Marzano – Est. Palmieri – P.M. (Diff.) Viglietta – Ric. P.M. in c. Storino e altra.
 

INFORMAZIONE, FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO

L'art. 18 c. 1 lett. l prevede gli obblighi di informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, ma anche di RLS, addetti antincendio e primo soccorso, preposti e dirigenti:
1) Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 14175 del 21 aprile 2006 (u.p. 9 novembre 2005) – Pres. Coco – Est. Foti – P.M. (Conf.) Mura – Ric. Succhiati. Condannato per il delitto di lesione personale colposa in rapporto a un infortunio subito da un lavoratore dipendente adibito ad una macchina spalmatrice con l’addebito di non aver predisposto i necessari corsi di informazione, il legale rappresentante di una s.p.a. sostiene che “l’operaio aveva ricevuto istruzioni in ordine all’uso delle macchine e alle cautele da adottarsi”. La Sezione IV sottolinea che “con le semplici ‘istruzioni’ sull’uso della macchina e sulle cautele da adottarsi non può ritenersi adempiuto, da parte del datore di lavoro l’obbligo di informazione che la legge gli impone a tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore”: “informazione – aggiunge – “che ha evidentemente portata ben più ampia e specifica rispetto alle generiche e routinarie istruzioni sull’uso della macchina”. La Sezione IV ribatte che “la macchina in questione era soggetta a frequenti inconvenienti del tipo di quelli verificatisi il giorno dell’incidente”, e, quindi, “incombeva sul datore di lavoro istruire espressamente il lavoratore sulle modalità da seguire nel caso di inconvenienti”. E in termini eloquenti esclude che possa “avere efficacia scriminante la circostanza che sul luogo di lavoro era presente un manuale che spiegava le modalità di funzionamento e quelle di manutenzione della macchina” tanto più che “questo manuale, anche per le sue dimensioni, era di difficile consultazione e comunque non poteva essere ritenuto idoneo ad escludere l’obbligo di informazione [e formazione] del datore di lavoro”.
Sempre sulla formazione dei lavoratori la Sezione IV osserva, quanto al dovere di informazione e formazione dei lavoratori, “che risulta insufficiente la mera predisposizione di cartelli che facciano divieto di operare sulle macchine in movimento e di una lettera informativa ai lavoratori che vieti la manomissione o la rimozione delle protezioni presenti sulle macchine”.
Argomenta con inusuale incisività che “gli obblighi che gravano sul datore di lavoro, e ciò vale anche in tema di informazione e formazione, non sono limitati ad un rispetto meramente formale, come può essere quello derivante dalla predisposizione di opuscoli e lettere informative e dalla apposizione di cartelli, ma esigono che vi sia una positiva azione del datore di lavoro volta ad assicurarsi che le regole in questione vengano assimilate dai lavoratori e vengano rispettate nella ordinaria prassi di lavoro”. E sottolinea che “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza del lavoro, deve operare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente, di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro non corrette” (Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 18638 del 22 aprile 2004).
 
 

OBBLIGO DELLA SICUREZZA “IN SÉ” DEL LUOGO DI LAVORO

L'art. 18 c. 1 lett. q prevede la “Tutela popolazione e ambiente esterno”, ovvero l'obbligo della sicurezza “in sé” del luogo di lavoro (sicurezza oggettiva):
1) Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 37079 del 30 settembre 2008 (u.p. 24 giugno 2008) – Pres. Licari – P.M. (Conf.) Bua – Ric. Ansaloni sottolinea che “le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l’altro, dovendolo desumere dall’articolo 4, comma 5, lettera n), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. q dlgs 81/2008], che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro “prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno”, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell’impresa”.
 
Rolando Dubini, avvocato in Milano
 
 
 
La seconda parte dell'articolo, dedicata all'individuazione del dirigente in relazione all’effettività delle mansioni esercitate a prescindere da incarichi formali e poteri spesa, al principio di supremazia e al consulente esterno dirigente, sarà pubblicata nei prossimi giorni.
 


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Rispondi Autore: Cagna Andrea - likes: 0
22/06/2012 (08:24:56)
Sono Dirigenti anche quei funzionari locali o statali che avrebbero dovuto, a prescindere dalle funzioni specifiche loro assegnate,indicare che taluni "involucri di lavoro", nelle zone terremotate (le aree a rischio sono mappate e a loro completa disposizione)non avevano i requisiti idonei.
Non aggiungo alcunchè e lascio ad altri ogni conclusione.
Asserisco solo che è facile ad essere dei bacchettoni quando si è nella posizione di essere poco bacchettati.
Rispondi Autore: Vittorio Vedovato - likes: 0
22/06/2012 (10:59:12)
Ritengo necessario questo ulteriore chiarimento delle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro del “Dirigente” illustrato dall’Avv. Rolando Dubini. Infatti per l’ennesima volta viene ribadito il concetto che la possibilità di delega da parte del datore di lavoro di obblighi di sicurezza a lui spettanti in forma primaria, ai dirigenti, vedi art. 18 comma 1 del D.Lgs. 81/08, non può essere svolta a suo piacimento. Infatti il datore di lavoro non deve dimenticare che anni di giurisprudenza hanno confermato che le garanzie di sicurezza sul lavoro sono attribuite al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti secondo le loro attribuzioni e competenze (iure proprio). Pertanto gli obblighi e le garanzie di sicurezza, di competenza del dirigente del reparto A), non possono essere delegate ad un altro dirigente aziendale. Oppure, come ogni tanto si osserva, che in virtù di una interpretazione del tutto scorretta del D. Lgs. 242/96 i dirigenti diventano responsabili della sicurezza sul lavoro solo se ne ricevono la delega da parte del datore di lavoro. Sarebbe quindi il caso di chiarire una volta per tutte che la delega di compiti e obblighi di sicurezza di un dirigente, ad esclusione di quelli specifici correlati con le attribuzioni e i compiti di organizzazione, gestione e controllo di una parte o di tutta l’attività aziendale è quella implicitamente richiamata nell’ambito del citato art. 18, mentre nell’art. 16 del D. Lgs. 81/08 si parla di delega di “funzioni”. Anche se l’art. 16 fa parte di un testo legislativo, dove si tratta di sicurezza sul lavoro, nel termine “funzioni” non necessariamente si devono intendere compiti di sicurezza. Tradizionalmente per funzioni aziendali s’intendono quelle riferite a compiti di organizzazione, gestione e controllo di una parte o di tutto un settore produttivo o di erogazione di servizi, dove necessitano poteri gestionali e di spesa e non a soli compiti di sicurezza sul lavoro. Del resto il legislatore quando ha voluto, nel citato art. 16, dare al termine “funzione”il significato di “compiti di sicurezza” lo ha ben specificato al comma 3-bis:
3-bis.”Il soggetto delegato può, a sua volta, previa intesa con il datore di lavoro delegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. La delega di funzioni di cui al primo periodo non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al delegante in ordine al corretto espletamento delle funzioni trasferite. Il soggetto al quale sia stata conferita la delega di cui al presente comma non può, a sua volta, delegare le funzioni delegate”.
Rispondi Autore: Chierichetti Piero - likes: 0
23/06/2012 (09:20:07)
Con tutte queste norme, art/commi ecc., figure e figurette che sono tenute a partecipare a realizzare la sicurezza in un luogo di lavoro, alla fine della fiera, da come vanno le faccende, si constata che i casi di infortunio impeerversano e che molte ditte scantonano.
Il concetto dei troppi personaggi chiamati a ...non mi convince.
A mio avviso serve soltanto a scambiarsi vicendevolmente delle colpe se le faccende vanno male.
Poca concretezza, molta macchinosità normativa, decisioni controverse e bacchettone di burocrati verificatori che molto spesso versano nel dubbio su come doversi regolare.
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
05/10/2012 (19:18:44)
Le riflessioni di Vittorio vedovato sono, come sempre, magistrali. L'individuazione dei compiti e delle responsabilità non può essere arbitraria, ma deve essere ancorata alla concreta ed "effettiva" organizzazione aziendale. Qui la burocratizzazione non c'entra nulla, quel che si è davvero burocratizzato, in modo sempre più sconcertante nelle sue varianti "regionaliste", è l'obbligo formativo ...
Rispondi Autore: Cagna Andrea - likes: 0
06/10/2012 (09:14:16)
Concordo con il Sig.Chierichetti- L'esistenza della solita e ricorrente sventagliata di personaggi, incarichi, deleghe e sottodeleghe.
All'atto pratico, quando ricorre un infortunio, o ci rimette l'ultimo della catena o l'imputazione rimane divisa fra i molti e come tale perde efficacia.
La sicurezza, in tutti i suoi risvolti, è diventata molto retorica e poca sostanza, i tavoli si contano a migliaia le conclusioni poche. Per dire, una buona "piattaforma commerciale" per diversi soggetti che offrono documenti e interpretazioni ma poca sostanza nella realtà delle cose.
Se ci fossero i tanto declamati controlli, della seria sorveglianza sulle applicazioni e un semplice rispetto della normativa, i vari casi Ilva sarebbero inesistemti.
Prevenzione o scoperte strada facendo quando l'irreparabile è compiuto e i posti di lavoro vacillano?
Rispondi Autore: Rolando Dubini - likes: 0
06/10/2012 (10:20:25)
In Italia siamo troppo abituati a clamorose declamazioni, oppure alla burocratizzazione ti tutto quanto esiste, e si tratta della stessa cosa, e poco al lavoro paziente, quotidiano, faticoso, di fare il meglio laddove possibile. Io trovo che il D.Lgs. n. 231/2001, il modello di gestione, l'OdV, siano occasioni straordinarie di rimodellare l'attenzione aziendale alla sicurezza, e alla legalità in genere, e credo che su quella strada si possano fare passi avanti.

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