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Cassazione: responsabilità del delegato del datore e del coordinatore

Cassazione: responsabilità del delegato del datore e del coordinatore
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Sentenze commentate

09/09/2016

Corte di Cassazione: responsabilità del delegato del datore di lavoro per aver omesso di verificare l'idoneità delle misure di sicurezza, e del coordinatore per la sicurezza nel cantiere. Commento dell'avvocato Rolando Dubini.


La Sentenza

Cassazione Penale, Sez. 4, 07 luglio 2016, n. 28250 - Responsabilità del delegato del datore di lavoro per aver omesso di verificare l'idoneità delle misure di sicurezza, e del coordinatore per la sicurezza nel cantiere.

 

Il commento

La Suprema Corte si è recentemente occupata di una vicenda infortunistica che chiama in causa gli obblighi del delegato del datore di lavoro, quelli del coordinatore per la sicurezza durante l’esecuzione dei lavori, e la rilevanza del comportamento imprudente del lavoratore.

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La Fattispecie riguarda la vicenda di un operaio:

- il quale lasciata la carriola al piano terra, era salito per le scale raggiungendo il piano dove era presente l'intavolato provvisorio dell'ascensore;

- che aveva aperto il cancelletto;

- che aveva verificato il collegamento del cavo di alimentazione o aveva provveduto egli stesso al collegamento; che aveva schiacciato il pulsante sul quadro di controllo provvisorio inviando il tavolato al piano terra;

- che, sceso al piano terra, aveva caricato la carriola sul tavolato provvisorio con i manici rivolti verso il vano di entrata ed aveva pigiato nuovamente il bottone per salire al primo piano;

- che, pensando di aver raggiunto il piano, dando le spalle al varco di accesso, era uscito a ritroso senza accorgersi che l'intavolato provvisorio si trovava, invece, a circa 102 cm più in alto rispetto al solaio del primo piano;

- che avendo il tavolato una misura inferiore di circa 15 cm rispetto al profilo interno della apertura di accesso al vano aveva messo il piede nel vuoto;

- che perciò si era sbilanciato cadendo all'indietro, aveva cercato istintivamente di afferrarsi ai manici della carriola in tal modo generando un movimento oscillante ed infilandosi con le gambe, al disotto dell'intavolato, nel vuoto, proseguendo quindi la caduta per circa otto-nove metri nella tromba dell'ascensore;

- che era deceduto in conseguenza delle gravi lesioni riportate a seguito del violento impatto sul pavimento della tromba dell'ascensore.

 

L'operaio aveva deciso di utilizzare l'ascensore come montacarichi all'evidente scopo di accelerare il suo lavoro e, per farlo, non aveva dovuto superare alcuna difficoltà, visto che i cancelletti metallici provvisori non erano chiusi con lucchetto o altro dispositivo che richiedesse l'uso di chiavi, e che il pannello di comando provvisorio dell'ascensore non era provvisto di alcun sistema che impedisse l'uso ai non autorizzati (bastava solamente collegare il cavo di alimentazione ad una presa di corrente per rendere funzionante la macchina elevatrice, che poi poteva essere messa in moto agendo sui pulsanti del quadro di comando).


Non potendosi, quindi, ritenere che l'agire imprudente, pur presente senza alcun dubbio, tanto è vero che il giudice di merito ha ritenuto sussistere un concorso di colpa dell’operaio nella sua stessa morte del 25%, dell'operaio si fosse posto come causa unica ed esclusiva dell'evento mortale, il primo giudice del merito aveva esaminato la posizione, tra gli altri, dei ricorrenti per verificare se ed in che modo, nei rispettivi ruoli, fosse rinvenibile una loro responsabilità colposa in relazione all'infortunio che era costato la vita all'operaio.

Era stato, tra l'altro, già in quella sede valutato il motivo oggi riproposto secondo cui era possibile usare una gru a torre per portare il materiale in quota sull'intavolato del ponteggio, riscontrando che ciò era vero, ma che vi era comunque una difficoltà, per chi non fosse particolarmente abile nel maneggio di quella macchina, nell'appoggiare il materiale una volta alzato all’altezza desiderata; ed inoltre l'intavolato non aveva le medesime capacità di sopportare il peso della piazzola di carico. Era dunque doveroso prevedere che un operaio, specialmente se incaricato di (o lasciato) procedere da solo, a una lavorazione che presupponesse il sollevamento ai piani di materiali - come nel caso di specie - fosse tentato di evitare il complicato e laborioso uso della gru con scarico sul ponteggio, avvalendosi piuttosto della comoda "scorciatoia" offerta dall'ascensore in costruzione, che nulla impediva di usare come montacarichi e che poteva essere azionato facilmente da una sola persona. La raccomandazione orale del datore di lavoro a non usare l’ascensore, anche ammesso che fosse stata fatta, non sarebbe stata sufficiente, visto che in ultima analisi era proprio la difficoltà di portare i carichi in quota, dovuta all'organizzazione del cantiere, a indurre all'inosservanza della "raccomandazione" nell'interesse della stessa ditta esecutrice dei lavori, e non era stata comminata, né di certo sarebbe stata adottata, alcuna sanzione nei confronti di chi fosse stato colto a trasgredirvi.

Per respingere il ricorso degli imputati, il delegato alla sicurezza e il CSE, la Cassazione svolge ragionamenti di grande interesse, confermando la propria giurisprudenza.

 

In primo luogo ribadisce che “colui che rivesta una posizione di garanzia in relazione al rispetto delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento della persona offesa sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro”.

Non esclude la responsabilità (in quel caso del datore di lavoro) “il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente”.

 

Il titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, secondo la Cassazione in questa sentenza e in altre che cita, “ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile”, (sez. 4,n. 37986 del 27.6.2012, Battafarano, rv. 254365; conf. sez. 4, n.3787 del 17.10.2014 dep. il 27.1.2015, Bonelli, rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).

Perciò, come già detto, “il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro” (cfr., oltre a quelle citate in precedenza, sez. 4, n.7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321, fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).

 

La necessaria prevedibilità dell'evento - anche sotto il profilo causale - “non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo” (Cass. Sez. Un., n.38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103 nella cui motivazione la Corte ha precisato che, ai fini della imputazione soggettiva dell'evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali).

Nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Cass. Sez. Un., n.38343 del 24.4.2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, rv. 261103; conf. sez. 4, n. 49707 del 4.11.2014, Incorcaia ed altro, rv. 263284; sez. 4, n. 22378 del 19.3.2015, PG in proc. Volcan ed altro, rv. 263494).


Nell'ipotesi di infortunio mortale sul lavoro, come nel caso di specie, “oltre al datore di lavoro e al responsabile del cantiere, risponde anche il responsabile dell'impresa appaltatrice incaricata dell'installazione dell'impianto di ascensore, per non  aver provveduto all'adozione di tutte quelle cautele idonee e necessarie per la totale disattivazione dell'impianto stesso, consentendo così l'utilizzo improprio dell'impianto come montacarichi e la conseguente caduta del lavoratore nel vano ascensore”.

 

L'addebito, che finisce per coinvolgere tutti gli imputati, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, è quello “di non avere fatto in modo che agli operai fosse impossibile, o perlomeno oltremodo difficoltoso avvalersi, dell'impianto come montacarichi”.

 

Dunque fare sicurezza significa rendere “oltremodo difficoltose” le manovre pericolose.
Ciò dovevano farlo il datore di lavoro, ma anche il responsabile della ditta affidataria dei lavori di realizzazione dell'impianto ascensore (ad es., premurandosi di munire di lucchetto i cancelletti di accesso al vano ascensore, fornendo le chiavi solo ai dipendenti della ditta S.P.; chiudendo il pannello di controllo con una copertura apribile solo con chiavi, etc.).

 

Correttamente viene ritenuto che debba rispondere dell'infortunio mortale anche il soggetto aziendale responsabile dell'osservanza delle normative antinfortunistiche nell'esecuzione dei lavori di installazione dell'impianto ascensore, quando, ad esempio, risulti esistente una  delibera del CdA della società che conferisca a detto soggetto delega di poteri e funzioni, in rappresentanza della società, in ordine all'organizzazione ed al coordinamento delle funzioni di sicurezza aziendale, antinfortunistica, igiene e sicurezza dei luoghi di lavoro, ed all'adempimento di tutti "gli obblighi discendenti dalle normative sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nell'ambiente di lavoro, comprendendovi i cantieri edili, inclusa l'osservanza delle disposizioni dettate in materia dalD.L.vo 81/2008".      

La delega, correttamente in questo caso, si ritiene che, ai sensi dell'art. 16 d.lgs. 81/2008,”vale a individuare in via esclusiva nel delegato il destinatario degli obblighi previsti della normativa antinfortunistica che sono stati violati, qualora risulti da atto scritto di data certa che il delegato era pacificamente in possesso di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate”.
La delega deve attribuire al delegato, per essere valida ed efficace,  tutti i poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, e deve essere accettata dal delegato per iscritto, circostanza che risulta per tabulas, quando la delibera recante la delega risulti approvata all'unanimità dall'intero CdA, del quale faccia parte lo stesso delegato.

Nel caso di specie al delegato è stato rimproverato di “non avere predisposto alcun valido sistema per impedire la caduta di persone dal vano ascensore, in tal modo violando il preciso disposto dell'art. 146 co. 3 d.lgs. 81/2008; i cancelletti installati (peraltro dalla ditta T,) a protezione delle aperture del vano erano inidonei perché potevano essere aperti senza alcuna difficoltà da chiunque”.

La responsabilità del Coordinatore per l'esecuzione dei lavori viene poi individuata in relazione alla circostanza che egli, ai sensi degli artt.91 co. 1 lett. a) e 92 del d.lgs. 81/08, deve redigere il Piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 100 co. 1 del citato d.lgs., con i contenuti espressamente indicati nell'allegato 15, e tenerlo costantemente adeguato in relazione all'evoluzione dei lavori.

 

Nel caso specifico “nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) non si era riscontrata l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi concreti correlati alla fase di installazione dell'ascensore (valutazione che deve essere condotta tenendo conto dell’organizzazione del cantiere, delle lavorazioni in corso e delle loro interferenze); tanto meno nel Piano sono individuate le misure tecniche ed organizzative necessarie a gestire l'interferenza dei rischi per i lavoratori delle imprese impegnate”.

In violazione dell'art. 92 co. 10 lett. B d.lgs. cit. - il quale, tra l'altro, stabilisce che i POS sono da considerarsi come piani complementari di dettaglio del PSC - non vi è stata nel caso di specie, da parte del Coordinatore, “una seria verifica del POS della ditta, che avrebbe portato ad evidenziare le gravi manchevolezze di quel POS, sotto il profilo delle misure di prevenzione da adottare per gestire i rischi generati dalla presenza in cantiere di tecnici di altre ditte svolgenti diverse fasi lavorative. Nel POS della ditta, infatti, non vi era alcun cenno al rischio costituito dalla presenza del vano ascensore”.

 

Tra le manchevolezze imputabili al CSE nel caso di specie vi è anche “il non avere informato dei rischi o sollecitato in alcun modo i datori di lavoro interessati a prendere in specifica considerazione la problematica della sicurezza con riferimento all'installazione dell'ascensore, con ciò violando l'art. 92 co. 1° lett. C del d.lgs. 81/08 ove viene stabilito che il Coordinatore organizza la cooperazione ed il coordinamento delle attività dei diversi datori 'di lavoro, nonché la loro reciproca informazione”.

 

La Cassazione, a fronte di una motivata, logica e coerente pronuncia, “non può in nessun caso procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e provvedere all'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto”.

 

 

Rolando Dubini, avvocato in Milano

 

 

 

Corte di Cassazione - Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 28250 del 07 luglio 2016 - Responsabilità del delegato del datore di lavoro per aver omesso di verificare l'idoneità delle misure di sicurezza, e del coordinatore per la sicurezza nel cantiere.



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Rispondi Autore: Alberto Rosso - likes: 0
09/09/2016 (08:48:56)
Sarei curioso di conoscere il parere dell'autore del bell'articolo dell'altro giorno (Carmelo Catanoso)in merito alla responsabilità attribuita al CSE in questo caso, alla luce della posizione dallo stesso espressa nell'occasione
Rispondi Autore: Marco Martelletti - likes: 0
09/09/2016 (09:14:04)
Quando leggo sentenze di questo tipo che sono moltissime (la giurisprudenza è costante in tal senso anche se di recente mi sembra più evoluzionista), non posso non considerare come l’infortunato è sempre considerato “parte debole” e questa considerazione oscura spesso tutte le (ragionevoli) altre.
L’infortunato, in particolare se come spesso accade, è un lavoratore viene visto dalla giurisprudenza sempre come il lavoratore degli anni cinquanta: ex bracciante agricolo, senza alcun titolo di studio e senza alcuna cultura, men che meno riguardo la sicurezza.
Ma oggi non siamo più nel dopoguerra: la cultura media e l’accesso all’informazione, anche sulla sicurezza, sono completamente diverse.
Il paragone che uso fare è quello che un operaio, buon padre di famiglia a casa sua e utilizzatore di media ed internet, ma che nel momento in cui varca la soglia del cantiere deve essere considerato un bambino: ad un bambino non si dice “guarda quelle sono le strisce pedonali, se vuoi attraversare la strada fallo attraverso di esse”, ma lo si prende per mano e con lui si attraversa la strada.
Questo è esattamente l’approccio e l’operare che la Cassazione pretende sia adottato dai titolari di posizione di garanzia: non basta formare ed informare i lavoratori dei pericoli, ma bisogna evitare che per loro imprudenza, negligenza ed imperizia i lavoratori possano cagionare a sé stessi danni.
Quindi, per quanto percepibile dall’articolo dell’Avv. Dubini, non basta la presenza di un cancelletto e la disalimentazione dell’ascensore, bisogna mettere tutto sotto chiave. Come se, con un volo giuridico che non appartiene alla mia cultura, ma per fare capire capovolgendo i termini, non fosse reato prendere (rubare) una bicicletta solo perché non ha il lucchetto. Oppure immaginare che ad ogni intersezione stradale dotata di semaforo (leggi cancelleto presente sul vano ascensore) dovessimo obbligatoriamente pensare di installare delle sbarre tipo attraversamento ferroviario, così il rispetto delle precedenze stradali sarebbe, con un’espressione che mi ripugna, “a prova di stupido”.
Rispondi Autore: Simone Bianchi - likes: 0
09/09/2016 (09:42:06)
Condivido la versione del sig. Martelletti. E' assurdo leggere sentenze di questo tipo, in virtù del fatto che - ad oggi - gli obblighi formativi vigenti, anche al momento della sola assunzione, sono tali da poter ragionevolmente pensare che l'interdizione di uno spazio (per quanto di facile rimozione) possa essere immediatamente recepita come segnalazione di pericolo e come tale debba essere rispettata. Con riferimento al presente evento condannare i soggetti che hanno ruoli di alta vigilanza (generalmente su più cantieri in contemporanea) continuo a pensare sia una facile via di uscita per chi giudica, oltre che uno "scarico" di responsabilità del lavoratore (che a mio avviso è l'unico colpevole).
Rispondi Autore: Marco Martelletti - likes: 0
09/09/2016 (10:21:11)
Ceero. Ed aggiungo che questa mentalità raggiunge i lavoratori che si ritengono, nonstante la legge così non indichi, assolutamente irresponsabili per la propria ed altrui sicurezza in quanto (cose sentite con le mie orecchie) "è un problema del mio Capo" o "del mio principale".
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
10/09/2016 (12:17:48)
Mi sono andato a leggere tutta la sentenza della Cassazione.

Quello che emerge, se prendiamo alla lettera tutto quello che ha scritto la Cassazione nella sentenza, è che:

1) Nel PSC non si prendevano in considerazione le attività riguardanti l'installazione dell'ascensore.

2) Non prendendo in considerazione questa attività non si definivano nel PSC le scelte progettuali ed organizzative riguardanti il particolare contesto del cantiere, la sua organizzazione, le lavorazioni e le interferenze e, soprattutto, non venivano definite le conseguenti misure tecniche, organizzative e procedurali per eliminare o contenere i rischi conseguenti.

3) il POS dell'esecutrice non conteneva alcun riferimento al rischio derivante dalle lavorazioni relative al vano ascensore ma era stato comunque giudicato idoneo dal CSE.

4) nelle riunioni di coordinamento (ammesso che ce ne fossero state - la Cassazione non lo dice), la problematica relativa alla presenza di un vano ascensori nelle aree di lavoro delle varie ditte presenti, non era stato oggetto di attenzione e di conseguente definizione di regole condivise per garantire la sicurezza degli operatori presenti nell'area di cantiere.

5) il lavoratore infortunato aveva adottato un palese comportamento a rischio da cui era derivato l'evento.

Ora, se il CSE (che era anche CSP) avesse redatto un PSC dove il pericolo derivante dalla presenza di un vano ascensore fosse stato individuato con i conseguenti rischi per il personale esposto (tutto il personale delle varie ditte presenti nello stesso cantiere), determinando le conseguenti misure di sicurezza organizzative, tecniche e procedurali, nessun addebito poteva essergli mosso in quanto il CSE non è quel soggetto che deve controllare cosa e come fanno gli operatori.

Qui però il problema è che nel PSC la fase di lavoro d'installazione dell'ascensore, leggendo quel che dice la Cassazione nelle motivazioni, non c'era, così come non c'era nel POS.

Poi, il fatto che nella realtà fossero state adottate misure di sicurezza che sono state deliberatamente bypassate dall'infortunato, non si può dimenticare.

Tirando le somme, da una parte ci sono delle formali carenze per gli aspetti documentali (PSC e POS carenti e nessuna traccia di attività di coordinamento) e dall'altra c'è la concreta adozione sul campo di misure minime per evitare rischi per il personale non addetto all'installazione dell'ascensore.
Misure che sono state volontariamente bypassate.

Purtroppo, in questo caso la Cassazione non ha potuto ignorare che nel PSC non vi fossero previste almeno delle regole generali come ad esempio la regola del tagout / lockout (chiudo fisicamente con un lucchetto e rendo la chiave disponibile solo al preposto addetto all'installazione dell'ascensore).

Quindi non si può negare, sempre leggendo quello che dice la Cassazione, che ci sia stata una carenza nell'elaborazione del PSC e nella redazione del POS.

Così come non si può negare che l'infortunato sia stato il principale artefice del proprio infortunio.

La mia posizione, rispondendo alla domanda di Alberto Rosso, è che nel mio articolo scrivevo riguardo al CSE non più "sceriffo di cantiere" che si sostituisce a datore di lavoro, dirigenti e preposti mentre qui, la sentenza della Cassazione evidenzia delle carenze previsionali nel PSC (la lavorazione non è stata presa in considerazione), nel POS (idem) e la mancanza di una formale attività di coordinamento da parte del CSE (in cui illustrava le regole da rispettare vista la presenza, nello stesso tempo e nello stesso luogo, di più imprese).

Il concetto che, a posteriori, ribadisce la Cassazione respingendo il ricorso del CSE, è che questi non può chiamarsi fuori dalle responsabilità avendo redatto dei documenti che sono risultati carenti e non conformi ai contenuti minimi di cui all'allegato XV e facendo sì che il nesso di causalità efficiente tra queste carenze e l'evento avvenuto sussista.

In altre parole, secondo la Cassazione se:
1) il PSC avesse preso in considerazione i lavori di installazione dell'ascensore, tenendo conto delle particolarità del contesto, della presenza di più imprese, ecc;
2) il POS avesse preso in considerazione i lavori di installazione dell'ascensore, tenendo conto di quanto previsto dal PSC;
3) il CSE avesse condiviso nelle riunioni di coordinamento le "regole" definire per la gestione delle fasi d'installazione dell'ascensore,
l'evento non sarebbe avvenuto.

Il CSE non avendo alcuna evidenza oggettiva di tipo documentale (quando vai in Tribunale, la sicurezza sul lavoro è di tipo "notarile"), che provavano il contrario di quanto sopra, in un sistema giudiziario come il nostro, paga dazio.

Al contrario, se invece tutto quanto sopra fosse stato dimostrato con evidenze oggettive, allora già in I° grado, io come CTP del CSE, non avrei avuto difficoltà a confrontarmi con il CT del PM o il funzionario della ASL/DTL, riguardo il fatto che il CSE non era quello che doveva controllare cosa combinavano i singoli lavoratori.

Infine concordo con il concetto che sarebbe ora di finirla di considerare il "lavoratore" come un soggetto incapace di elaborare una propria strategia comportamentale sicura davanti ad un pericolo palesemente evidente.
Rispondi Autore: Giampaolo Ceci - likes: 0
11/09/2016 (11:08:47)
Ringrazio l'avv. Dubini per averci informato di quanto accade nelle aule di "Giustizia".
Prendo atto degli orientamenti della magistratura, che se facessero giurisprudenza, vedrebbero ad ogni infortunio sempre condannati il Datore di lavoro e il CSP + il CSE e anche il RL, se nominato (presumo, per omesso controllo).
A questo punto mi domando e vi domando: quale è il livello di dettaglio che deve essere adottato per le lavorazioni descritte nel PSC e quale quello del POS.
Da quel che sembra, TUTTE le singole fasi di ogni lavorazione di cantiere dovrebbero essere minutamente analizzate e valutate nello specifico contesto (salvo poi costringere a leggere,capire e trasferirne i contenuti ai singoli operai da parte di un preposto di cantiere).
Purtroppo la conoscenza dettagliata delle lavorazioni minute è impossibile, perché le procedure operative di queste lavorazioni di dettaglio sono sconosciute al CSP che non può conoscere in anticipo le attrezzature che l'impresa adopererà, ne'il grado di competenza dei suoi operai.
La questione allora si sposta sulla completezza del POS e sulla colpa del CSE di averlo accettato.
Ma le lavorazioni eseguite dall'infortunato mi pare si configurano come lavorazioni usuali di un operaio edile (sollevamento e trasporto carichi, e usuale prudenza) la cui analisi dovrebbe essere riportata nel dettaglio nel DVR e oggetto di specifica formazione/informazione, quantomeno per le loro corrette modalità esecutive.
Ammetto che la sentenza mi lascia senza parole.
Per fornirci il quadro esatto di cosa andiamo incontro, e forse tranquillizzarci un po', l'avv Dubini cortesemente dovrebbe comunicarci anche quale sia stata la condanna per il CSE, così ci prepariamo.
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
11/09/2016 (11:27:40)
Personalmente a me pare invece che il problema sia dovuto al fatto che nel PSC non fossero definite le regole generali e non di dettaglio, per gestire l'esecuzione di una lavorazione che comportava l'installazione di un ascensore in presenza di più imprese nello stesso luogo di lavoro.

Quindi, mi sarei aspettato che nel PSC ci fosse scritto come rendere inutilizzabile l'ascensore in fase di installazione, come rendere inaccessibile il vano ascensore o almeno scrivere: nel POS l'impresa esecutrice dovrà dettagliare, esistendo il rischio di caduta dall'alto e il rischio di schiacciamento/cesoiamento, le misure tecniche, organizzative e procedurali per evitare i rischi citati.

E' ovvio che nel PSC non devo scrivere le regole di dettaglio in quanto queste afferiscono all'autonomia dell'impresa ma è altrettanto ovvio che queste regole di dettaglio le devo trovare nel POS dell'impresa.

Se mancano sia le une che le altre .....

Insomma, io ho dedotto questo. Per essere più precisi bisognava vedere cosa c'era agli atti dell'inchiesta (relazioni ASL/DTL, PSC, POS, ecc.).

Per sapere la condanna, bisognerebbe trovare la sentenza della Corte d'Appello.
Rispondi Autore: Marco Martelletti - likes: 0
12/09/2016 (11:30:25)
Non sono un avvocato e quindi talvolta non colgo le sfumature giuridiche delle sentenze tuttavia, proprio perché presumo di avere la percezione delle stesse che potrebbe avere un tecnico, rilevo come in questa sentenza, come in molte altre che ho avuto occasione di leggere al CSE non viene addebitata una negligenza, imperizia od imprudenza (categorie del reato colposo) che direttamente abbia portato all’evento, ma una meno pregnante deficienza della documentazione relativa alla generale configurazione del cantiere. Come dire: può anche darsi che l’evento non sia colpa diretta del CSE, ma il CSE aveva comunque, in quel cantiere, qualcosa da farsi perdonare e per questo lo condanniamo.
Emblematica è a mio avviso in tal senso la Sentenza di Cassazione 7/11/2013 n° 44977 relativa ad un infortunio durante il varo di un viadotto nel quale, a causa di un cedimento strutturale del sistema di varo, si era verificato uno sbilanciamento e di qui un grave infortunio: al CSE è stato addebitato di non aver adeguato il PSC. Ma il problema è stato un cedimento strutturale della struttura di varo (non calcolata dal CSE ovviamente) che si sarebbe verificato anche in presenza di un adeguamento del PSC. Ma i giudici hanno ritenuto che il solo fatto di non aver adeguato il PSC mettesse in colpa il CSE.
Per come si legge nella sentenza nel caso in esame, che mi son letto anch’io, a mio avviso i presidi c’erano: (i cancelletti di protezione, la conoscenza da parte di tutti gli operai – e dell’infortunato in particolare - del divieto di usare il montacarichi, la disalimentazione elettrica del montacarichi, la disponibilità di una grù per il sollevamento dei materiali): la Corte non li ha ritenuti sufficienti. Nella sentenza si legge: Era dunque doveroso prevedere che un operaio fosse tentato di evitare il complicato e laborioso uso della gru con scarico sul ponteggio, avvalendosi piuttosto della comoda "scorciatoia" offerta dall'ascensore in costruzione. Tornando all’esempio che facevo in un mio precedente intervento anche presso lo stop ad un semaforo rosso un operaio è tentato di attraversare l’incrocio se non vede sopraggiungere nessuno dalla traversa, ciò non vuol dire che bisogna mettere delle sbarre tipo passaggio a livello (per scongiurare il rischio che lo faccia)!
La spiegazione delle condanne comunque a mio avviso sta nel fatto che quasi sempre gli attori del procedimento penale colposo (i PM sempre e molto spesso la Magistratura giudicante) si pongono queste due semplici domande:
1) si poteva fare “di meglio” nell’occasione?
2) (e siccome la risposta a questa domanda è – in assoluto - quasi sempre si) di chi è la colpa (anche con concorso di colpa) per la quale questo “meglio” non è stato messo in campo?
Di qui i rinvii a giudizio di chiunque abbia avuto concorso (secondo la magistratura), anche se marginale, nell’evento. Ciò peraltro risponde a quanto previsto dall’ all’art. 113 del Codice Penale: “Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.” Cioè anche se ho una ipotetico concorso all’evento commisurabile ad un 1% rispondo come chi via ha concorso per il 99%.
E se il concorso (la cooperazione) è marginale la motivazione della richiesta di condanna, ed eventualmente della sentenza, non può che apparire – in particolare per noi tecnici – debole, quasi una “scusa”, un appiglio, per condannare comunque.
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
12/09/2016 (12:04:57)
Secondo la Cassazione, in base a come è scritta la legge, i giudici hanno applicato la legge.

Questi ultimi hanno dato evidenza che sussiste il nesso di causalità efficiente tra le omissioni del CSE (PSC senza fase di installazione dell'ascensore) e l'evento.

L'assurdo è proprio questo e cioè che rispetto alla situazione concreta evidenziata, pesa di più una formale inadempienza documentale.

Quindi, come vado ripetendo da 20 anni, il problema non è la Cassazione che deve verificare se i giudici (I° grado e Appello) si sono attenuti alla legge, ma la legge stessa che è scritta in modalità "cinofallica".

E' questa che va cambiata e non la testa dei giudici di Cassazione.

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