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Sulla applicazione delle norme di sicurezza ai circoli privati

Sulla applicazione delle norme di sicurezza ai circoli privati
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

07/07/2014

La disciplina in materia di sicurezza sul lavoro serve a tutelare i lavoratori che operano in tutti i settori di attività per cui essa trova applicazione anche per un circolo privato a prescindere se lo stesso sia aperto o meno al pubblico. Di G.Porreca.

 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Viene fornito dalla Corte di Cassazione in questa breve sentenza un chiarimento circa l’applicazione o meno delle disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro ai circoli privati nel caso che negli stessi operino dei lavoratori, chiarimento utile che si contrappone all’opinione piuttosto diffusa che l’applicazione di tali norme sia legata solo alla presenza nel circolo del pubblico. Le norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, ha precisato la suprema Corte,  sono poste a tutela dei lavoratori in qualsiasi settore di attività gli stessi operino, sia pubblico che privato, nonché a tutte le tipologie di rischio per cui trovano applicazione anche per un circolo privato indipendentemente dal fatto che l’accesso allo stesso  sia consentito alla generalità delle persone o ai soli soci.
 

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Il caso, il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte
Il Tribunale ha riconosciuto responsabile di plurime violazioni del D. Lgs. n. 81/2008 il legale rappresentante di una associazione culturale il quale, avverso la sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso, ha  proposto appello convertito in ricorso per cassazione. Il legale rappresentante dell’associazione con un unico motivo di impugnazione ha lamentato che il Tribunale aveva rigettato la tesi difensiva secondo la quale non erano da applicare nella fattispecie le disposizioni antinfortunistiche contestate essendo il circolo non aperto al pubblico. Lo stesso ha lamentato, altresì, l'eccessività della pena inflitta anche con riferimento agli aumenti calcolati per la continuazione.
 
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile. La stessa ha in premessa evidenziata la posizione di datore di lavoro dell'imputato, ai sensi di quanto disposto dal D. Lgs. n. 81 del 2008, e la effettiva sussistenza dei fatti indicati nell'imputazione non oggetto del resto di contestazione. La suprema Corte ha quindi messo in evidenza che il ricorrente aveva lamentato, con argomentazioni peraltro generiche, che il giudice del Tribunale non aveva tenuto conto che il locale era aperto ai soli soci e non al pubblico, circostanza questa ritenuta dalla difesa rilevante ai fini dell'applicabilità delle violazioni accertate.
 
Tutte le contravvenzioni contestate all'imputato, ha sostenuto la Sez. III, hanno riguardato violazioni della generale disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui tratta, appunto, il D. Lgs. n. 81 del 2008. “Detta disciplina”, ha quindi proseguito la suprema Corte, “come chiaramente indicato nell'art. 3, comma 1, si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici e a tutte le tipologie di rischio, seppure con le specificazioni di cui ai commi successivi. Non ha dunque alcun rilievo la circostanza che il rapporto di lavoro si svolga all'interno di un locale aperto al pubblico o in un circolo privato, poiché la disciplina che si assume violata nella fattispecie è volta a tutelare i lavoratori che operano nel locale, indipendentemente dal fatto che l'accesso allo stesso sia consentito alla generalità delle persone o ai soli soci”.
 
Parimenti infondate, inoltre, sono state ritenute dalla Corte di Cassazione le ulteriori lamentele riferite all’entità della pena. Il giudice di merito infatti, ha precisato la Sez. III, nel quantificare la pena, opera una valutazione complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall'articolo 133 c.p. per cui la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale attribuito allo stesso che risulta legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi indicati nella richiamata disposizione. Nel caso in esame il giudice del merito, secondo la suprema Corte, ha espressamente richiamato l'art. 133 c.p., affermando di stimare congrua, per il reato più grave, la pena base di euro 3.000,00 di ammenda, attestandosi così in misura prossima al minimo edittale di euro 2.500,00 della pena pecuniaria prevista in alternativa a quella dell'arresto. Anche gli aumenti di pena per la continuazione sono risultati contenuti nella misura di euro 1.000.00 per ciascuna violazione e non hanno necessitato di specifica motivazione, Il Tribunale inoltre, nella quantificazione della pena finale, ha tenuto conto anche dell'avvenuto adempimento alle prescrizioni imposte in sede di controllo (non seguite dal pagamento dell'oblazione che avrebbe comportato l'estinzione dei reati) riconoscendo, per tale ragione, le circostanze attenuanti generiche ed operando una riduzione prossima a quella massima consentita.
 
Per quanto sopra detto la Corte di Cassazione ha rigettato in definitiva il ricorso ed essendo stato lo stesso dichiarato inammissibile ha condannato il ricorrente al pagamento, oltre che delle spese del procedimento, anche della somma di euro 1.000.00 in favore della Cassa delle ammende.
 
 
 
Corte di Cassazione - Penale Sezione III - Sentenza n. 3719 del 28 gennaio 2014  (u. p. 8 gennaio 2014) - Pres. Squassoni – Est. Ramacci – P.M. Lettieri - Ric. M.M.S. - La disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro serve a tutelare i lavoratori che operano in tutti i settori di attività per cui essa trova applicazione anche per un circolo privato a prescindere se lo stesso sia aperto o meno al pubblico.
 



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