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Macchine marcate CE prive dei requisiti essenziali di sicurezza

Macchine marcate CE prive dei requisiti essenziali di sicurezza
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

17/10/2016

Il datore di lavoro è responsabile delle lesioni al lavoratore se ha consentito l’utilizzo di una macchina che pur conforme alla normativa CE per come è stata progettata e assemblata lo abbia esposto al rischio che ha portato all’infortunio. Di G.Porreca.


Torna la Corte di Cassazione ad occuparsi della sicurezza delle macchine che, benché dotate per come progettate e assemblate della regolare marcatura CE garantita dal costruttore, abbiano provocato l’infortunio di un lavoratore che lavorava presso le stesse legato alla carenza delle misure previste dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e fornisce in questa occasione indirizzi che, per la verità, già si riscontrano in precedenti espressioni della stessa Corte.

 

Ha in sostanza affermato la suprema Corte  in questa sentenza che pure se l’evento dannoso sia stato provocato dall’inosservanza alle cautele antinfortunistiche in fase di progettazione e di fabbricazione della macchina non è comunque esclusa la responsabilità del datore di lavoro sul quale in ogni caso grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che la debbono utilizzare e di adottare nell’impresa i più moderni strumenti che la tecnica offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. La dotazione della marcatura CE, ha infatti ribadito la suprema Corte, non dà ingresso all’esonero alle norme generali del codice penale come risulta anche dalla lettura delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

 

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Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale appellata dall’amministratrice unica di una società che era stata tratta a giudizio e condannata per rispondere, nella sua qualità di datore di lavoro, del reato di cui all'art. 590 commi 1, 2 e 3 cod. pen., per aver cagionato lesioni personali gravissime a un dipendente della società medesima per colpa consistita nella violazione di norme antinfortunistiche. Il dipendente, quale addetto al controllo ed alla pulizia dell'impianto di trattamento dei rifiuti installato sul luogo di lavoro, per rimuovere un pezzo di metallo incastrato tra i cingoli di uno dei nastri trasportatori, aveva infilato il braccio destro tra le parti in movimento della macchina, non munite della protezione prevista negli allegati agli artt. 71 del D.P.R. 27/4/1955 n. 547 e art. 70 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 per evitare il pericolo che venissero afferrate e trascinate parti del corpo degli operatori, per cui il braccio del lavoratore era stato agganciato dal nastro trasportatore e schiacciato dagli ingranaggi perdendo gran parte della originaria funzionalità.

 

Avverso tale sentenza l’amministratrice ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione a mezzo dei difensore di fiducia deducendo un vizio di motivazione e travisamento della prova.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha pertanto confermata la condanna dell’imputata. La stessa Corte, contrariamente all'assunto della ricorrente, ha ritenuta logica e congrua la sentenza impugnata per avere espresso il proprio convincimento in modo logico ed argomentato, riscontrato da argomentazioni fattuali compatibili logicamente con la soluzione adottata.

 

Quanto al merito delle singole censure, la suprema Corte ha fatto osservare che, la circostanza che il costruttore della macchina sia stato assolto, non essendo stato possibile stabilire se la macchina al momento della consegna alla società fosse dotata o meno dell'obbligatorio riparo fisso destinato ad impedire l'accesso degli arti e del corpo dei lavoratori è stata ininfluente sulla posizione della ricorrente e ciò anche accedendo alla tesi propugnata in ricorso che il nastro in questione fosse ab origine privo della protezione in questione. Come precisato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti, ha precisato la Sez. IV, “il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite dall’operaio, allorquando abbia consentito l’utilizzo di una macchina, la quale, pur astrattamente conforme alla normativa CE, per come assemblata ed in pratica utilizzata abbia esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (cfr. Sez. 4, n. 49670 del 23/10/2014, Rv. 261175). I marchi di conformità CE limitano infatti la loro efficacia (D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, artt. 6 e 36) a rendere lecita la produzione, il commercio e la concessione in uso delle macchine che, caratterizzate dal marchio, risultano essere rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nelle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, ma la dotazione di tali marchi non da ingresso ad esonero dalle norme generali del codice penale come è specificamente fatto chiaro anche dal testo del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 35, comma 3, lett. b) e art. 37 (vigente al momento dell’infortunio)”

 

La responsabilità del costruttore peraltro, ha tenuto a precisare la Corte di Cassazione, nel caso in cui l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e nella fabbricazione di una macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori, potendosi fare eccezione a detta regola nella sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un suo vizio di progettazione o di costruzione sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina stessa o del vizio che abbiano impedito di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza.

 

Nel caso in esame, ha sostenuto la Sez. IV, come sottolineato dai giudici di merito, la mancanza dell'elemento di protezione era particolarmente evidente, e per molti versi, vistosa, tale, comunque, da non poter sfuggire, senza incorrere in grossolana negligenza. E peraltro che ciò non fosse in concreto sfuggito nel caso particolare è emerso chiaramente ove si consideri che erano state fornite ai lavoratori espresse indicazioni su come intervenire sulla macchina in questione e sulla necessità di procedere prima al fermo della macchina stessa e quindi non vi era un vizio occulto, insidioso o, comunque, non percepibile.

 

Quanto al presunto contributo colposo della vittima la suprema ha fatto osservare che il rispetto delle norme prevenzionali ha lo scopo di prevenire e ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l'errore dell'operatore, generato dalla reiterazione, dalle fisiologiche cadute d'attenzione nell'arco di tutto il tempo lavorativo ed anche, talvolta da vere e proprie distrazioni od imprudenze. E’ proprio al fine di scongiurare degli infortuni che si possono evitare rispettando le norme che determinati soggetti sono chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio infortunistico, senza che i primi possano pretendere esonero da responsabilità ove si accerti una condotta inadeguata del lavoratore, salvo l' abnormità.

 

Nel caso posto all’esame della Corte di Cassazione, invece, l'infortunato, come anche sottolineato dalla Corte territoriale, si era limitato a compiere un gesto istintivo (liberare il macchinario da un frammento di alluminio) del tutto coerente con le sue mansioni. In ogni caso, ha soggiunto la Sez. IV, non può assumere alcun apprezzabile rilievo penalistico la manovra o la condotta del lavoratore che in qualche misura abbia contribuito all'infortunio, trattandosi di circostanza tipica e fisiologica, correlata, come sopra detto, alla ripetizione del gesto, allo stress lavorativo e alle complessive condizioni psicofisiche del soggetto, rientrante nel rischio d'impresa e in quello prevenzionale, posto a base delle norme antinfortunistiche.

 

La suprema Corte ha ritenuto a tal punto opportuno richiamare una recentissima sentenza della Corte medesima, la n. 8883 del 10 febbraio 2016, con la quale la stessa ha precisato come in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, mettendo in evidenza che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori. Nel caso di quella sentenza però, conclude la Corte di Cassazione, è stato comunque provato che provato che il datore di lavoro aveva fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, il che è stato escluso nel caso in esame.

 

Gerardo Porreca

 

Corte di Cassazione - Penale Sezione IV - Sentenza n. 40702 del 29 settembre 2016 (u. p. 3 maggio 2016) - Pres. Bianchi – Est. Ciampi – Ric. F.A.F..  - Il datore di lavoro è responsabile delle lesioni patite da un lavoratore se ha consentito l’utilizzo di una macchina che pur conforme alla normativa ce per come è stata progettata e assemblata lo abbia esposto al rischio che ha portato all’infortunio.

 

Corte di Cassazione - Cassazione Penale, Sez. 4 - Sentenza n. 8883 dell'03 marzo 2016 - Caduta dal tetto del capannone. Assoluzione di un datore di lavoro e di un RSPP: tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte.

 




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