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Tragedie sul lavoro: una lezione del passato che non serve…

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Approfondimento

07/12/2007

Per chi suona la campana. Da Agnone a Monongah i rintocchi della memoria. Intervento del vicepresidente del Patronato Acli sui più tragici episodi di incidenti sul lavoro. Perché ogni infortunio e ogni morte sul lavoro può essere evitata. Sempre.

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È stata una delle più grandi tragedie del lavoro e dell’emigrazione, ancora oggi rimasta senza una stima precisa delle vittime. Per l’Italia, un costo umano superiore perfino a Marcinelle, il disastro minerario ormai entrato nella memoria collettiva e nella storia della nostra emigrazione.
 
A 100 anni dal 6 dicembre 1907, quando la miniera di carbone esplose, un numero a tutt’oggi imprecisato di uomini e di bambini (le stime ufficiali parlarono di 350, molto probabilmente furono oltre 1.000) furono travolti da una violenza tale che i loro corpi furono in gran parte irrecuperabili o irriconoscibili.
Che senso ha oggi ricordare quella tragedia? Che cosa, ancora, può suggerire al nostro presente, proprio a poche ore di distanza dalla tragedia all’acciaieria di Torino?
 
Riportiamo l’intervento di Michele Consiglio, vicepresidente delegato del Patronato Acli.
 
“Se Monongah fosse davvero distante 100 anni da noi, se la nostra civiltà avesse camminato in fretta – senza distrazioni o tentennamenti – in questo tempo da aver perseguito compiutamente la sicurezza e la salute dei lavoratori, i loro diritti, la loro dignità, il loro benessere; allora sì, forse ricordare oggi quella tragedia avrebbe un senso diverso e smetterebbe quel sapore amaro e forte di denuncia che invece si trascina dietro.
 
Se Monongah non fosse esplosa di nuovo, quarant’anni dopo a Marcinelle e poi dopo dieci anni ancora a Mattmark e 10 giorni fa in Cina, potremmo stare in pace e ricordare quei morti perché riposino in pace.
 
Ma non è così. Non è così non solo nelle miniere, ma nei cantieri, nelle fabbriche. In ogni luogo in cui la cultura del denaro e del profitto sta sopra a quella del lavoro…
 

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Quest’anno il Patronato Acli ha dedicato alla sicurezza sul lavoro la sua iniziativa più grande. “Diritti in piazza” l’abbiamo chiamata per dire che il suo obiettivo è l’incontro e il confronto e il suo luogo la piazza. Due settimane di eventi in tutta Italia hanno messo al centro la questione della sicurezza. Il primo di questi, a livello nazionale, è stato un convegno sulla sicurezza degli immigrati nei luoghi di lavoro.
 
Per gli immigrati, venuti nel nostro paese in cerca di condizioni migliori per sé e per le loro famiglie – così come noi siamo andati a Monongah e in tanti altri luoghi e paesi – perdere il lavoro è un dramma, ma perdere la salute è una tragedia. Eppure, ovviamente, sono i più esposti. Per ognuno di loro che muore o che si ammala, Monongah non ha finito mai di esplodere.
 
Per gli operai e le operaie che in questo anno – in cui pure è stata finalmente approvata la legge delega sulla sicurezza – sono morti o si sono infortunati (e qualsiasi cosa dicono le statistiche è sempre un numero troppo, troppo alto), Monongah suona ancora come una sconfitta.
Perché ogni infortunio e ogni morte potevano essere evitati. Sempre.
Per questo penso che le morti di lavoro e sul lavoro non sono solo tragedie del lavoro, ma della civiltà e della giustizia. Non sono bastati 100 anni perché la legislazione sulla sicurezza perfezionasse ovunque il suo corso e una nuova civiltà del lavoro ovunque si radicasse.
 
A Monongah sono morti 171 italiani, di quelli i cui corpi sono stati recuperati e identificati. La maggior parte di loro veniva dal Molise e dalla Calabria. Suonerà domani (ieri, ndr) per loro la campana della Fonderia Pontificia Marinelli, da Agnone arrivata in novembre in West Virginia e ora a Monongah.
E suonerà per tutti noi”.



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