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Valutazione psicoattitudinale del personale di emergenza: resilienza e alessitimia

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Gestione emergenza ed evacuazione

17/04/2008

Come valutare l’idoneità psicoattitudinale del personale che lavora in situazioni di emergenza? Un contributo per aprire un dibattito partendo dai concetti di resilienza e di Alessitimia. A cura di Antonio Zuliani, seconda parte.

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PdE”, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, nel suo undicesimo numero vuole “avviare un dibattito attorno ad un tema tanto importante quanto misconosciuto: quello dei criteri di selezione psicoattitudinale per persone chiamate a lavorare in emergenza”. L’obiettivo è quello di salvaguardare questo personale dai possibili danni derivanti dall’essere esposti a situazioni emotive troppo intense.
 
“Resilienza e alessitimia: un supporto ai processi di valutazione psicoattitudinale per il personale”. A cura di Antonio Zuliani (direttore scientifico di PdE).
 
La prima parte, che introduceva il tema e affrontava il problema della resilienza, è stato trattato in un precedente numero di PuntoSicuro.
 
 


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“Alessitimia
L’Alessitimia identifica quattro aspetti principali:
- la difficoltà di una persona ad identificare le proprie emozioni e i propri sentimenti, distinguendoli dalle sensazioni corporee che li accompagnano;
- la difficoltà di comunicare agli altri le proprie emozioni;
- la presenza di scarsi processi immaginativi e di una carente vita fantasmatica;
- la presenza di un ostile cognitivo che privilegia l’attenzione allo stimolo esterno che ha causato il disagio piuttosto che alla sua origine o risonanza interna.
 
Gia da questa formulazione si coglie l’importanza di poter comprendere la portata dell’Alessitimia della singola persona.
 
Se si ritiene che una delle principali strategie per affrontare positivamente il disagio provocato dall’esposizione a situazioni traumatiche stia nella capacita di identificare i sentimenti emotivi interni che tali circostanze causano e di poterne parlare con altri (ad esempio all’interno di un gruppo di defusing o di debriefing psicologico), appare evidente che una persona con una pesante Alessitimia risulta significativamente ostacolata, se non addirittura impedita a compiere questo necessario processo di rielaborazione delle emozioni.
 
Inoltre, si può pensare che una persona con una grave Alessitimia non sia in grado di utilizzare le emozioni come segnali.
Le emozioni risultano cosi vaghe, aspecifiche e la scarsa capacita di verbalizzarle può spingere a viverle attraverso reazioni somatiche, spesso angoscianti.
Come osserva Krystal, “spesso gli alessitimici non riescono a dire che sono tristi, stanchi, affamati o malati. Non sono abituati a riconoscere i propri sentimenti e a rendersi conto delle proprie reazioni agli eventi della vita” (308).
 
La misurazione dell’Alessitimia non appare del tutto facile: vi sono alcuni strumenti utili, anche se, allo stato attuale, nessuno appare del tutto immune da limiti.
Tra di essi i più utili, seppure in contesti diversi, sono due: la Toronto Alexithymia Scale (TAS 20) e il Beth Israel Psychosomatic Questionnaire (BIPQ).
 
La sostanziale differenza tra i due strumenti e che la TAS20 può essere applicata come questionario di autovalutazione, mentre il BIPQ richiede la presenza di un intervistatore qualificato.
La TAS20 è composta di 20 affermazioni alle quali il soggetto viene chiesto di rispondere, utilizzando una scala Likert, circa il fatto che sia d’accordo o meno con esse.
Nella valutazione dei dati si possono differenziare tre aspetti salienti:
- la difficoltà nell’identificare i sentimenti;
- la difficoltà nel comunicare i sentimenti;
- la presenza di un pensiero orientato all’esterno (pensiero operatorio).
 
La relativa semplicità dello strumento e della codifica dei risultati rendono la TAS20 estremamente promettente nei lavori di screening di grossi gruppi di persone.
La nostra esperienza a tale riguardo è molto positiva, anche se sono in corso ricerche atte a confermare, anche nel tempo, la bontà di questo strumento per indicare a soggetti, che vogliano intraprendere attività che li espongano a situazioni traumatiche, l’eventuale non opportunità di questa scelta.
 
Il BIPQ consiste in 17 domande (di cui otto possono essere considerate “domande chiave”) attraverso la quali l’intervistatore valuta in modo dicotomico la comunicazione affettiva del soggetto e la sua vita di fantasia.
 
Il più evidente limite di questo strumento sta nell’abilità o meno dell’intervistatore nel valutare le risposte fornite dal soggetto e anche nello stesso setting dell’intervista: diverso è se essa e collocata in un ambito clinico, nel quale il soggetto non ha una ragione per distorcere la propria immagine e quando si lavori in un ambito selettivo nel quale il soggetto e maggiormente spinto a presentare una parte positiva di sé.
Inoltre non è un metodo utile quando sia necessario valutare molti soggetti.
 
Nella nostra esperienza alcuni dei limiti sottolineati possono essere ammorbiditi aggiungendo alla valutazione numerica del BIPQ un’analisi linguistica della narrazione che il soggetto propone di sé e delle situazioni che ha vissuto.
In questi casi possono risultare indicativi della conferma di una Alessitimia uno scarso utilizzo del pronome “io”, una significativa presenza di costruzioni passive, un lessico affettivo ridotto e una verbalizzazione con pochi termini carichi di affettività”.



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