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La percezione del “lavorare in sicurezza”

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Industria

11/04/2006

La percezione della sicurezza negli addetti al trasporto industriale di sostanze pericolose: uno studio introduttivo. Di Roberto De Filippo.

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Primi risultati di una ricerca volta ad identificare i fattori che concorrono alla percezione del “lavorare in sicurezza” negli addetti al trasporto di sostanze pericolose, al fine di orientare al meglio le attività di prevenzione e formazione.

 

di Roberto De Filippo*

 

 

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Per quanto gli aspetti della prevenzione degli infortuni in ambito occupazionale siano ampiamente disciplinati sia da normative italiane che comunitarie, è evidente come sia ancora necessario approfondirne molti aspetti, con specifiche attività di ricerca.

 

In particolare, la prevenzione degli infortuni nel settore del trasporto di merci pericolose rappresenta un ambito di studio degno di massima attenzione, considerando le possibili conseguenze, non solo per il conducente implicato in un possibile incidente critico, ma anche per la comunità e l’ambiente, talvolta pesantemente coinvolti.

 

In tale ottica, si è dato inizio ad una prima attività di ricerca, attivando un progetto sulla percezione della sicurezza nel personale addetto al trasporto, in relazione ai personali stili cognitivi, in collaborazione con la Direzione di SBG Group.

 

L’Azienda, presente dagli anni “50 sul mercato italiano ed estero nel trasporto di prodotti petroliferi in regime ADR, condividendo l’opinione che il fattore umano costituisca l’elemento critico del complesso di variabili che attengono alla sicurezza nei luoghi di lavoro, ha promosso il presente lavoro, al fine di prevenire eventi eludibili e salvaguardare gli operatori del trasporto di merci pericolose.

 

Nel campo della psicologia applicata alla sicurezza, la letteratura scientifica non comprende, al momento, una specifica e dedicata strumentazione psicometrica, che possieda un’univoca capacità discriminante, in grado, cioè, di differenziare, i lavoratori ad “alta percezione del proprio senso di sicurezza, sul lavoro”, da altri del medesimo settore, che per contro manifestino una “bassa percezione del proprio senso di sicurezza, sul lavoro”.

 

Il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, per quanto riguarda i comportamenti e le reazioni delle risorse umane coinvolte nei processi industriali, presenta approcci e metodi diversificati.

 

È sembrato perciò opportuno proporre diversi strumenti psicometrici, che hanno già scientificamente dimostrato la stretta correlazione esistente fra i fattori che tali strumenti studiano e la percezione del proprio senso di sicurezza sul lavoro.

 

L’assunto di base, in linea con l’attuale ricerca psicoattitudinale, è che il “senso di sicurezza” nel lavoro, al pari della “psicologia della responsabilità, sia correlato positivamente ai seguenti costrutti psicometrici:

 

• Scrupolosità nel lavoro.

 

Fa riferimento alla capacità di autocontrollo, alla meticolosità.

 

Tende a misurare aspetti che riguardano l’affidabilità e l’accuratezza, l’attenzione e la cura per i particolari, nonché il rispetto per l’ordine (in Mc Crae e Costa, 1989, Digman, 1990 op. cit. in Caprara, 2000);

 

• Apertura all’esperienza.

 

Fa riferimento ad aspetti che si riferiscono ad una disposizione favorevole nei confronti delle novità, alla capacità di considerare ogni cosa da più prospettive, ad una certa disposizione al miglioramento (in Mc Crae e Costa, 1989, op. cit. in Caprara, 2000);

 

• Attribuzione personale causale del comportamento.

 

Fa riferimento all’attribuzione di causalità degli eventi, nonché all’aspettativa di poter personalmente controllare gli accadimenti e le conseguenze del proprio comportamento (locus interno) oppure all’aspettativa di dover affidarsi a contingenze esterne (locus esterno) (in Nigro et al, 1994);

 

• Fiducia nelle proprie capacità di “problem solver’.

 

Fa riferimento ad un insieme di processi cognitivi e comportamentali, tramite i quali si identificano strategie di fronteggiamento. Definisce la sicurezza nutrita nella propria capacità di risolvere problemi, sia semplici che complessi (in Neal, 1982, Sherrey, 1989, op. cit. in Mirandola et al, 1991).

 

Un campione di addetti al servizio ha dunque compilato uno questionario, tratto dalla letteratura accreditata, oltre ad una breve scheda socio-anagrafica (non nominativa ai sensi del D.Lgs. 196/2003 sulla “privacy”). Nel complesso sono stati raccolti 176 questionari validi.

 

Nell’insieme, da un punto di vista della frequenza relativa rilevata, l’autista “tipo” è risultato essere piuttosto giovane (il 42.0% entro i 40 anni), ha frequentato la scuola dell’obbligo (57.9% del campione), coniugato (80.6%), con figli (81.2%) e con un’anzianità di servizio, in qualità di autista, di oltre 10 anni (51.1% del campione osservato).

 

Rinviando ad un successivo lavoro la pubblicazione esaustiva dei risultati ottenuti, basterà ora indicare che nel sottocampione identificato da più di una deviazione dalla media dei Punti Standard totali (gruppo “supra norma”), la varianza complessiva spiegata, ovvero la stima della correlazione fra risultati osservati nel campione e variabili utilizzate nella ricerca, si colloca con una forbice compresa tra il 30 ed il 50%, per quasi tutte le prove.

 

Il nucleo sotteso al presente lavoro indica come una costellazione diversificata di fattori debba concorrere a formare il costrutto psicologico di “percezione della sicurezza”, operando, quindi, in modo significativo alla riduzione del rischio obiettivo, e perché nei lavoratori possa svilupparsi una decisa identità professionale.

 

Indubbiamente un’adeguata formazione, sia in entrata in ruolo che in itinere, e l’esperienza maturata nel settore, costituiscono fattori discriminanti.

 

Tuttavia, l’idea che ha guidato il lavoro considera altrettanto importanti quei fattori, di ordine individuale, che, stando alla base delle persone stesse, ne motivano e ne orientano il comportamento professionale.

 

In accordo con gli studi di psicologia dell’orientamento professionale, si ritiene che le variabili psicologiche agenti negli individui, sorta di intrecci di biologia, cultura ed esperienze personali, costituiscano il necessario substrato sul quale formazione ed esperienza professionale si innestano.

 

Training al lavoro ed “expertise”, anzi, non sono sufficienti, da soli, a spiegare in questi lavoratori un certo passaggio evolutivo – al quale si vuol tendere in prospettiva – che dal mero eseguire correttamente le previste procedure di sicurezza, porti al costituirsi di un’autonoma capacità di pensare ed agire “in sicurezza”.

 

Gli obiettivi posti, dunque, hanno permesso la verifica dell’esistenza di una buona correlazione fra variabili oggetto di studio, anche se non sono state confermate tutte le ipotesi stabilite in partenza.

 

In effetti la “scrupolosità”, così come è stata identificata in questo lavoro, “l’apertura all’esperienza” e in subordine la “fiducia nelle proprie capacità di problem solver” sono risultati essere in buona correlazione, nel gruppo “supra norma”, non così “l’attribuzione personale causale del comportamento”.

 

È degno di nota osservare che le variazioni incrementali dei punteggi, nel gruppo “sopra la media”, siano esclusivamente a carico del sottocampione “più giovani in servizio”: ciò pare un indice significativo di come il fattore expertise, in sé e per sé, non costituisca un fattore pregiudiziale nella percezione del lavorare in sicurezza.

 

Possono dunque essere confermate le conseguenze implicite in questo lavoro, ovvero identificare fattori psicoattitudinali ed ulteriori parametri utili alla selezione dei nuovi candidati al ruolo.

 

L’utilizzo di strumenti di valutazione della personalità, pertanto, sembra essere discriminante, e potrebbe dimostrarsi predittivo, per le future performances professionali.

 

Tuttavia, dal punto di vista del significato che gli stessi addetti al trasporto attribuiscono personalmente al concetto di “lavorare in sicurezza”, riteniamo si debba operare un ulteriore approfondimento.

 

Si può ritenere, infatti, che la conoscenza diretta di quanto effettivamente pensano debba essere l’agire in sicurezza, e soprattutto da quali variabili questa cognizione possa maggiormente dipendere, costituisca un passo in avanti utile alle attività di sensibilizzazione e formazione, sia in ingresso che in itinere, di questa tipologia di lavoratori.

 

Si tratta di costruire globalmente il significato che i lavoratori attribuiscono realisticamente a dei concetti generali (‘l’agire attivamente in sicurezza”), partendo dalla loro quotidiana attività professionale.

 

Ulteriori approfondimenti in questo senso sono naturalmente auspicabili.

 

 

 * Psicologo e Vigile del Fuoco.

 

Collabora con l’area MLFS - Medicina del Lavoro e Formazione Sanitaria- del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile

 

 

Fonte: Rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, www.studiozuliani.net

 




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