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Rischio biologico nei laboratori biologici e chimici non sanitari

Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Rischi da agenti biologici

16/02/2009

I risultati di un programma di monitoraggio in laboratori deputati alle analisi microbiologiche: le vie di contaminazione, le misure di prevenzione, le difficoltà della valutazione dei rischi.

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Il Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia è una pubblicazione ricca di spunti per tutti coloro che si occupano di sicurezza sul lavoro e spesso PuntoSicuro si sofferma sui contributi considerati più rilevanti per i nostri lettori.
 
È il caso del documento intitolato “Il rischio biologico nei laboratori biologici e chimici non sanitari” e scritto da E. Cavallari, L. de Lellis, G.P. Stefanelli e T. Lorenzini.
 

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Questo lavoro – che fa riferimento ancora al Titolo VIII  del D.Lgs 626/94, oggi sostituito dal Titolo X del D.Lgs. 81/2008 - descrive una campagna di monitoraggio per la valutazione del rischio biologico eseguita presso i Laboratori del Gruppo HERA.
In particolare il gruppo HERA (Holding Energia Risorse Ambiente) “gestisce i servizi legati all’utilizzo delle risorse energetiche, quelli legati al ciclo dell’acqua (potabilizzazione, depurazione, fognatura) nonché i servizi ambientali che comprendono l’intero ciclo di recupero e riciclaggio della materia, la raccolta e il trattamento dei rifiuti, l’igiene urbana, la termovalorizzazione ed il compostaggio”.
Dal 2005 questo gruppo ha “intrapreso un programma di monitoraggio nei locali di laboratorio deputati alle analisi microbiologiche, così come richiesto dalla ISO 17025, per la garanzia dei requisiti ambientali necessari per l’esecuzione delle analisi secondo le procedure di qualità; il programma di controllo ambientale ha avuto lo scopo di raccogliere dati oggettivi per ridurre al minimo le contaminazioni negli spazi adibiti alle prove analitiche microbiologiche e per verificare l’efficacia delle restrizioni imposte a queste aree”.
 
Nei laboratori chimici e biologici non sanitari gli operatori sono soggetti al rischio biologico “sia per esposizione potenziale ad agenti biologici che potrebbero essere presenti nelle matrici che giungono in analisi, sia per uso deliberato di microrganismi”.
 
Nel documento si precisa che le principali vie di contaminazione del personale in un laboratorio analisi sono: 
- “inalazione di bioaerosol generati dall’apertura di contenitori in cui è presente materiale infetto, da centrifugazione, da pipettaggio, ecc.;
- contatto diretto con cute e/o mucose (schizzi, mani o banchi di lavoro contaminati, ecc.);
- ingestione accidentale (trasporto di microrganismi alla bocca tramite mani contaminate, contatto con schizzi infetti, ecc.);
- via ematica (contatto con oggetti taglienti infetti, ecc.)”.
È inoltre noto che per l’insorgere della malattia non basta tuttavia il contatto con l’agente biologico, ma:
- “il microrganismo deve essere patogeno e virulento;
- deve essere assunto in una dose minima infettante;
- l’individuo deve essere ricettivo all’azione del patogeno”.
 
Il problema è che per gli agenti biologici è “difficile determinare limiti di esposizione da utilizzare come valori soglia, in quanto i fattori che intervengono nell’eventuale sviluppo di una patologia non sono facilmente prevedibili”.
Se poi il “superamento dei limiti consigliati e proposti non implica necessariamente l’instaurarsi di condizioni di pericolo”, il rinvenimento di microrganismi patogeni costituisce comunque “un elemento di rischio indipendentemente dalle concentrazioni osservate”.
 
I risultati di questo lavoro confermano “l’efficacia di un monitoraggio periodico dell’aria e delle superfici per individuare eventuali fonti di contaminazioni e, quindi, porre rimedio a situazioni critiche, sia per la protezione del personale che per garantire un ambiente adatto alla esecuzione delle analisi”.
 
Il documento cita inoltre diverse misure di prevenzione che si possono mettere in atto, ad esempio:
- l’utilizzo di cappe a flusso laminare verticale;
 - un numero sufficiente di ricambi d’aria;
- il controllo sugli accessi;
- la segregazione degli ambienti di lavoro;
- l’utilizzo di DPI idonei a creare una efficace barriera (guanti, maschere facciali, occhiali, tute protettive usa e getta, copriscarpe);
- “un’adeguata frequenza delle pulizie ordinarie delle superfici e degli ambienti di lavoro”;
- la cura dell’igiene personale;
- la separazione degli indumenti di lavoro;
- un’idonea profilassi vaccinale;
- la formazione periodica sulle buone prassi di laboratorio.  
 
La conclusione a cui arrivano gli autori è che una valutazione dei risultati dei monitoraggi dell’aria e delle superfici in questi ambienti “risulta ancora difficoltosa in quanto non esistono linee guida che indichino livelli di esposizione e di contaminazione accettabili e limiti precisi di riferimento cui attenersi per giudicare la ‘salubrità’ di un ambiente”.
E dunque questo lavoro vuole fungere da stimolo per la “stesura di linee guida dedicate a questi particolari ambienti di lavoro e per arrivare ad una standardizzazione delle procedure di campionamento e di valutazione della qualità dell’aria”.
 
 
Il rischio biologico nei laboratori biologici e chimici non sanitari”, scritto da E. Cavallari, L. de Lellis, G.P. Stefanelli e T. Lorenzini (gruppo HERA) sul Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXX n°1, gennaio-marzo 2008 (formato PDF, 1.15 MB)
 
 
Tiziano Menduto


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