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Caratteristiche e idoneità di formazione/informazione dei lavoratori

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Lavoratori

24/01/2011

La Cassazione si è espressa questa volta sull’obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori da parte del datore di lavoro e sulle caratteristiche che tali istituti devono assumere perché siano ritenuti idonei ed efficaci. A cura di G.Porreca.


 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Quello preso in esame in questa circostanza dalla Corte di Cassazione penale è il rischio esplosione che deve essere oggetto di idonea e dettagliata informazione dei lavoratori. In particolare dalla suprema Corte non sono state ritenute sufficienti le misure prese dal datore di lavoro e consistite nell’aver messo a disposizione di un lavoratore, rimasto vittima di un infortunio sul lavoro, le schede di sicurezza relative alla sostanza che stava utilizzando e che durante la sua attività ha portato alle conseguenze lesive nei suoi confronti e nell’avere inoltre organizzato un incontro preliminare dello stesso lavoratore  con il fornitore della sostanza pericolosa nell’ambito del quale sono state illustrate le modalità d’uso del prodotto ma non sono state messe in evidenza le caratteristiche della sua pericolosità ed i rischi derivanti dal suo utilizzo. Aggravante e determinate inoltre è stata considerata dalla Corte di Cassazione la circostanza che nel caso preso in esame tale rischio di esplosione non era stato neanche oggetto della valutazione dei rischi aziendali e non era stato inserito nel documento di valutazione dei rischi elaborato dal datore di lavoro.
 

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L’evento infortunistico e l’iter giudiziario
L’infortunio è accaduto in una azienda mentre un lavoratore era impegnato nel lavaggio di una cisterna di un autoarticolato all'interno della quale vi erano residui di resina da poco scaricati dall'autista in un’altra azienda. Lo stesso lavoratore, nel tentativo di sciogliere i grumi di resina, ha gettato all’interno della cisterna dell’acqua calda, (condotta questa contraria ai protocolli aziendali che prevedevano l'uso di acqua fredda) ma non essendoci riuscito ha pertanto spruzzato dal boccaporto superiore della cisterna un solvente  e quindi, aperta la valvola di scarico della cisterna, ha constatato che i grumi di resina si stavano liquefacendo. Lo stesso è risalito poi sulla cisterna per effettuare una seconda erogazione di solvente ed a tal punto è stato investito da una violenta deflagrazione che ne ha determinato l'immediato decesso.
 
A seguito dell’evento il Tribunale ha condannato il legale rappresentante dell’azienda per il delitto di omicidio colposo in danno dell'operaio per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Lo stesso Tribunale, nel rammentare che perché si determini un'esplosione è necessaria la concomitante presenza di un combustibile, dell’ossigeno e di un innesco, ha sostenuto che l’esplosione sarebbe stata evitata se all'interno della cisterna non vi fosse stato ossigeno (cosa possibile se si fosse utilizzata una tecnica di "inertizzazione con azoto") e se fosse inoltre stato utilizzato un prodotto, presente sul mercato, idoneo a raffreddare le parti gassose. Il Tribunale ha quindi individuata la responsabilità dell'imputato per aver omesso l’utilizzo di tali accorgimenti da impiegare nei lavaggi di cisterne contenenti resine ed inoltre per non avere impedito al lavoratore infortunato di utilizzare nel lavaggio acqua calda, circostanza questa addebitabile allo stesso imputato il quale non aveva fornito al suo operaio un'adeguata formazione ed informazione sui rischi specifici dell'utilizzo del solvente, indicato dalla stessa ditta produttrice come prodotto a rischio di esplosione, e lo ha condannato alla pena di mesi 9 di reclusione, pena sospesa, nonché al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili ed alla liquidazione in loro favore di una provvisionale immediatamente esecutiva.
 
A seguito di un ricorso fatto dall’imputato la Corte di Appello ha successivamente confermata la sentenza del Tribunale anche se ha ridotto la pena. La stessa Corte ha ribadito che gravante sull'imputato è stato l'addebito di colpa per avere omesso una adeguata formazione ed informazione dell’infortunato circa il rischio di esplosione connesso con l'utilizzo del solvente ed ha osservato che tale dovere di informazione non si doveva ritenere soddisfatto dalle istruzioni fornite dal produttore della sostanza tenuto conto che le avvertenze del pericolo erano state del tutto generiche e che non erano stati imposti divieti o prescrizioni. Ininfluente è stata considerata, altresì, la partecipazione da parte della vittima a corsi e riunioni con i delegati del produttore del solvente, considerato che tali incontri non avevano portato alla elaborazione di alcuna regola cautelare antinfortunistica.
 
Il ricorso in Cassazione e le decisioni della suprema Corte
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso il difensore dell'imputato rigettando la contestazione di non aver formato ed informato adeguatamente il lavoratore circa i rischi di esplosione. Secondo l’imputato, infatti, la " scheda sicurezza" del prodotto riportava il rischio di infiammabilità ed esplosione ed in virtù di ciò lo stesso aveva provveduto a prendere gli opportuni provvedimenti dando l’istruzione di effettuare dopo l’immissione del solvente il lavaggio della cisterna per almeno 10 minuti con acqua fredda per evitare il contatto fra il solvente e l’acqua calda. L’infortunato, inoltre, ha sostenuto l’imputato, aveva partecipato alla messa a punto della procedura di lavorazione ed a riunioni organizzative con il produttore di quel solvente e pertanto era pienamente consapevole dei rischi del lavaggio se utilizzava lo stesso e pertanto l'obbligo di formazione ed informazione era da ritenersi pienamente assolto.
 
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla suprema Corte la quale ha affermato che “il debito di sicurezza nei confronti del lavoratore a cui è tenuto il datore, prevede tra l'altro l'obbligo di informare i dipendenti dei rischi per la sicurezza e la salute in relazione all'attività svolta nell'impresa (Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 21, vigente all'epoca dei fatti) e di adeguata formazione in materia di sicurezza (articolo 22)”. Secondo la Sez. IV, inoltre, per assolvere agli obblighi della formazione ed informazione non è sufficiente la "ragnatela" delle disposizioni date con una pluralità di documenti messi a disposizione del lavoratore. “Perché sia assolto l'obbligo di sicurezza previsto nelle citate norme” prosegue la Sez. IV, “è necessario che il lavoratore venga informato dei rischi specifici dell'utilizzo del prodotto. Tale specificità non deve arrestarsi alla esplicitazione di una mero divieto (es. utilizzare acqua fredda e non calda), ma deve indicare le conseguenze per la sicurezza e la salute che determinate modalità di lavoro possono comportare”. Anche la suprema Corte ha ribadito che nel caso in esame non è risultata essere stata data alcuna informazione ai lavoratori addetti al lavaggio delle autocisterne e che utilizzavano il solvente infiammabile né è risultato che gli stessi fossero stati destinatari di una specifica formazione in tema di sicurezza oltre al fatto che nel documento di valutazione dei rischi non era stato preso in considerazione il rischio specifico.
 
È ragionevole pertanto”, ha concluso la suprema Corte ”la deduzione che ne ha tratto il giudice di merito: se il rischio non era stato valutato e preso in considerazione dall'azienda, era logico ritenere che i lavoratori sul punto non avessero ricevuto alcuna specifica informazione e formazione”.
 
 
 
 


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