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Conoscere il cervello per comprendere i processi decisionali

Conoscere il cervello per comprendere i processi decisionali

Un articolo analizza vari processi decisionali ai quali sono chiamati anche gli addetti alla sicurezza e all’emergenza. Gli errori più comuni che commette il nostro cervello nel prendere decisioni. Di Antonio Zuliani.

 


Ospitiamo un articolo tratto da PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che analizza i processi decisionali ai quali sono chiamati gli  addetti alla sicurezza e all’emergenza. Si illustrano, con vari esempi, i più comuni errori che il nostro cervello commette quando è chiamato a decidere. In relazione a questi errori è necessario attivare percorsi formativi che mettano le persone nelle condizioni di prendere le migliori decisioni possibili in specie nelle situazioni di stress.
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In ogni istante della nostra giornata il cervello è chiamato a prendere una serie di decisioni, alcune semplici altre complesse, alcune di basso impatto altre in grado di determinare il percorso successivo della vita.
Il cervello utilizza due sistemi per decidere: il primo è automatico e inconsapevole, il secondo è più consapevole e controllato; è quello che solitamente si associa al concetto di decisione (Kahneman, 2011).
Ebbene noi utilizziamo il sistema consapevole e controllato molte meno volte di quanto non crediamo, preferendo affidarci al più semplice e rassicurante sistema automatico. Probabilmente si tratta di un’affermazione che può sconcertare molte persone convinte di essere sempre padrone e consapevoli delle proprie decisioni.
Al fine di chiarire quanto detto esaminiamo alcune delle convinzioni che maggiormente ci abbagliano quando pensiamo alle decisioni e vedremo che ripercussioni hanno in tema di sicurezza e di emergenza.
 
La decisione sarà migliore se ho molte scelte
Si tratta di un’affermazione con poco fondamento perché il cervello, quando deve decidere, ama non sforzarsi troppo.
Vediamo un esempio legato alla vita quotidiana. Se entriamo in una pizzeria e nel menù troviamo una decina di pizza dalla guarnizione tradizionale la rosa della scelta è ristretta e facilmente ci orientiamo su quella preferita. Se, invece, ci troviamo di fronte un menù con decine di pizze, le cose cambiano: il primo pensiero è che siamo finalmente fortunati ad avere così ampia scelta, ma il nostro cervello non la pensa allo stesso modo, perché di fronte a tante opzioni scatta il meccanismo del “rammarico”.
Se ci troviamo di fronte a poche e conosciute pizze facciamo la nostra scelta senza tanti problemi: in fondo sappiamo bene cosa scegliamo e a che cosa rinunciamo. Ma quando tante scelte sollecitano la nostra attenzione, quando veramente possiamo prendere una decisione diversa dal solito iniziamo a preoccuparci di prendere quella sbagliata, di doverci rammaricare di aver lasciato “la strada vecchia per la nuova”, e alla fine scegliamo la solita e rassicurante pizza di sempre.
Il nostro cervello cerca di evitare la sofferenza quanto insegue il piacere, perciò quando si trova di fronte a troppi elementi sui quali decidere cerca di capire cosa farà più piacere. Siamo di fronte a quello che viene chiamato il “paradosso della scelta”.
 
Non è vero: io penso bene prima di decidere
L’affidarsi al pensiero automatico non avviene per caso, ma ha a che fare con la nostra evoluzione, quando abbiamo dovuto allenarci a decidere istantaneamente il comportamento di fronte ai pericoli; questo ha salvato i nostri progenitori innumerevoli volte, tanto che abbiamo insito un meccanismo che ci spinge spesso a reagire a un potenziale pericolo prima ancora di valutarlo compiutamente.
Per renderci conto di come funziona il cervello automatico vediamo un semplice esempio, molto noto nell’ambito della ricerca psicologica. “La madre di Maria ha quattro figlie. La prima si chiama Aprile, la seconda Maggio, la terza Giugno e la quarta .....”. Con tutta probabilità il vostro cervello vi ha suggerito subito una risposta: “Luglio”, sbagliando obiettivo. Se ci pensate la risposta era contenuta nella domanda che diceva “la madre di Maria” suggerendo la risposta esatta, ma il cervello ha seguito automaticamente un’altra strada connessa alla sequenza dei mesi dell’anno.
Il cervello utilizza continuamente scorciatoie mentali di questo tipo. A volte in modo del tutto efficace: pensiamo al fatto di come riusciamo a sapere dall’ultima cifra se quel numero è pari o dispari, indipendentemente dalla lunghezza della cifra.
Si tratta di scorciatoie che velocizzano la scelta e rassicurano sulla sua bontà sottraendoci al rischio di rammarico di cui abbiamo già parlato.
 
Quando decido cerco di utilizzare al meglio i dati a disposizione
Questo è certamente vero, ma non tutti i dati hanno la stessa rilevanza.
Spesso il cervello, per fare le sue scelte, si basa sui paragoni e questo meccanismo è ben noto a chi predispone i prezzi dei prodotti che acquistiamo e ai venditori in genere: la “dominanza asimmetrica” o “effetto esca”.
Se ci troviamo scegliere tra due prodotti con caratteristiche diverse tra loro la scelta è abbastanza facile, ma non è detto che avere tre opzioni migliori la nostra capacità di scelta.
Vediamone un esempio: ci propongono due bicchieri della nostra bibita preferita, un formato piccolo da due euri e un formato grande da 6 euri. Per quanto la bibita ci piaccia sarà più probabile che decidiamo di scegliere il formato piccolo perché ci sembra che la spesa di 6 euri sia esagerata. Ma se l’abile venditore inserisce tra le possibili scelte un formato medio posto al prezzo di 5,50 euri, le cose cambiano: molti di noi comprerebbero quella grande perché il centro della decisione si focalizza sul risparmio proporzionale tra il formato medio e quello grande piuttosto che sull’esborso totale come era avvenuto di fronte alle due scelte precedenti.
Tutto ciò perché il cervello, che è sempre un po’ in difficoltà quando deve scegliere tra due alternative, si sente rassicurato se gli viene offerta un’opzione intermedia perché la può utilizzare come elemento di paragone: In altri termini la presenza di un’alternativa intermedia ci viene in aiuto perché da essa pensiamo di ricavare dati aggiuntivi utili per compiere la scelta più giusta.
Ma questo lo sa anche il buon venditore che non ci propone il formato intermedio della bibita per vendercelo, ma per costruire un effetto esca che ci spinga ad acquistare il formato grande della stessa.
 
Ma io sto sempre molto attento
Mi auguro che sia vero, ma quante volte percorrendo in macchina una strada nota all’arrivo non ricordiamo molti dei particolari del viaggio, addirittura ci sorprendiamo di essere già arrivati, come se non avessimo percorso parte della strada. Ebbe ci troviamo di fronte alla “cecità da disattenzione” e sono moltissime le cose che questo fenomeno ci fa perdere. D’altra parte non possiamo certo imputare al cervello di non aver fatto il suo lavoro: con il contributo di tutti gli altri sensi ci ha portati sani e salvi a casa.
Ma le cose non vanno sempre così bene. Una ricerca condotta all’Western Washington University sul come questo effetto possa influire sui comportamenti di chi è assorto in una conversazione telefonica ci deve mettere in guardia dall’ uso del cellulare in auto, indipendentemente dal fatto di avere o meno il viva voce.
L'esperimento, condotto in un’affollata piazza centrale di Washington (Hymann e altri, 2010), si svolgeva in due fasi.
Nella prima venivano registrati i movimenti (stop nella marcia, rallentamenti, numero dei cambi di direzione, serpeggiamenti, episodi in cui qualcuno ha inciampato, collisioni o quasi-collisioni con altre persone) di passanti che erano al cellulare, oppure stavano sentendo musica in cuffia, stavano parlando con un’altra persona oppure si muovevano da soli.
In una seconda fase uno sperimentatore vestito da clown viaggiava su di un monociclo incontro alle persone.
Dai risultati dell’esperimento si è rilevato che il maggior numero di collisioni, serpeggiamenti, stop e altre stranezze nella marcia, sono state messe in atto dai passanti che parlavano al cellulare. Di questi solo il 25% ha notato il clown, rispetto al 51% di chi camminava da solo, al 61% di quelli che ascoltavano musica con le cuffie, al 71% di quelli che stavano parlando con qualcuno.
 
Ogni scelta viene poi soppesata, per cui gli errori si correggono
Anche qui le cose sono un po’ diverse nel senso che, quando compiamo una scelta, il nostro cervello ci viene in soccorso nel giustificare il fatto che abbiamo fatto la scelta giusta.
Un esempio di questa tendenza è dimostrata da un esperimento condotta dall’equipe della Lund University guidata dal professor Johansson (2005).
L’esperimento consisteva nel mostrare a un uomo le fotografie di due donne, tra loro diverse, e di chiedere quale preferiva. Immediatamente dopo, con un abile trucco da prestigiatore, al soggetto veniva mostrata la foto della donna scartata chiedendogli di spiegare perché l’avesse scelta. Ebbene il 74% dei soggetti non si accorgeva della sostituzione e si dilungava nel descrivere i motivi della scelta compiuta.
Questo fenomeno si chiama "cecità alla scelta". Il nostro cervello quando scegliamo qualche cosa ci viene in soccorso inventandosi qualche cosa: non si preoccupa della realtà bensì di giustificare le proprie decisioni.
 
Alla fine di questa lettura tutti noi possiamo legittimamente essere preoccupati dei nostri processi decisionali, del fatto che rischiamo continuamente di prendere decisioni sbagliate sotto la guida di quella sorta di sistema automatico che pervade il funzionamento del nostro cervello.
Per tranquillizzarci un po’ pensiamo che non sempre prendere decisioni sbagliate è negativo: Alexander Fleming, un certo giorno del 1928, tralasciò di pulire accuratamente il suo laboratorio e quanto tornò notò una capsula di Petri particolare: era macchiata di muffa come tante altre nel suo laboratorio, ma attorno a essa le colonie batteriche si erano dissolte. Tutti gli siamo grati per quella sua negligenza che ha permesso di scoprire la penicillina.
Alla fine essere preparati alle scelte sbagliate è l’anticamera per prendere quelle giuste.
 
 
Antonio Zuliani
 

Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Massimiliano Carpene - likes: 0
17/03/2014 (09:35:08)
Interessante questo articolo del dott. Zuliani che fa riflettere su come il cervello di chi comanda magari è molto competente in una certa materia ma poi un imprevisto lo può mandare in tilt, azzerando nella pratica tutta la competenza.
Per restare sul recente pensiamo al naufragio della Costa Concordia.
Incidente nel quale sicuramente c’era tutto il tempo per abbandonare la nave in sicurezza ma al comandante il cervello era andato in blocco come capita quasi a tutti quando si viene coinvolti in una emergenza improvvisa. L’abbandono nave è una procedura prevista e simulata realmente all’inizio di ogni crociera ma come sempre una cosa è la teoria un’altra la realtà. Forse nelle missioni spaziali questa problematica raggiunge livelli di consapevolezza significativa ma con il senno di poi anche un incidente dal costo di un miliardo di euro e 32 morti sicuramente era da inserire in questo contesto.

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