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Sulla valutazione e sull’adozione delle misure di sicurezza antincendio

Le misure di sicurezza adottate a seguito della valutazione dei rischi presenti in azienda possono essere migliorative e non devono scendere mai al di sotto di quelle previste dalle specifiche disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro. Di G.Porreca.


 
Commento a cura di Gerardo Porreca.
 
Questa sentenza della Corte di Cassazione ci insegna che in generale le misure di sicurezza adottate a seguito di una valutazione dei rischi aziendali devono comunque rispettare i requisiti minimi imposti dalle disposizioni di legge emanate in materia e possono essere migliorative e non più restrittive rispetto agli stessi e che comunque una eventuale valutazione sulla insussistenza di un rischio o una sua sottovalutazione non autorizzano in ogni caso a scendere al di sotto dei limiti minimi di sicurezza fissati dalle disposizioni di legge impartite in materia.
Nel caso in esame il rischio preso in considerazione è quello relativo ad un possibile incendio in una azienda esercente attività di autolavaggio nella quale erano stati installati diversi estintori nei vari reparti dell’azienda stessa  ma non anche su di un piazzale destinato al lavaggio dei mezzi di trasporto in quanto questo era stato ritenuto dal gestore dell’esercizio scevro dal rischio specifico per essere una zona comunemente umida e bagnata  e fornita altresì, se si fosse reso necessario, di sistemi idonei alla erogazione di potenti gettiti di acqua. La Corte di Cassazione ha ribadito quanto già in precedenza deciso nei precedenti gradi di giudizio ed ha individuato nel comportamento del gestore una omissione di cautele antinfortunistiche sostenendo che anche sul piazzale potesse verificarsi un incendio per la presenza dei mezzi di trasporto forniti di una notevole quantità di carburante.
 

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Il caso e il ricorso in Cassazione
Il gestore dell’autolavaggio ha fatto ricorso in Cassazione avverso la sentenza di condanna della Corte d'Appello che, in riforma di quella emessa nei suoi confronti dal Tribunale in ordine ai reati di cui all'art. 51 comma 2 del D. Lgs 22/97 (capo B), all’art. 674 cod. pen. (capo C), all’art. 437 cod. pen. (capo D), all’art. 451 cod. pen. (capo E), all’artt. 624-625 n. 2 cod. pen. (capo F) ed all’artt. 3 comma 2, lett. b) D. Lgs 95/92 (capo G), lo ha assolto dai reati di cui ai capi D) ed F), perché il fatto non costituisce reato, nonché ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di cui ai sopraindicati capi B), C) e G), perché estinti per intervenuta prescrizione, ed ha inoltre rideterminato la pena in ordine al reato di cui al capo E).
 
L’imputato, in particolare, ha lamentato che gli fosse stato contestato il reato di cui all'art. 451 cod. pen. per avere, quale titolare della ditta, omesso di collocare idonei dispositivi antincendio benché nell'istruttoria dibattimentale fosse emerso in modo inconfutabile che presso gli uffici del proprio autolavaggio, nonché presso i limitrofi locali ristorante, era presente un numero adeguato di estintori. Tali dispositivi antincendio erano risultati mancanti solo nel piazzale all'aperto dove veniva effettuato il lavaggio dei mezzi e dove non venivano trattati certamente materiali e/o oggetti a rischio di incendio. L’imputato ha contestato, altresì, che la Corte d'Appello ha ritenuto che fossero state violate le norme basandosi solo sulla omessa adozione dei presidi antincendi non rilevando, però, che nel caso particolare la norma stessa non poteva trovare applicazione proprio per la mancanza del rischio di incendio. Secondo lo stesso, inoltre, stante la natura di reato di pericolo della violazione contestata, era comunque necessario che sussistesse e si configurasse oggettivamente tale situazione di pericolo da prevenire. Il ricorrente ha, quindi, concluso considerando tra l’altro che l'omessa predisposizione di dispositivi antincendio ha riguardato non l'intero complesso aziendale ma soltanto una zona specifica dello stesso e più precisamente il piazzale destinato all'attività di autolavaggio risultato dotato di attrezzature quali pompe capaci di erogare abbondanti getti d'acqua e più in generale tali da creare una zona completamente umida e bagnata per cui non si poteva rappresentare alcun pericolo né specifico né generico di incendio.
 
Le decisioni e le relative motivazioni della suprema Corte
 
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso presentato dall’imputato e lo ha pertanto rigettato. In materia di omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro di cui all’art. 451 del codice penale, ha sostenuto la Corte suprema la condotta punibile, mirando la norma a limitare i danni derivanti dall’incendio, dal disastro o dall’infortunio sul lavoro nelle ipotesi in cui detti eventi si dovessero verificare, è quella che consiste nella omessa collocazione ovvero nella rimozione, ovvero ancora nella resa inidoneità allo scopo degli apparecchi e degli altri mezzi predisposti alla estinzione dell'incendio nonché al salvataggio o al soccorso delle persone per cui ne consegue che non si richiede anche che si verifichi in concreto uno di tali eventi, i cui ulteriori danni la norma mira ad impedire o, comunque, a limitare.
 
La deduzione di fatto circa la mancata adozione dei presidi antincendio in una zona in cui non sussisterebbe il pericolo di incendio” ha proseguito la suprema Corte, “correttamente non è stata considerata dalla Corte distrettuale, essendo del tutto evidente che, se per l'esercizio di una certa attività come quella di cui è titolare il ricorrente, la legge prescrive l'adozione, per la pericolosità in sé dell'attività esercitata, di determinate misure antinfortunistiche in tutti i luoghi dell'azienda ed in ogni parte di essa ove viene svolta l'attività, non può essere rimessa alla discrezionale volontà del gestore individuare le zone ove il pericolo di incendio sussiste e quelle ove non sussiste”. “È, infatti, opinabile”, ha quindi sostenuto la Sez. IV, “asserire che, laddove sussiste una situazione di umidità o di bagnato, l'incendio non potrebbe mai verificarsi e che, quindi, manca l'elemento del pericolo richiesto dalla norma incriminatrice, in quanto è scientificamente dimostrato che liquidi infiammabili (nel caso di specie veniva effettuata anche l'attività di lavaggio rapido di automezzi pesanti e leggeri con la possibilità che da essi potessero fuoriuscire carburanti), pur mischiandosi con l'acqua, mantengono la loro capacità incendiaria” (a conforto di quanto appena dichiarato dalla suprema Corte lo scrivente riferisce di aver svolto le indagini in merito ad un infortunio mortale accaduto in una stazione di servizio a seguito appunto di un incendio sviluppatosi durante il lavaggio di un mezzo di trasporto che da poco aveva scaricato del carburante in una stazione di servizio).
 
La scelta eventuale di non ritenere sussistente il pericolo di incendio in un determinato luogo dell'azienda ove viene svolta un'attività che richiede l'adozione delle misure antincendio”, ha quindi concluso la Sez. IV, “può essere rimessa solo all'organo tecnico deputato al controllo ed al rilascio delle relative autorizzazioni, ma non certo, alla parte interessata”.
 
 
 
 
 

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